Chi
ha letto ciò che in passato ne ho scritto su queste pagine saprà che col M5S
non sono mai stato tenero. Qui non starò a ripetere il già detto, ma, a scanso
di equivoci su quanto segue, premetto che non ho cambiato idea, anzi, penso sia del tutto irrilevante ciò che fa la
differenza tra il M5S di due anni fa e quello di oggi: quella grillina resta cosa populista, tutt’al
più buona, nel caso vi riuscisse, a levarci dai coglioni quella gran
merda di Matteo Renzi, dinanzi al quale perfino Silvio Berlusconi riesce ad acquistare qualche merito. In tal senso, credo che un ballottaggio
tra M5S e Pd sarebbe una partita
tra populismo dal basso e populismo dall’alto, tra neogiacobinismo e neobonapartismo.
Ciò
detto, richiamerei l’attenzione a un vizio ormai assai diffuso, trasversale a
posizioni anche molto distanti, e dal quale spesso non è immune neppure chi potrebbe permetterselo perché fuori dalla quotidiana rissa che si consuma tra gli avventori della cronaca politica italiana: parlo di quell’argomentare
a discredito del M5S con strumenti retorici vistosamente scorretti, e per scorrettezza non mi riferisco ai toni, ma proprio alla sostanza degli argomenti, che spesso mostrano una patente fragilità sul piano logico, primo fra tutti l’addebitargli
colpe che in realtà sarebbero davvero tali solo se la sua natura non
fosse dichiaratamente atipica, e ciò non fosse pienamente legittimo.
Pare che a tanti sfugga, infatti, che in Italia i partiti non sono persone
giuridiche, ma associazioni private che devono coerenza solo allo
statuto che si danno, su regole che stanno in giudizio solo di coloro che le presiedono e dirigono, ai quali è spesso dato un potere di deroga tutto discrezionale. Bene, tutto si può
rimproverare al M5S, tranne il fatto che il suo statuto sia mai stato
violato, e stranamente – stranamente per modo di dire – parrebbe che sia proprio questa la sua maggiore colpa. Si realizza così il paradosso che ai grillini vengano rivolte le critiche più aspre proprio nelle occasioni che confermano la loro fedeltà assoluta allo statuto: sembra non aver peso il fatto che nel M5S si entri e si resti fino a quando si è disposti ad accettare delle regole, per essere costretti ad uscirne quando si violino.
Se già questo basta a far cadere ogni critica intellettualmente onesta
rivolta alla vita interna del movimento, la costante adesione al
programma che esso si è dato dovrebbe far cadere anche quelle
rivolte a questo o quel passaggio della sua azione politica. Non mi si fraintenda: si è pienamente autorizzati a
ritenere aberranti l’uno
e l’altro,
è ovvio, ma non ha senso, che non sia strumentale, contestarli in
quanto atipici, per poi trovarne il loro maggior difetto nel fatto che
vengano coerentemente rispettati. Questo errore di argomentazione,
che in più di un caso sembra sia intenzionale, rivela quel sottaciuto convenire sul fatto che un
partito o un movimento siano in diritto di violare il proprio statuto e di tradire il proprio programma in forza dello stato di necessità di volta in volta imposto da accidenti interni o esterni, sicché la colpa del M5S sarebbe nel non usufruirne a vantaggio di un utile che in definitiva tornerebbe solo al sistema politico, che d’altronde i grillini dichiarano di voler abbattere. In sostanza li si accusa di essere irriducibili, considerando superfluo contestarli nel merito delle loro proposte, che pure sono dichiaratamente alternative a quelle del restante quadro politico, producendo così un altro paradosso: al M5S si addebita la colpa di essere astruso alla sola ragione sociale che i partiti della Seconda Repubblica non hanno smarrito rispetto a quelli della Prima, sebbene tra l’una e l’altra essi abbiamo radicalmente cambiato struttura e funzioni.
Tutto questo mi pare emerga in modo esemplare dalle accuse che gli sono state mosse sul caso che ha riguardato il Comune di Quarto.
Al M5S si rimprovera di aver imbarcato un tizio che oggi è indagato per maneggi con la camorra e – insieme – di averlo espulso appena se ne è venuti a conoscenza, senza che il reato che gli si attribuisce sia passato in giudicato: sembra non avere alcuna importanza che il reato si sia potuto consumare, se veramente è stato consumato, solo in virtù del fatto che il tizio, candidato nella lista del M5S, sia poi stato eletto; né sembra averne alcuna il fatto che, al momento della sua candidatura, non vi fossero elementi tali da farla ritenere inappropriata, mentre allo stesso tempo si ha da ridire sulla ventilata ipotesi che d’ora in poi il M5S sottoponga i propri candidati all’esame della Commissione antimafia. In sostanza, sembra faccia piacere che un eletto delle liste grilline si sia rivelato una mela marcia, ma si ritiene irrilevante che sia stato tempestivamente espulso dal movimento; si ritiene dimostrato che il metodo di selezione dei candidati fin qui adottato non sia pienamente efficace, ma allo stesso tempo si contesta che i grillini ne cerchino uno più sicuro, per giunta affidato ad un’autorità esterna, e questo dopo aver contestato al M5S la sua struttura settaria e la sua natura proprietaria.
Così per quanto attiene al sindaco: via via che si andava chiarendo la sua posizione nella vicenda, che al momento ha di sicuro solo che abbia opposto resistenza alle richieste della malavita locale, il M5S ha adottato nei suoi confronti una linea aderente ai precetti statutari e ai principi programmatici, dalla difesa all’espulsione, e tuttavia non sono mancate critiche per l’una e per l’altra, in entrambi i casi avendo a criterio di accusa quello di una supposta incoerenza che in realtà era l’arrancare della coerenza dietro il progressivo chiarirsi delle posizioni. Quello che dà esatta misura della logica argomentativa che regge la pronuncia d’accusa è tuttavia il massimo capo di imputazione: il M5S non sarebbe stato capace di dimostrarsi impermeabile all’infiltrazione di elementi legati alla malavita organizzata, com’è per ogni altra formazione politica. E questo accade in un caso dove l’infiltrazione è stata solo tentata, e a carico della formazione politica che era la sola a presentare una lista alle elezioni comunali. Ciliegina sulla torta: si erge a pubblico ministero la formazione politica che attraverso uno dei suoi esponenti aveva già stretto un patto con l’organizzazione malavitosa locale, poi saltato perché non aveva potuto presentare una lista, vincere le elezioni, e rispettarlo.
Il M5S resta quel che è, ma i suoi detrattori dimostrano di non potersi permettere argomenti validi per metterlo in discussione. Troppo poco per ignorare gli argomenti validi, che non mancano, ma fin troppo per augurarsi che quelli invalidi soccombano alla prova dei fatti.