giovedì 18 febbraio 2016
[...]
All’inizio
di ogni discussione andrebbe preliminarmente trovato, fra quanti vi
partecipano, un solido accordo sul significato dei termini cui
prevedibilmente si ricorrerà più di frequente, cominciando dal
trovare una definizione pienamente condivisa dell’oggetto
sul quale ci si appresta a discutere: molto probabilmente alla fine
della discussione ciascuno rimarrà della propria idea, ma le
posizioni che si sono confrontate saranno a riparo da ogni possibile
fraintendimento, rivelando la reale forza degli argomenti che le
sostengono. Quasi sempre, invece, questo non accade.
(Si discute di
Dio? Di quale Dio? Solitamente solo a discussione assai inoltrata si
ha la sensazione di stare a perder tempo dietro un oggetto che cambia
di continuo i suoi attributi, avendo dato per scontato fosse
superfluo assegnargli un significato univoco. Per tacere dei casi,
niente affatto rari, nei quali è proprio l’ambiguità
dei termini impiegati a offrire il destro per la costruzione di
paralogismi in cui il significato ad essi attribuito subisce patenti
slittamenti da una premessa all’altra, per dar forza agli argomenti
deboli o per sottrarne a quelli forti.)
Mi pare che questo sia il
rischio nell’accettare
una discussione sulla giustizia sociale nel modo in cui la propone
Matthew Taylor nel video che apre questo post (qui nella versione
originale sul canale Youtube di The Guardian, ma troverete
un’edizione con sottotitoli in italiano su Internazionale). Cosa si intende per
egualitarismo? Per meglio dire: come lo si ottiene? Eludere il punto rende infruttuosa, e perfino pericolosa, la discussione.
(A parte. La pagina di Internazionale ci informa che Matthew Taylor «è stato consigliere di Tony Blair quando era primo ministro del Regno
Unito». Poco ascoltato, direi.)
mercoledì 17 febbraio 2016
Tutta ’sta flemma
Non
ho mai acceso un Google Alert su Ettore Gotti Tedeschi, perciò da un
po’
di tempo l’avevo
perso di vista. Fatemi fare mente locale: dov’è che l’ho
incrociato l’ultima volta? Ah, sì, è stato nella relazione che il
Vaticano commissionò a uno psichiatra per accertare il suo stato di
salute mentale. O era uno psicoterapeuta? Mah. Non rammento nel
dettaglio quale fosse la diagnosi, però mi pare non lo si
descrivesse in forma smagliante, diciamo. Se non erro, gli si
attribuiva «un
parziale scollamento dal piano di realtà assimilabile a una
disfunzione psicopatologica nota come “accidia
sociale”»,
che si manifesterebbe come «passione
dell’indifferenza».
Cazzate. Per meglio dire: ammesso che allora fosse una diagnosi
seria, oggi direi sia in ottima forma. Più di Ernesto Galli della
Loggia, in ogni caso. E certamente più di Giuliano Ferrara, anche se
poi lì non è che ci voglia molto. Su il
Giornale
di martedì 16 febbraio Ettore Gotti Tedeschi ci offre una
riflessione sullo stesso tema trattato dai due nei giorni precedenti
(Corriere
della Sera,
13.2.2016;
Il
Foglio,
15.2.2016) – e la morale cattolica non conta più cazzo, e il mondo
va a rotoli, e finirà che ci accoppieremo con le scimmie e coi cammelli – ma con una tal flemma... Ecco, finirà
che tutta ’sta
flemma gli procurerà un’altra
diagnosi di disfunzione psicopatologica. Peccato, perché a pelle poi
mi sta simpatico, ma pure lui però, che cazzo, dovrebbe sapere che
certi valori si difendono schiumando bava e con gli occhi accesi di
brace.
martedì 16 febbraio 2016
[...]
L’ho
scritto a caldo, dieci giorni fa: non sapremo mai la verità sulla morte
di Giulio Regeni, che tuttavia puzza moltissimo di operazione tesa a
incrinare le buone relazioni di interscambio tra Italia ed Egitto,
destinate a rafforzarsi ancor di più dopo la scoperta da parte
dell’Eni
dell’enorme
giacimento di Zohr, a scapito della Francia, soprattutto, ma anche
del Regno Unito, con notevoli ripercussioni sulle loro economie
interne. Fosse stato eliminato dalla polizia o dai servizi segreti
egiziani, il suo corpo non sarebbe mai stato ritrovato: partivo da
questo solo dato per formulare l’ipotesi,
che ora vedo diventare una pista battuta pure da chi investiga sul
caso (ne davano notizia, stamane, Fiorella Sarzanini per il Corriere
della Sera e Carlo Bonino per la
Repubblica). Questo mi fa osare un altro
azzardo: dal trattamento subìto da Regeni penserei a una cellula
della Dgse (Direction
générale de la sécurité extérieure).
«Santità, fa niente, ormai è acqua passata»
Ovunque
arrivano, srotolano una pergamena e ad alta voce leggono:
«Da
parte del re, don Ferdinando, e di sua figlia, donna Giovanna, regina
di Castiglia e Leon, soggiogatori di popoli barbari, noi,
loro servi, vi notifichiamo e vi facciamo sapere, come meglio
possiamo, che Dio nostro Signore, uno ed eterno, creò il cielo e la
terra, e un uomo e una donna dei quali noi e
voi e tutti gli uomini del mondo furono e siamo discendenti e
procreati, e tutti quelli che verranno dopo di noi. Ma per la
moltitudine della generazione che da questi è uscita da cinquemila
anni e ancora più da che il mondo fu creato, è stato necessario che
alcuni esseri umani se ne andassero da una parte e altri dall’altra,
e si dividessero in molti regni e province, poiché in una sola non
potevano sostenersi e conservarsi. Da queste genti Dio, nostro
Signore, diede l’incarico a uno, che fu chiamato San Pietro, che
fosse il signore di tutti gli uomini e il superiore di tutti quelli
che gli obbedissero, e fosse capo di tutto il genere umano, ovunque
gli esseri umani si trovassero in qualunque legge, setta o credenza;
e gli diede tutto il mondo come suo regno e giurisdizione, e secondo
la sua volontà egli stabilì che la sua sede fosse posta
a Roma, in quanto luogo più adatto a governare tutte le
genti, cristiani, musulmani, ebrei, pagani o di
qualsiasi altra setta o credenza fossero. Egli fu chiamato Papa, che
significa ammirabile padre, superiore e governatore di tutti gli
esseri umani. A questo San Pietro fu tributata l’obbedienza
e il rispetto come a signore, re e superiore dell’universo da
quelli che vivevano in quel tempo, e così fecero nei confronti degli
altri che dopo di lui furono eletti al pontificato, e così si è
continuato fino ad ora, e si continuerà finché finisca il mondo.
