Twitto
poco – dall’apertura dell’account ad oggi ho calcolato una media di 1,4 tweet
al giorno – e la ragione sta nel fatto che «in 140 battute entrano tre
splendidi endecasillibi o una scatarrata di insulti, ma non si riesce ad
argomentare un cazzo» (@lmcastaldi, 19.3.2012
– il primo tweet, mettevo le mani avanti). Sì, tra il certame in versi e la
rissa da suburra c’è anche la conversazione mondana, che spesso può essere
brillante anche solo monosillabando, concordo, ma quella non è il mio forte. O
c’è il link a quella strepitosa cosuccia che si è postata due minuti fa sul
proprio blog, non sarebbe un vero peccato se l’umanità se la perdesse? Tre o
quattro volte l’ho fatto anch’io, però provando subito dopo un certo imbarazzo,
e ho preferito accontentarmi che il post fosse segnalato da altri, quando capitava.
Poi ci sarebbe pure il commento televisivo in diretta, e non nego che può esser
pure divertente, ma almeno per me è sempre a un passo dal deprimente. Idem per
il ribattere ai tweet altrui, chessò – faccio un esempio – quelli di Roberto Formigoni: anche quando ti alza la
palla per darti l’opportunità di una micidiale schiacciata, e non c’è tweet che
non te ne alzi una, schiacci, rischiacci, rischiacci ancora, ma poi finisci per chiederti
«è più cretino lui a provocare o io a cascarci?». Twitter, insomma, non fa per
me. Non in scrittura per lo meno, perché in lettura lo considero un simpatico
spioncino. Simpatico, però pericoloso, perché può dare la stessa illusione di stare
a far sociologia che si può coltivare porgendo orecchio alle chiacchiere in metrò
o in fila al supermercato… Vabbe’, basta così, sennò prendo la tangente, in
fondo si trattava solo della premessa a un post che prende spunto da due scambi
di battute che ho avuto poco meno di un mese fa su Twitter.
Era la
sera di martedì 1° ottobre, tutto il social network vibrava nell’attesa di
quello doveva accadere l’indomani, e su cosa dovesse accadere sembrava non ci
fosse ombra di dubbio: Silvio Berlusconi avrebbe tolto la fiducia al governo,
questo avrebbe significato la spaccatura del Pdl, la fine del Ventennio… Figurarsi.
Figurarsi se a questa possibilità, che – occorre sottolineare – era pur sempre
soltanto una possibilità, Silvio Berlusconi non avrebbe messo riparo da par
suo. C’era solo un modo, ed era quello di non far cadere il governo, per
prendere tempo. Significava fare una micidiale figura di merda, peraltro
mostrandosi sconfitto due volte agli occhi del mondo, in casa e fuori. Il voto
a Palazzo Madama era solo di lì a poche ore dall’annuncio ufficiale che avrebbe
votato la sfiducia e i suoi fedelissimi lo avevano sottoscritto con parole di
fuoco. Il governo sarebbe caduto? Chissà. I cinque senatori a vita di fresca
nomina, qualche «responsabile», una dozzina di grillini… Poteva non cadere, e
allora la sconfitta sarebbe stata atroce. O poteva cadere, ma chi gli assicurava
che si andasse alle urne? Certo non il Quirinale. Dalle urne, d’altronde, chi
gli assicurava di non prendere legnate? E poi: avrebbe potuto ricandidarsi?
La Giunta per le elezioni e le
immunità del Senato avrebbe funzionato anche a Camere sciolte, e di lì a due o
tre settimane la Corte di Appello avrebbe emesso la sentenza sulla pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici. Poteva ricorrere in Cassazione anche su
quella, ma intanto, a Camere sciolte, non sarebbe stato più senatore e una
qualsiasi procura avrebbe potuto chiedere, e ottenere, un provvedimento di
custodia cautelare nei suoi confronti per una delle tante accuse che gli
pendono sul groppone. Che fare, dunque? Il governo, innanzitutto, non doveva
cadere. Questo gli avrebbe dato modo di congelare la scissione del Pdl che
sembrava essere cosa fatta con l’annuncio della costituzione di un gruppo
parlamentare da parte dei cosiddetti «governativi». Doveva scongiurarla. Doveva
prendere tempo. Solo così avrebbe avuto modo di rosolare le «colombe», evitando
per giunta di dover usare lo spiedo lungo che era servito per Gianfranco Fini. Non
c’era altra soluzione: doveva votare la fiducia al governo. Il resto si sarebbe
visto poi, ma votare la fiducia era indispensabile. Era un prezzo enorme? Lo
sarebbe stato per chiunque avesse avuto un minimo di dignità, anche solo due
grammi, ma la sola dignità di Silvio Berlusconi sta nella cura dei cazzi suoi.
Ecco,
per spiegare per quale ragione lo stupore generale del 2 ottobre poteva trovare
spiegazione solo nella piatta ottusità di quanti continuano a rimanere ogni
volta spiazzati dalle sue trovate solo perché usano la loro testa invece di
provare a ragionare con la sua, ci ho messo le oltre 2.500 battute spazi inclusi dell’ultimo capoverso. Ok,
sarò verboso, convengo, ma ognuno ha i propri limiti, e non sono riuscito ad
argomentare più sinteticamente. Dovendo ridurre il tutto a 140 battute
– erano le 22.00, la mattina dopo avevo la sveglia alle 5.00, un post su queste pagine mi avrebbe preso troppo tempo – potevo
far meglio di così?
Boh, non saprei dire. Anche a posteriori, non saprei dire. Sta di fatto che, anche a fronte di ciò tutto che Silvio Berlusconi ci ha mostrato di se stesso da quando è «sceso in campo» fino a quella sera, il tweet destò perplessità. Due perplessità. Una, espressa in modo garbato, rivelava il buon senso chi la sollevava, e il buon senso
– consentitemi la digressione, che piglio a prestito da Ortega y Gasset –
non viene mai meno al dovere di trattare il prossimo alla pari. Ma il buon senso è uno strumento efficace per prevedere le mosse di chi ha per solo movente la lucida disperazione di chi avverte il pericolo
–
reale o allucinato –
di aver tutto da perdere? Silvio Berlusconi è un criminale. O un malato. O entrambe le cose. Dinanzi ad un soggetto del genere la logica che regge il buon senso non può essere più efficace di quanto possa esserlo la conoscenza dell’anatomia felina nella gabbia di un leone che non mangia da una settimana.
Proprio perché non reggeva al buon senso, la previsione era probabile. E così i fatti si sono incaricati di renderla possibile fino all’inevitabile.
La seconda perplessità era espressa in tutt’altro modo. Sul fondo, riportato alla luce dalla frequentazione con gli Angelucci, era ben evidente la nascita in quel di Castellammare di Stabia, mentre tutto intorno ai margini dell’abrasione persisteva il sottile strato di smalto spennellato in quel di Londra.
Quasi un mese è passato. Silvio Berlusconi ha ormai ricompattato il partito. Pare sia intenzionato a candidare sua figlia alle prossime elezioni. Bacino, ancora niente.