«Cuando
os diga un jesuita que ha estudiato mucho,
no lo creáis. Es como si os dijeran
que ha viajado mucho
uno de ellos que cada día hace quince kilómetros de
recorrido
dando vueltas al pequeño de su residencia»
Miguel
De Unamuno, La agonía del cristianismo
Ratzinger
era testo, Bergoglio è gesto. Nel raffronto ci si aspetterebbe di trovare più ambiguità
in Ratzinger che in Bergoglio, perché i piani di lettura sono sempre più
complessi nel testo che nel gesto, ed è nella complessità dell’interpretazione
che solitamente si fa largo l’ambiguo. E invece è tutto il contrario: Ratzinger
non dava modo di essere frainteso, Bergoglio pure troppo.
Ora, s’io fossi
cattolico, la cosa mi procurerebbe ansia. Così s’io fossi un ateo devoto, basta
buttare un occhio ai problemi dispeptici di Giuliano Ferrara, che per digerire
Bergoglio ci ha messo nove mesi e ancora di tanto in tanto gli sale in gola un
po’ d’acido. Peggio sarebbe, addirittura, s’io fossi uno di quei non credenti
che prega Dio perché gli mandi un papa mite e tollerante, possibilmente
socialdemocratico. Niente di tutto questo, perciò Bergoglio riesce solo ad
annoiarmi, come una telenovela sudamericana.
Di più: rimpiango Ratzinger. C’era
da decostruire, cazzarola. Qui, come metti mano, t’invischi nel molliccio che
non ha forma, né consistenza. Chiacchiere, Bergoglio è tutto chiacchiere e
borsone (con dentro Bibbia e rasoio). Insomma, stavi su un’enciclica di Wojtyla
o di Ratzinger per notti intere, smontavi, sezionavi, isolavi… Qui, prendi un’intervista
di Bergoglio, leggi, e che ha detto? Un cazzo.
Diciamola tutta: Bergoglio non è
cattolico, è un esperto di pubbliche relazioni chiamato dal Vaticano a tappare i buchi che con
Ratzinger si erano aperti in voragini. Presto per dire se riuscirà a tapparli,
ma la sensazione è che stia mettendo la sporcizia sotto il tappeto buono. Verrà
il momento in cui non basterà più, probabilmente sarà col suo successore, e
allora sarà più chiaro cos’è accaduto realmente tra febbraio e marzo di quest’anno:
quello che è parso un conclave di rimonta si rivelerà per ciò che veramente è
stato, disperato tentativo di restare a galla dopo il crollo della diga.
Ho
provato a trattare Bergoglio da papa, ma mi è riuscito impossibile. Troverei
meno imbarazzo nel riportare su queste pagine le furiose diatribe che a dodici
anni incrociavo con la mia zia suora sulla Trinità che a perdermi nell’analisi
dei suoi fervorini da parroco piacione. In questi nove mesi non mi son perso
una sua parola, ma ogni volta che ho messo mano alla penna l’ho subito riposta
dicendomi: «Sii serio, hai di meglio da fare che scrostar vernice fresca dal
ferro vecchio».
Così con quel polpettone dell’Evangelii gaudium, di cui mi ero
imposto un commento: più andavo avanti a leggerlo, più sentivo in imbarazzo, io
al suo posto. «Questo non è cattolicesimo – mi dicevo – e forse non è neanche
cristianesimo. “Cristo sorrideva”, dice. E dove cazzo l’ha letto?». Insomma, mi
sono sentito solidale con quei poveracci della Tradizione ai quali Ciccio I fa
giustamente venire l’orticaria e il torcimento di viscere (consiglio la lettura di un post di Almanacco romano che in tal senso è veramente delizioso). Sicché, salvo
sortite occasionali, con questo papa non vi aspettate da parte mia l’assiduo interessamento
che ho concesso al suo predecessore: preferisco guardare con mio figlio documentari
sui dinosauri su Youtube succhiando ghiaccioli. Lui preferisce quelli all’amarena, io quelli al limone.