Uno dei pontefici passati, che al posto di questo successe in quella
dignità e sede che ho detto, in quanto signore del mondo, fece dono
di queste isole e terraferma del mare Oceano ai detti re e regina e
ai loro successori in questi regni, con tutto ciò che c’è in
essi, come è contenuto in certi scritti che furono stabiliti su ciò,
come è stato detto, che potrete vedere se vorrete. Così le loro
maestà sono re e signori di queste isole e terraferma in virtù
della suddetta donazione; e alcune altre isole e quasi tutte cui
questo è stato notificato hanno ricevuto le loro maestà come tali
re e signori, e li hanno serviti e li servono come devono fare dei
sudditi, e con buono volontà e senza alcuna resistenza, e poi senza
dilazione, appena furono informati delle cose suddette, obbedirono e
ricevettero gli uomini religiosi che le Loro Altezze inviavano loro
perché predicassero e insegnassero la nostra santa Fede, e tutti
loro, di loro libera e spontanea volontà, senza alcun premio né
condizione, sono diventati cristiani e continuano ad esserlo, e le
Loro Maestà li ricevettero lietamente e benignamente, e comandarono
di trattarli esattamente come gli altri sudditi e vassalli; e voi
siete tenuti e obbligati a fare la stessa cosa. Quindi, come meglio
possiamo, vi preghiamo e vi chiediamo che intendiate bene ciò che vi
abbiamo detto, e che per intenderlo e deliberarvi vi prendiate il
tempo che fosse giusto, e riconosciate la Chiesa come signora e
entità suprema dell’universo, e il sommo Pontefice, chiamato Papa
in suo nome, e il re e la regina donna Giovanna, nostri signori, in
suo luogo, come superiori e re di queste isole e terraferma, in virtù
della suddetta donazione, e che consentiate e diate modo che questi
padri religiosi vi dichiarino e predichino il suddetto. Se farete
questo, e tutto ciò cui voi siete tenuti e obbligati, farete bene, e
le Loro Altezze, e noi in loro nome, vi riceveremo con tutto l’amore
e la carità, e vi lasceremo le vostre moglie e i vostri figli, e le
fattorie libere e senza vincolo di servitù, perché di queste e di
voi stessi voi facciate liberamente quello che vogliate e riteniate
bene: non vi obbligheremo a farvi cristiani, se non nel caso che voi,
informati della verità, vogliate convertirvi alla nostra santa Fede
cattolica, come hanno fatto quasi tutti gli abitanti delle altre
isole, e oltre a ciò le Loro Maestà vi concederanno privilegi ed
esenzioni, e vi faranno molti doni. Ma se voi non faceste ciò, o in
ciò voi interponeste maliziosamente delle dilazioni, vi faccio
sapere che con l’aiuto di Dio noi entreremo potentemente contro di
voi, e vi faremo guerra da tutte le parti e i modi che potremo, e vi
assoggetteremo al giogo e all’obbedienza della Chiesa e delle Loro
Maestà, e prenderemo le vostre persone, e le vostre mogli e i vostri
figli e li faremo schiavi, e come tali li venderemo e disporremo di
loro come le Loro Maestà comanderanno, e vi prenderemo i vostri
beni, e vi faremo tutti i mali e i danni che potremo, come si fa ai
vassalli che non obbediscono, né vogliono ricevere i propri signori
e oppongono loro resistenza e disobbedienza; e dichiariamo che le
morti e i danni che faranno seguito a ciò saranno attribuiti alla
vostra colpa e non alle Loro Maestà, né a noi, né a questi signori
che vengono con noi. E chiediamo al presente notaio che ci dia un
certificato firmato di ciò che diciamo e richiediamo, e preghiamo i
presenti che siano testimoni».
Il
testo è stato scritto da Juan López de Palacios Rubios e
naturalmente ha avuto l’approvazione papale. Non incontra
entusiasmo, diciamo, e allora inizia il massacro. Cifre ballerine, in
ogni caso non meno di 800.000 indios vengono sterminati in poco più
di un ventennio. Robe che al confronto l’Isis è una banda di
sfessati.
Meno
male che 500 anni dopo arriva Bergoglio e chiede scusa: «Scusate
se siete stati esclusi e incompresi». Mica squartati e bruciati:
esclusi e incompresi. Ma è il caso di star lì a fare i pignoli?
L’importante è il pensiero.
Doveroso
un «Santità, fa niente, ormai è acqua passata», sennò l’indios
rimedia la figuraccia del rancoroso e si becca la brutta reputazione
di cristianofobico.
lunedì 15 febbraio 2016
Dice: vabbè, però
Non
date retta a chi vi dice che con l’età
s’impara a tollerare tutto. Non
so quanto possa valere in generale, ma direi che accada proprio il
contrario, e non parlo per me solo, perché pure in molti miei
coetanei, conoscenti e amici, scopro tratti di rigida inclemenza,
spazientita insofferenza, ipersensibile tigna, alle quali manca solo
la sventatezza della gioventù per appiccare fuochi e scatenare
risse. Date retta a me: più si va avanti negli anni, meno si tollera.
