A
pag. 654 degli Atti del XV Congresso Nazionale della Dc (Roma, 2-5 maggio 1982)
è registrato l’ingresso ufficiale di Mattarella nella vita politica: è tra nomi
della terza delle tre liste dei candidati alla Direzione Centrale del partito,
quella che sostiene la «dichiarazione d’intenti» di De Mita (la prima sostiene
la mozione di Fanfani, Piccoli e Andreotti, la seconda quella di Forlani). Non
interviene, ma non ce n’è bisogno, De Mita ha deciso che sarà lui il suo uomo
in Sicilia, e poi con quel cognome, con quel fratello…
Mattarella sarà devoto a
De Mita fino in fondo: sette anni dopo, al Congresso che metterà fine alla
lunga segreteria di De Mita, Mattarella è il solo a prenderne le difese, a
stigmatizzare quanti festeggiano come per la liberazione da un tiranno, e cita
le Lamentazioni, le Lezioni americane di Italo Calvino, vibrando un monito
solenne e dolente a quanti pensano che con la nuova segreteria, quella di
Forlani, la crisi elettorale del partito possa trovare soluzione nella mera
rivendicazione dell’anticomunismo di sempre. Il comunismo ha fallito, certo, ma
la Dc non è stata solo anticomunismo: aveva ed ha valori alternativi che rischiano di
esser persi a pensare fossero strumentali a un mero antagonismo. Sono i valori
che traggono ispirazione dalla Dottrina Sociale della Chiesa e che trovano
nuovi avversari nei poteri che possono far della politica una sovrastruttura. È
ancora un po’ fumoso, ma due o tre anni dopo i concetti saranno più articolati
e in un convegno organizzato dall’Istituto Aldo Moro punterà il dito sul
rampantismo e sul carrierismo: mantenendosi sul vago, senza fare nomi, leva il
monito contro chi interpreta l’impegno politico «in modo arbitrariamente
esistenziale», senza pensarlo come servizio temporaneo. Dice che l’impegno
politico deve essere gratuito e spende parole dure contro la corruzione di cui
la politica – la vera politica – finisce per diventare vittima per quel
connubio che la stringe al mondo degli affari, dal quale mutua la convinzione
che le sorti delle battaglie si decidono sulla base di chi abbia «il miglior
consigliere pubblicitario». È la condanna della politica come spettacolo, delle
tv commerciali che propongono modelli che rischiano di produrre una «classe
politica mutata in peggio».
Ancora più esplicito due anni dopo, ad un dibattito
che si tiene durante una Festa dell’Amicizia, ma è già il febbraio 1994, la
macchina propagandistica di Berlusconi scalda i motori e tutto è ormai
tremendamente chiaro: le tv di Berlusconi – dice – promuovono una
radicalizzazione dello scontro con un «bipolarismo informativo» che fa leva su «toni
forti e intolleranza», con l’uso di «suadenti tattiche di pubblicità applicate
alla politica che sacrificano programmi e idee». Sarà ancora più duro dopo la
vittoria di Berlusconi alle Politiche, ma questo lo vedremo alla prossima
puntata.
C’è
da supporre che Mattarella abbia già un suo pensiero politico al momento di
scendere in politica, d’altronde è moroteo per dinastia familiare, di certo è
che riesce a dargli articolazione soprattutto dal 1986 in poi. Niente di
particolare, sia chiaro, si tratta del canonico armamentario della sinistra
democristiana – personalismo, visione organicistica della società, solidarismo,
sussidiarietà come ricetta alle pecche del pubblico e del privato,
rivendicazione del laicato come espressione del sensus fidelium che dà corpo al
magistero, ecc. – ma, com’è noto, in esso è possibile distinguere sfumature di
accenti che consentono di delineare profili caratteriali che fanno capo a subcorrenti interne all’area. Mattarella non ne fonda una nuova, va ad
apparentarsi con quella che nella sinistra democristiana ha già fatto filone in
cui sono confluiti via via Moro, Zaccagnini, Gui, Galloni, Bodrato, ecc. Non
proprio demitiano, diciamo, tanto meno assimilabile alla sinistra di Base dei
Marcora o a Forze nuove dei Donat Cattin. Più Lazzati che Dossetti, si potrebbe dire, e più
De Gasperi che Sturzo.
Parametro essenziale a cui bisogna ispirarsi per le riforme
è quello di coinvolgere la società. Riforme necessarie perché i tempi impongono
velocità di decisione, e la velocità, se non è controllata dalle istituzioni,
va a favore di chi nella società è più forte. Perciò – udite, udite – marcatamente
contrario ad un Parlamento che si limiti a ratificare le iniziative del Governo,
dice che questo è contrario alla Costituzione. Inoltre il Parlamento deve essere libero
dalle pressioni delle lobby e – udite ancora, udite – si dichiara a favore del
dissenso di un parlamentare rispetto al suo gruppo, purché esplicito.
Emblematico l’intervento che tiene nel settembre del 1988 ad un convegno
siciliano organizzato da padre Sorge: parole di fuoco contro la cultura
dell’indifferenza e dell’egoismo (racconta di un ragazzo in motorino investito
da un camion al centro di Palermo, al quale nessuno ha prestato soccorso, e
dice che l’episodio l’ha vivamente colpito), elogio del comunitarismo (parla di
Gerusalemme e delle sue case attaccate le une alle altre, come immagine
plastica di una continuità solidaristica), società come impegno alla
partecipazione (dice di aver molto apprezzato un prete che si è rifiutato di
battezzare un bambino, perché il battesimo è inserimento in una comunità, e lì
il prete affermava che comunità non c’era), politica come esercizio di
immaginazione (lo slogan sessantottino che recita «l’immaginazione al potere» –
dice – gli piace da morire), riforme sì, ma non come «capriccio» (devono dar
voce alle persone e avvicinarle allo Stato, sennò non hanno senso).
Decisamente
obbediente alla dottrina cattolica, il nostro Mattarella, soprattutto sulle
questioni bioetiche. Ad un convegno che si tiene a Montecatini Terme, verso la
fine del 1989, mette sullo stesso piano mafia, droga, guerra e aborto, e dice
che la scienza è bella, come no, ma la politica deve metterle un freno, perché
ha saputo che ultimamente un bambino è nato dall’utero della propria nonna e
questo non sta affatto bene. Dice che su questi temi gli fa da vangelo Scienza
e saggezza di Maritain.
Piccola parentesi: state ancora applaudendo al suo anodino discorso di insediamento?
[segue]