Sembra tolleranza, ma è stanchezza. La voglia di sfregiare con un
coccio di bottiglia chi ti sta sul cazzo è intatta, ma la fiacca ti
scoraggia, l’impeto che avrebbe dovuto
farti gonfiare il petto riesce solo a farti fare spallucce, e chi ti
osserva fraintende: «L’età lo ha reso conciliante – pensa – e
quello che un tempo gli avrebbe fatto commettere un omicidio, guarda,
ora gli dona quell’adorabile ironia». Stronzo. Non ha
capito niente.
Ma che volevo dire? Ah, ecco, quasi dimenticavo.
Volevo dire: passi che un giornalista raccolga in un volume i propri
articoli invece di lasciarlo fare ai posteri, nel caso, ma quello che
firma articoli che sono stralci tratti da un suo volume? Madame
Bovary e I fratelli Karamazov furono dapprima pubblicati a
puntate sulle pagine di un quotidiano, poi raccolte in un volume: non
sarebbe stato ridicolo accadesse il contrario? E parliamo di Flaubert
e Dostoevski, di due capolavori della letteratura d’ogni
tempo, ma che dire di Filippo Facci che da quattro o cinque settimane
firma per Libero degli articoli che sono dei copia-incolla dei
capitoli del suo Misteri per orchestra (Mondadori, 2011)?
Dice: vabbè, però alla serie è dato il titolo del libro. E chi
lo sa che è il titolo del libro? Al lettore non lo si è detto, né
alla pubblicazione del primo degli articoli, né a quella dei
successivi. Dice: vabbè, ma questo non può essere che un pretesto,
dicci cos’è che ti ha fatto
girare i coglioni; e poi perché venircelo a dire solo adesso? Perché
ha twittato il link alla pagina di Dagospia che riportava il
testo del suo articolo pubblicato su Libero? Ti sta sul cazzo
Libero? Ti sta sul cazzo Dagospia? Ti sta sul cazzo chi
da Twitter rimanda a ciò che ha scritto altrove? Un po’,
un po’ e un po’,
ma, più di tutto, il fatto che stavolta l’articolo era il
copia-incolla delle cazzate scritte su Wagner: avevo letto il libro –
trovato su una bancarella di libri invenduti a un euro e cinquanta –
e rileggere quel capitolo su Libero mi ha fatto venire
l’eczema scrotale.
Wagner era
persona detestabile, e Facci non ne fa mistero, anzi, riporta in
sintesi assai brillante, grano dopo grano, tutto il rosario della sua
carriera da mascalzone patentato, però con palpitante simpatia per
le sue sconce malefatte. Tutto già noto dai tempi in cui fu
pubblicata la monumentale biografia di Robert W. Gutman (Richard
Wagner – The Man, His Mind, and His Music – 1968), sicché
non si capisce che senso avesse aprire Misteri per orchestra
scrivendo: «Questo
libro è frutto di ricerche personali e di qualche viaggio».
Dice: vabbè, però dev’esserci
dell’altro, è Facci che ti sta
sul cazzo? Tutt’altro. Mi piace
la sua scrittura, mi piace il suo caratterino, mi piace la sua pettinatura... No, sul cazzo mi
stanno Wagner e tutti wagneriani. Musica scritta per lo stomaco, che
ormai dovrebbe avere mero valore storico-documentale. In un secolo dall’aria
greve per il continuo ruttare dello Spirito quella di Wagner era
l’equivalente della nostra
musica da ascensore. Merda, Wagner è merda. E vedere gente che
ancora si diverte a metterci le mani dentro per farci pupazzetti in cui insufflare i propri tiramenti esistenziali – ma quale tolleranza, ma quale amabile
ironia?
Dal vano della pompa al vostro piatto
È
ormai da qualche anno che rinuncio a postare su queste pagine tutto
ciò che scrivo e uno dei fattori che condannano un post alla
cartella degli inediti – uno, e non è il prevalente – attiene a
un difetto della mia scrittura – uno, e non è il peggiore – che
è quel farmi un po’
troppo prendere
la mano dall’analogia,
dalla metafora e dall’allegoria, che talvolta mi pare fallisca
clamorosamente il fine, appesantendo notevolmente il testo. A mo’
d’esempio, ripesco dalla cartella degli inediti, in cui l’avevo
riposto sabato sera, il commento a un editoriale di Ernesto Galli
della Loggia (Il
fronte unico dei modernisti
– Corriere
della Sera,
13.2.2016), riportandone solo l’incipit, che mi pare possa bastare
a dare un’idea di quanto ho fin qui cercato di spiegare.
«Metter
mano a un editoriale di Ernesto Galli della Loggia è seccante quanto
rimuovere i detriti che intasano il filtro della pompa di scarico di
una lavastoviglie, dove alla pazienza richiesta dallo smontaggio e
dal rimontaggio delle parti del dispositivo, di solito alloggiato in
un recesso tanto angusto da rendere scomodissima l’operazione,
deve aggiungersi il non esser troppo schifiltosi con quel vischioso
materiale che resiste anche al frequente impiego degli sgrassanti
raccomandati per un’accorta
manutenzione dell’elettrodomestico,
anche di quelli reclamizzati come i più drastici. Un lavoraccio, e
tuttavia a qualcuno tocca. Eccomi allora a ficcar le dita nella
maleodorante mucillagine che oggi ingombra il vano della pompa...».
Certo
che abbiate colto il doppio senso dato a vano
e a pompa
per dire della vuota boria traboccante dall’editoriale,
vi risparmio il resto, e vengo alla ragione che oggi mi ha mosso al
ripescaggio: coi rimasugli del rancido e del muffito che intasava la
griglia del filtro, la ventola e il tubo di deflusso, Giuliano
Ferrara pensa di poterci cucinare roba da farci leccare i baffi.
«Ernesto
Galli della Loggia fa resistenza. Ammirevole. Denuncia nel Corriere
il conformismo modernista. Osteggia la parzialità facilista dei
media e dei conduttori televisivi. Sostiene che una parte degli
italiani, sul tema delle unioni civili, dell’adozione dei bambini,
della fecondazione eterologa, e su tutto il resto delle questioni
etiche maggiori, non è rappresentata e inclusa nella discussione
pubblica. Anzi è censurata. Derisa. È a rischio populismo,
costretta com’è a vivere nel disprezzo delle élites, del pensiero
dominante, mainstream».
Di
chi, la colpa? Del papato di Bergoglio, col quale sono andati a farsi
fottere «quasi
trent’anni di combattività cristiana in occidente, in particolare
idee e canoni plurisecolari sui temi della vita, delle scelte di
responsabilità nella cellula sociale che è stata la famiglia, del
tough love, dell’amore come testimonianza adamantina di fiducia nel
futuro, in un’idea di umanità non astratta, non desiderante, non
impiccata alla logica esaltante e ruffiana dei “diritti”. Una
lunga guerra culturale, che era di interesse primario anche per
posizioni laiche non secolariste, è finita: ed è finita con la
resa».
Stessa fetida gromma, però inondata di spezie e leziosamente guarnita. Ma qui, volendo scendere nel dettaglio, il rischio sarebbe ancora quello di cedere all’eccesso di analogia, metafora e allegoria. Stop, mi taccio.
Stessa fetida gromma, però inondata di spezie e leziosamente guarnita. Ma qui, volendo scendere nel dettaglio, il rischio sarebbe ancora quello di cedere all’eccesso di analogia, metafora e allegoria. Stop, mi taccio.
domenica 14 febbraio 2016
Breve, ma densa
Breve,
ma densa, come d’altronde
si
conviene a un Capricorno con Mercurio in Sagittario e Marte in Toro,
la lettura dell’odierno scenario politico italiano che Nicola
Cosentino ha nei giorni scorsi affidato nel carcere di Terni al
senatore Vincenzo D’Anna,
perché Fabrizio D’Esposito
potesse offrircela ieri dalle pagine de Il
Fatto Quotidiano:
dinanzi
all’acutezza
della diagnosi e all’attendibilità
della prognosi, passa in second’ordine
se Nick ’o
Mericano sia
davvero «il
referente nazionale delle cosche casalesi»,
come sostengono i magistrati della Direzione distrettuale antimafia
di Napoli, o invece «il
nuovo Enzo Tortora»,
come ritengono i fracassoni di Via di Torre Argentina.
«Per
come li abbiamo vissuti noi per vent’anni
– dice Cosentino – centrosinistra
e centrodestra non esisteranno più. E un polo moderato con a capo un
giovane premier come Renzi non è del tutto sbagliato. È una buona
idea. Anche perché nel Pd la convivenza tra renziani e minoranza
sarà sempre più inconciliabile e la sinistra interna andrà via»;
e qui è impossibile che il senatore D’Anna
non ci abbia messo a sigillo un bel «suca!»
dei suoi, ma D’Esposito, che da Antonio Polito si è beccato l’english, l’ha certamente espunto.
Miglior sintesi non si poteva dare del nascituro blocco
sociale: ancor più che Partito della Nazione, Polo Moderato. D’altra parte ormai sappiano: due buchi neri fanno vortice, finché l’uno mangia l’altro, e quel che resta mangia il resto.
venerdì 12 febbraio 2016
Giornata dell’Eufemismo
Il
vescovo non riveste la qualifica
di pubblico ufficiale,
né
di incaricato di pubblico servizio, dunque non ha l’obbligo
giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria le notizie che
abbia ricevuto in merito all’abuso
sessuale di bambini da parte di sacerdoti. Così spiegava, il
cardinale Angelo Bagnasco, il 29 marzo 2014, a commento delle linee
guida licenziate il giorno prima dalla Santa Sede nel tentativo di
arginare l’endemico
fenomeno della pedofilia del clero cattolico: una spruzzatina di
lavanda su una fogna ormai a cielo aperto.
Come passa in fretta, il
tempo. Da quando non era neppure un pubblico ufficiale, oggi Sua
Eminenza detta regole alla Presidenza del Senato: gli sta a cuore lo
sviluppo emotivo del bambino, vuole il voto segreto sulla stepchild
adoption. Gli si dovrebbe urlare in faccia che è una merda d’uomo,
ma la sua sortita cade nella Giornata dell’Eufemismo,
e allora, via, accontentiamoci di sussurrargli: «Eminenza,
guardi che questa è gamba tesa».
mercoledì 10 febbraio 2016
Giacché Giulio Mozzi solleva obiezione al riguardo
Una
dozzina di giorni fa, su queste pagine, ho scritto che trovavo «una
sintetica ma esaustiva sinossi della dottrina morale della Chiesa su
quanto attiene a sesso, procreazione, matrimonio e famiglia» nel
«combinato
disposto»
di una
frase di don Luigi Giussani contenuta ne Il
movimento di Comunione e liberazione
(Jaka Book, 1987) e di un
passaggio tratto dall’intervento
di Massimo Gandolfini al Family Day dello scorso 30 gennaio. Giacché
Giulio Mozzi solleva obiezione al riguardo, trovando che «Giussani
e Gandolfini espongano una dottrina piuttosto diversa da quella che
si ritrova nel Catechismo»,
ritengo che per respingerla argomentando nel dettaglio non sia
superfluo riproporre i due brani: «La
realtà del rapporto uomo-donna
trova
compimento nell’esperienza coniugale e ha sostanziale funzione di
arricchire di figli la Chiesa» (Giussani);
«Il
sesso non è il piacere sessuale. Il sesso è la procreazione, è la
trasmissione della vita. Il sesso ci fa partecipi dell’opera
creatrice di Dio»
(Gandolfini).
In via preliminare, vorrei far presente che in entrambi
i casi non ci troviamo dinanzi a parole in libertà, ma a frasi che
anche nella forma riproducono fedelmente degli importanti assunti
dottrinari.
Nel caso di Giussani, riguardo al compimento che il
rapporto uomo-donna potrebbe trovare solo dell’esperienza
coniugale, c’è
esplicito riferimento a una dozzina di paragrafi del Catechismo
(1612-1617; 1652; 2360-2363; 2390), con tutto quanto ne consegue per
definire vero matrimonio solo quello che è sacramento, e cioè
celebrato con rito religioso; in quanto alla sua «sostanziale
funzione di arricchire di figli la Chiesa»,
siamo a un modo un po’
spiccio di sintetizzare il paragrafo n. 5 della Familiaris
consortio
(«Nel
matrimonio e nella famiglia si costituisce un complesso di relazioni
interpersonali – nuzialità, paternità-maternità, filiazione,
fraternità – mediante le quali ogni persona umana è introdotta
nella “famiglia
umana”
e nella “famiglia
di Dio”,
che è la Chiesa. Il matrimonio e la famiglia cristiani edificano la
Chiesa: nella famiglia, infatti, la persona umana non solo viene
generata e progressivamente introdotta, mediante l’educazione,
nella comunità umana, ma mediante la rigenerazione del battesimo e
l’educazione
alla fede, essa viene introdotta anche nella famiglia di Dio, che è
la Chiesa»).
Nel
caso di Gandolfini, invece, troviamo organicamente strutturati: «Il
piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se
stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione»
(Catechismo,
2351); «Gli
sposi partecipano della potenza creatrice e della paternità di Dio»
(Catechismo,
2367).
Cosa resta fuori, di grazia, della dottrina morale della
Chiesa
su quanto attiene a sesso, procreazione, matrimonio e famiglia? Il
sesso deve essere in funzione alla riproduzione, sennò è lussuria,
e cioè peccato mortale. La riproduzione è un dovere degli sposi,
perché così Dio vuole. Il matrimonio è veramente tale solo se si
incardina nella vita della Chiesa come sacramento. La famiglia è
veramente tale solo se è esercizio di Chiesa domestica, cinghia di
trasmissione della fede di generazione in generazione.
Ho detto che è sinossi sintetica, ma non è
esaustiva? Mi pare manchi solo qualche dettagliuzzo tutto sommato
irrilevante, chessò, l’obbligo
di battezzare la prole, mandarla ai corsi parrocchiali per la prima
comunione e la cresima, e la raccomandazione di non far troppo casino
se poi il prete ne abusa sessualmente.
Nel rilievo che Giulio Mozzi mi muove, però, c’è un ben preciso rimando a qualcosa che dovrebbe (non potrebbe non) costringermi a rivedere il mio giudizio: «A me pare che Giussani e Gandolfini espongano una dottrina piuttosto diversa da quella che si ritrova nel Catechismo attuale (e sottolineo “attuale”). Anche ciò che si legge al punto 1652, e che con un po’ di sforzo si potrebbe far echeggiare, mi pare che in realtà dica tutt’altro)». E che c’è scritto? Leggiamo, va’.
Nel rilievo che Giulio Mozzi mi muove, però, c’è un ben preciso rimando a qualcosa che dovrebbe (non potrebbe non) costringermi a rivedere il mio giudizio: «A me pare che Giussani e Gandolfini espongano una dottrina piuttosto diversa da quella che si ritrova nel Catechismo attuale (e sottolineo “attuale”). Anche ciò che si legge al punto 1652, e che con un po’ di sforzo si potrebbe far echeggiare, mi pare che in realtà dica tutt’altro)». E che c’è scritto? Leggiamo, va’.
«Per
sua indole naturale, l’istituto
stesso del matrimonio e l’amore
coniugale sono ordinati alla procreazione e all’educazione
della prole e in queste trovano il loro coronamento».
Io ci leggo un po’
d’incongruo
tra «indole
naturale»
e «istituto»,
ma non voglio fare troppo il pignolo, via: può darsi che con «istituto»
non
si voglia intendere un costrutto che ritaglia un profilo
comportamentale nella «natura»
per
inverarlo nella storia, perciò togliendogli «naturalezza»:
chiudo un occhio e faccio finta di aver letto «sacramento».
Poi?
«I
figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono
moltissimo al bene degli stessi genitori. Lo stesso Dio che disse:
“Non
è bene che l’uomo
sia solo”
(Gn 2, 18) e che “creò
all’inizio
l’uomo
maschio e femmina”
(Mt 19, 4), volendo comunicare all’uomo
una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice,
benedisse l’uomo
e la donna, dicendo loro: “Crescete
e moltiplicatevi”
(Gn 1, 28). Di conseguenza la vera pratica dell’amore
coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne nasce,
senza posporre gli altri fini del matrimonio, a questo tendono che i
coniugi, con fortezza d’animo,
siano disposti a cooperare con l’amore
del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente
dilata e arricchisce la sua famiglia».
Una efficace indoratura della pillola, senza dubbio, ma in cosa
sarebbero smentiti Giussani e Gandolfini?
martedì 9 febbraio 2016
Che diciamo?
«Che
diciamo?», chiede Il Foglio. Diciamo, con Massimo
Gandolfini, che «il sesso non è il
piacere sessuale, ma la procreazione»:
lo pensano i cattolici, perché non lasciarlo pensare pure ai
musulmani? Certo, l’infibulazione
è soluzione barbara, ma sarà che la
repressione basata sull’instillazione del senso di colpa non
convince l’islam.
Come dargli torto? A lasciare il clitoride dov’è,
limitandosi a spalancare le porte dell’inferno
a chi gode per godere, s’è
visto a cosa s’è
ridotto l’occidente
giudaico-cristiano, o no? Si prenda «il
declino demografico italiano [che
sullo stesso numero de Il
Foglio (pagg.
II e III) è]
spiegato in 12 slide»:
avessimo adottato l’infibulazione
per tempo, le curve di quei grafici avrebbero tutt’altro
andamento. Il
Foglio
mangia Machiavelli a colazione, a pranzo e a cena, e poi dobbiamo
spiegargli noi come dev’essere trattato il vulgo perché obbedisca
ai voleri del Principe? «Che
diciamo?».
Diciamo che la violenza fisica dà risultati più affidabili di
quanto ne dia quella psicologica, e che l’amputazione
è sempre più sicura dell’inibizione.
Diciamo, soprattutto, che non si può vantare alcun primato
antropologico su chi pratica l’infibulazione,
avendo in eguale considerazione il piacere sessuale.
lunedì 8 febbraio 2016
[...]
Libertà
di coscienza solo sulla stepchild adoption, precisa Beppe Grillo,
continuando a dichiarare il falso riguardo al fatto che nella
consultazione online del 24 ottobre 2014 non si facesse cenno ad
essa, per giunta ricorrendo ad arzigogoli speciosi e truffaldini nel
tentativo di difendersi dalle critiche di chi gliel’ha rinfacciato.
Resta da capire, tuttavia, perché a un parlamentare del M5S possa
essere concessa libertà di coscienza sull’art. 5 del ddl Cirinnà,
ma non sul resto: chi stabilisce che sia legittimo negarla sull’art.
1? Il riconoscimento delle unioni civili non era nel programma col
quale il M5S si è presentato alle Politiche del 2013, dunque era
possibile candidarsi nelle sue liste senza che alcun impegno, neppure
implicito, fosse sottoscritto in loro favore: chi in coscienza allora
le sentisse inammissibili poteva candidarsi in piena tranquillità.
Se bastava una consultazione online a poter pretendere che, una volta
eletto, si mettesse la coscienza sotto i piedi, cosa impedisce che
un’altra ne venga indetta perché sotto i piedi se la metta pure
chi sente inammissibile la stepchild adoption? Più in generale, chi decide nel M5S fino a che punto è lecito coartare la coscienza?
Prometeo sappia
La riflessione di Marco
Fulvio Barozzi (Popinga) merita di essere qui riportata integralmente: «Se
ancor oggi sono moltissimi coloro che credono agli oroscopi o alla
guarigione per intervento soprannaturale, se l’esposizione del
cadavere mummificato di un “santo” attira folle adoranti, se le
diffidenze fideistiche contro i vaccini stanno aumentando
pericolosamente l’incidenza di morbi infettivi ritenuti ormai
sconfitti, il compito dell’educazione e divulgazione scientifica è
ancora assai difficile e, per certi versi, può apparire senza
speranza: nuove false credenze si affiancano a quelle antiche o ne
prendono il posto, quasi a significare un bisogno innato di
spiegazioni semplici e mitiche, perché il metodo scientifico
richiede impegno e ragionamento, e l’uomo comune preferisce la
meraviglia del mistero a quella della scoperta. L’impero
dell’audience e della tiratura queste cose le sa bene, e affianca
alla ricerca del profitto un livellamento verso il basso della sua
offerta, che si fa sensazionalistica e superficiale, quando non
deliberatamente menzognera. Le
scoperte della scienza e le realizzazioni della tecnica hanno
cambiato e cambiano sempre di più la vita dell’uomo, ma c’è
bisogno che al fatto dell’innovazione si affianchi la spiegazione
del come e del perché, altrimenti anch’essa diventa oggetto di
quella manipolazione mitologica su cui campano ciarlatani,
professionisti della fuffa e della religione, Dulcamara delle
staminali e profeti di una nuova era che assomiglia tanto a un
Medioevo culturale. Il
problema dell’educazione scientifica è principalmente questo:
richiede un minimo di ragionamento, di basi culturali fondamentali,
di capacità di distinguere cause ed effetti. Insomma richiede
fatica. Possiamo cercare di ridurre questa fatica, ma non possiamo
eliminarla. Possiamo schierare tutte le nostre armi pedagogiche e
tutti gli effetti speciali della multimedialità, ma dobbiamo essere
consci che, per la maggior parte delle persone, la fatica è oramai
un disvalore» (*).
Sottoscrivo, ma tutto questo non vale solo per il sapere scientifico: storia, letteratura, musica, arti figurative seguono la stessa sorte. Occorre prendere atto che divulgare è dare perle ai porci, e in fondo lo è sempre stato. Non dico sia inutile, dico che è da folli attendersi risultati pari allo sforzo. Insomma, Prometeo sappia che ha da rimetterci il fegato.
Sottoscrivo, ma tutto questo non vale solo per il sapere scientifico: storia, letteratura, musica, arti figurative seguono la stessa sorte. Occorre prendere atto che divulgare è dare perle ai porci, e in fondo lo è sempre stato. Non dico sia inutile, dico che è da folli attendersi risultati pari allo sforzo. Insomma, Prometeo sappia che ha da rimetterci il fegato.
sabato 6 febbraio 2016
Date tempo al tempo
Martedì
28 ottobre 2014, dalle 10.00 alle 19.00, si tenne la consultazione
online degli iscritti al M5S sulla mozione a firma del senatore
Alberto Airola avente a oggetto il riconoscimento delle unioni civili, che proprio in quelle settimane si apprestava all’avvio dell’iter parlamentare.
Falso, come oggi
afferma Beppe Grillo, che allora la stepchild adoption non fosse in
questione: «Se
credete che sia sacrosanto concedere dei diritti alle coppie di fatto
– recitava il testo della mozione – votate
sì. Se credete che dovremmo avere il matrimonio egualitario vi
consiglio di votare sì lo stesso, perché questo sarà il primo
passo per riconoscere comunque dei diritti alle coppie etero e gay»,
e qui si precisava: «Tenete
presente che il testo sulle unioni garantisce molto le coppie al pari
del matrimonio, salvo adozioni ex novo per le coppie omosessuali».
Anche riguardo alla stepchild adoption, dunque, si chiedeva un parere
su quanto poi avrebbe coerentemente preso forma nel ddl Cirinnà.
Il risultato della
votazione fu favorevole nella misura dell’84,5%
al riconoscimento della unioni civili, comprese quelle tra persone
dello stesso sesso, e alla possibilità che una delle due potesse
adottare un figlio dell’altra:
superfluo dire che questo impegnava tutti i parlamentari del M5S, in
forza del vincolo di mandato, caposaldo statutario del movimento,
sull’esito
della consultazione, che sarebbe stata del tutto inutile laddove si
fosse ritenuto legittimo che ciascuno esprimesse il proprio voto in
piena libertà di coscienza.
Inammissibile meno di un anno e mezzo fa, oggi la libertà di coscienza è benevolmente concessa ai parlamentari del M5S da un Beppe Grillo che evidentemente ne dispone a piacimento, a dispetto della smania di disimpegno dichiarata in dozzine di interviste.
Neanche all’ultimo dei fessi è consentito stupirsi di questo dietrofront: quando perde la sua forza propulsiva, la paranoia avvizzisce in tatticismo. Date tempo al tempo, non dovrebbe mancare ancora troppo: non riuscirete più a distinguere Di Maio da Capezzone.
[...]
C’è
un bel po’ di gente che ha interesse a incrinare i rapporti tra Roma e Il Cairo
dopo che la scoperta del
più grande giacimento di gas nel Mediterraneo da parte dell’Eni
ha dato avvio a un considerevole rafforzamento degli accordi di
partnership economica tra Italia e Egitto. Sulla morte di Giulio
Regeni potrebbe essere estremamente difficile arrivare alla verità.
venerdì 5 febbraio 2016
Non si può escludere che
Il
professor Giovanni Corsello, presidente della Società Italiana di
Pediatria, corre subito a precisare di essere stato frainteso. Aveva
detto: «Non
si può escludere che convivere con due genitori dello stesso sesso
non abbia ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e
relazionale nell’età evolutiva».
Ora
spiega che questo «non
significa affermare che due soggetti omosessuali non
possano garantire a un bambino affettività e
standard educativi in linea con uno sviluppo normale».
A rigor di logica si dovrebbe ritenere superflua questa precisazione,
già tutta implicita nella formula scelta per la sua sortita: «non
si può escludere che non»,
infatti, è cosa ben diversa da «è
certo che»,
«è
altamente probabile che»,
«c’è
il ragionevole sospetto che»,
ecc.
Se
non è chiaro, mi si consenta un esempio. Mettiamo caso dicessi
(ipotesi del terzo tipo): «Non
si può escludere che la formula “non
si può escludere che” sia stata la scelta un po’ furbetta, ma
intellettualmente assai disonesta, per offrire a quanti sono contrari
alla stepchild adoption un argomento che sembrasse vestire i panni
d’una qualche autorevolezza, ma in modo che questa non potesse
essere messa in discussione nel merito, come d’altronde sarebbe
possibile, e in forza di opinioni assai più autorevoli, peraltro
assai meglio argomentate».
Ho detto che l’uso di quella formula è stato un volgare trucchetto
per attribuire valore scientifico a un becero pregiudizio senza poi
dover essere chiamato a risponderne sul piano scientifico? Manco per
niente. Anzi, formalmente nemmeno l’ho insinuato. Di più: avendo
usato anch’io la stessa formula, neanche potrei essere accusato di
averne avuto l’intenzione.
Ma
alla precisazione il professor Giovanni Corsello ha voluto aggiungere
– bontà sua – le ragioni che l’hanno portato a sortire in
questione: «Ciò
che è rischioso –
ha detto – è
un dibattito teso a promuovere situazioni simili come assolutamente
fisiologiche. Si voleva semplicemente sottolineare che su questioni
di tale complessità, che implicano valutazioni fortemente
individualizzate, sarebbe meglio evitare scelte determinate da norme
di legge vincolanti, procedendo con equilibrio e competenza sulla
base delle peculiarità di ogni situazione per garantire al meglio la
tutela dell’interesse
del bambino».
Se
le parole non sono vento per dar aria alla bocca, il professor
Giovanni Corsello ha ritenuto necessario intervenire per segnalare il
rischio che «situazioni
simili»
passino per «assolutamente
fisiologiche» in forza di
«norme di legge vincolanti».
È evidente che egli ritenga non lo siano sempre, e su questo come è
possibile dargli torto? D’altronde
questo è assicurato a un bambino allevato da una coppia
eterogenitoriale, e per la sola ragione del fatto che si tratti di
una coppia eterogenitoriale? No di certo, né che si tratti in
entrambi i casi di genitori biologici, né se il genitore biologico è
uno solo dei due, né se entrambi sono genitori adottivi. Allo stato,
e in tutti e tre i casi, si dà per scontato che sussistano le
condizioni «assolutamente
fisiologiche»,
salvo il doverle escluderle, con quanto ne consegue per l’affido
del bambino a un’altra
coppia. Ma perché con coppie di persone dello stesso sesso dovremmo
adottare misure inverse? Cosa solleva la coppia eterogenitoriale
dall’onere
della prova che invece dovrebbe essere imposta, caso per caso, alla coppia
omogenitoriale? In altri termini, quale sarebbe il fattore che
assicura una maggiore probabilità di condizioni «fisiologiche»
nella prima rispetto alla seconda? È una supposta patologia della
condizione omosessuale a sostenere questa inferenza?
Si
tratta di domande alle quali chiunque può rispondere attingendo al
bagaglio dei propri pregiudizi per potersi trovare concordi
all’impostazione
data dal professor Giovanni Corsello, sta di fatto che il professor
Giovanni Corsello interviene del dibattito come pediatra, anzi, come
presidente della Società Italiana di Pediatria, unendo così
all’autorità
dell’uomo
di scienze il prestigio di una carica significativamente
rappresentativa. Può, dunque, intervenire, ma rispondendo del peso
che le sue affermazioni pretendono di avere. Il problema è che da
uomo di scienze non ha nulla al quale appendere le proprie
affermazioni: gli studi scientifici sullo sviluppo psichico e
relazionale dei bambini allevati da coppie omogenitoriali non
rivelano alcuna significativa differenza rispetto a quello dei
bambini allevati da coppie eterogenitoriali. Non meno grave che se
avesse detto: «Non
si può escludere che i vaccini provochino l’autismo»,
cosa che gli sarebbe costata cara. Non si può escludere, invece, che
la sua uscita sull’omogenitorialità
gli tornerà assai utile. Né si può escludere che quello fosse il
calcolo.
martedì 2 febbraio 2016
[...]
Sul
fronte opposto a chi invano chiede un’amnistia,
Marco
Travaglio, che invano teme ne venga prima o poi concessa una,
commette lo stesso errore: sostiene che il Messaggio alle Camere di
Giorgio Napolitano avesse come fine quello di sollecitare il
Parlamento proprio in quel senso. Entrambi i fronti, per opposte
ragioni, entrambe facilmente intuibili, sembrano voler ignorare che
in quel testo il ricorso a provvedimenti di clemenza
era indicato solo come uno dei possibili rimedi al sovraffollamento
carcerario, per giunta messo in fondo all’elenco,
dopo «l’introduzione
di meccanismi di probation»,
«la
previsione di pene limitative della libertà personale ma non
carcerarie»,
«la
riduzione dell’area applicativa della custodia cautelare in
carcere»,
«lo sforzo
diretto a far sì che i detenuti stranieri possano espiare la pena
inflitta in Italia nei loro Paesi di origine»,
«l’attenuazione
degli effetti della recidiva»,
«un’incisiva
depenalizzazione»,
«un nuovo
impulso al Piano Carceri».
In quanto ai provvedimenti di clemenza, ne era rimarcato il carattere
di «straordinarietà»,
con la raccomandazione di accompagnarli a
«vere e proprie riforme strutturali», senza sottovalutare
«il
pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto da
parte di condannati scarcerati».
Ad una lettura non di comodo del suo Messaggio alle Camere ce n’è
ancora per dire che Giorgio Napolitano chiedeva al Parlamento
un’amnistia,
e solo quella?
Ernesto Galli della Loggia si chiede
Ernesto
Galli della Loggia si chiede perché solo oggi gli omosessuali
rivendicano il diritto di sposarsi e di allevare dei figli: «Come
mai la rivendicazione di un tale diritto in precedenza non era mai
venuta in mente a nessuno? Gli omosessuali non sentivano, forse, ieri
il bisogno di sposarsi e di avere figli?»;
giacché gli sembra che tale diritto sia rivendicato in nome dei
principi che informano la democrazia liberale, chiede: «La
democrazia non era abbastanza liberale? Non eravamo abbastanza
democratici, o che?». Domande
retoriche, ovviamente, perché ha già tutte le risposte: «L’ascesa
del matrimonio gay nel cielo dei diritti non deriva da alcun
principio inerente alla democrazia liberale. È solo il frutto della
specifica evoluzione storica della nostra società, della sua
progressiva secolarizzazione individualistica, e della conseguente
volontà delle maggioranze parlamentari che in essa si formano».
Solo a questo punto – e siamo ormai a metà del suo editoriale –
comprendiamo dove vuole andare a parare: intende sostenere che i veri
diritti umani precedono l’uomo,
sono inscritti nella sua natura ab
initio, e che l’evoluzione
storica si limita a scoprirli, riconoscendoli in quanto tali quando
sono tali, ma pure quando non lo sono. Potremmo anche concederglielo,
ma poi a chi spetta dire l’ultima
parola sulla genuinità di un diritto di cui ieri nessuno avvertiva
la necessità e di cui oggi si chiede il riconoscimento?
Siamo
in Alabama, nei primi anni Sessanta, e c’è
chi chiede la legalizzazione dei matrimoni misti: chi decide se si
tratta di un diritto o di un capriccio? Chi decide se la società
abbia o non abbia a trarre danno dal riconoscere a una donna bianca
il diritto di sposare un uomo di colore? E a entrambi sarà giusto
concedere il diritto di mettere al mondo dei figli che poi dovranno
sopportare il peso di essere dei mulatti? L’attenzione
non dovrebbe essere spostata sui diritti del bambino? Siamo sicuri
che autorizzare i matrimoni misti non causi sofferenza a un povero
bambino che si sentirà diverso sia dai bambini bianchi sia dai
bambini neri? Possiamo, in nome dell’amore,
dar vita a famiglie tanto bizzarre? Che fare? Lasciar decidere al
Congresso? Sottoporre il dilemma alla Supreme Court? Sì, vabbè,
’sti cazzi: «Basta
la volontà di una maggioranza, di una qualunque maggioranza
parlamentare, per autorizzare una pratica sociale, per stabilire
qualunque diritto, anche negli ambiti più cruciali riguardo il
profilo storico-antropologico di una collettività?».
Poi, «nella storia di tutte le
Corti non si contano i casi in cui il riconoscimento di un diritto a
lungo rifiutato è stato poi ammesso»,
insomma, chi potrà mai assicurarci che poi non finiscano per
consentire la celebrazione di matrimoni misti solo in base ad
un’interpretazione
eccessivamente estensiva della «pari
dignità sociale»?
Cazzarola,
il rischio è grosso. Lasciamo tutto com’è,
via, aspettiamo che tra una sessantina d’anni
Ernesto Galli della Loggia ci dica dalle pagine del Corriere della
Sera se quello che s’è
scovato in Alabama è un vero diritto o un frivolo capriccio. Ché
poi si sa come si inizia e non si sa come va a finire: oggi permetti a un
nero di sposare una bianca e domani lo slippery
slope te ne fa rotolare uno fino alla Casa Bianca.
lunedì 1 febbraio 2016
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