martedì 23 marzo 2010

O viceversa?


L’Osservatore Romano di martedì 23 marzo offre al lettore il testo della relazione con la quale Agostino Paravicini Bagliani ha aperto giorni fa, a Sulmona, un convegno su Celestino V: “colui che fece per viltade il gran rifiuto” rinunciando all’immenso potere che a quei tempi era in mano a un pontefice romano – cosa curiosa – non vi è mai nominato, mentre invece vi ricorre ben nove volte – se non me n’è sfuggita una decima – il nome di Innocenzo III, un papa che più diverso da Celestino V proprio non si può: un papa che fu l’incarnazione stessa della teocrazia cristiana, e che diede al potere del pontefice romano una forza così intensa che di poi sarebbe potuta solo scemare.
Cosa curiosa, ma forse neanche troppo, perché per capire la portata del rifiuto di Celestino V non è affatto secondario capire quanto esteso e intenso fosse, a quei tempi, il potere del papato in Italia e in Europa; e i cenni a Innocenzo III che sono nel testo di questa relazione ne danno un brillante ritratto, impressionistico e impressionante.
Innocenzo III si conferisce “plenitudo potestatis” (i laici sotto, il clero sopra e, al vertice del clero, il papa, guida politica e spirituale); si dà il titolo di “caput et fundamentum totius christianitatis” (“necessità e utilità di tutto il popolo cristiano”); si dichiara Dio in terra (gli ultimi erano stati gli imperatori romani); batte moneta, riscuote tasse, si costruisce un palazzo apostolico con caratteristiche di fortezza imperiale; si celebra in prove di egemonia culturale mettendo il tallone sul pensiero, le arti e le scienze, e asservendo tutto all’obbedienza. Un criminale, insomma, così verrebbe spontaneo dire se uno volesse cedere all’antistoricismo.

Il Bagliani non andava fuori tema, forse. Nemmeno io, però. E infatti mi sono intrattenuto su Innocenzo III partito per dare una risposta a Ernesto Galli della Loggia che, sul Corriere della Sera di domenica 21 marzo, lamentava da parte delle “società occidentali un atteggiamento sprezzante, quando non apertamente ostile, verso il cristianesimo”. Lamentava una “contestazione sul terreno dei principi”, un “radicalismo enfatico nutrito d’acrimonia” verso le stesse radici cristiane d’Italia e d’Europa. Lamentava che alla Chiesa di Roma ci si rivolga sempre più spesso con un “tono oltraggiato e perentorio che dà tutta l’idea di voler preludere a una storica resa dei conti”, con “la ridicola condanna di tutte le malefatte, le uccisioni e le incomprensioni addebitabili al cristianesimo”, e con l’antistoricistica “applicazione dei criteri di oggi ai fatti di ieri”. Lamentava che “lo stesso senso comune della maggioranza stia diventando di fatto anticristiano”, a causa di un ignorante e volgare “illuminismo divenuto chiacchiera da bar”. Lamentava “quel feroce tratto nazionale che per principio non può credere in alcuna cosa che cerchi la luce, che miri oltre e tenga lo sguardo rivolto in alto, perché ha sempre bisogno di abbassare tutto alla sua bassezza”

Col massimo rispetto per tutta questa afflizione: questo accade in reazione alle pretese del papato. Che non è più quello di Innocenzo III, certo. Ma che non lo è più, non già perché il papato abbia ceduto o distribuito potere, ma perché gliene è stato sottratto, non senza resistenze.
Le pretese odierne del papato hanno cambiato solo la forma: il papa continua a conferirsi “plenitudo potestatis” (diretta sul piano spirituale e indiretta su quello politico); non batte più moneta e non riscuote più tasse, perché la storia gli ha scippato queste prerogative, lasciandogli una rendita parassitaria, cioè da parassita, e però la sua corte è fortezza. Non è più Innocenzo III, ma per lui il Medioevo rimane il top.

Professore, chi è antistoricista? Chi è stato costretto a rinunciare alle pretese del IV Concilio Lateranense, e continua di fatto a ritenerle legittime o, invece, chi ravvede nella natura stessa del papato, sempre diversa e sempre uguale, il vero oltraggio alla storia?
Cosa offende di più la storia, professore, l’“applicazione dei criteri di oggi ai fatti di ieri” o viceversa?

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Da quale opera è tratta questa illustrazione? Il solito buono-libri in premio al primo che indovina.

lunedì 22 marzo 2010

"Comando del Signore", ma pure della Segreteria di Stato?


Silvio Berlusconi ha ormai per certo che il risultato della partita nel Lazio avrà importanti ripercussioni sulla tenuta del suo governo, cioè della sua stessa sorte politica, cui è indissolubilmente legata quella personale. Sa che si sta giocando il culo, insomma.
La sconfitta di Renata Polverini, che fino a poco fa poteva pure tornargli utile per tentare di chiudere i conti con Gianfranco Fini, oggi sarebbe una sua sconfitta, con l’abbrivio di quel processo di indebolimento della maggioranza di governo, che al momento è solo nelle sue contraddizioni interne, peraltro sempre più evidenti. Sa che la sconfitta del centrodestra nel Lazio darebbe una pericolosa accelerazione al ricompattamento delle opposizioni: non ancora la sua fine, ma qualcosa in più del suo inizio. O almeno così sente. O meglio – si dovrebbe dire – così appercepisce.
Fisiologico che chieda aiuto alla Santa Sede, che nel Lazio conta qualcosa. Fisiologico che lo faccia da mercante, con un’offerta. Ed eccolo lodare Benedetto XVI, ascrivendogli le virtù che fanno grande un uomo di potere dinanzi a un’emergenza, che in questo caso è l’incalzante critica alle responsabilità della Chiesa nella gestione dell’annoso problema dei suoi sacerdoti pedofili, ma in filigrana è il paradigma stesso di emergenza, quello che tante volte gli è stato utile per cucirsi addosso le stesse virtù.
Dice che il papa è “chiamato a confrontarsi con situazioni difficili, che diventano motivo di attacco” a lui e alla baracca cui sta a capo: un “attacco” che può portargli solo chi “si lasci guidare da sentimenti pregiudizialmente ostili”. È che anche il papa ha un suo Partito dell’Amore e la joint venture è una tentazione d’obbligo.

Potrebbe funzionare, se non fosse che a tendergli la mano non è la Santa Sede, ma la Cei. È il suo presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, a porre ufficialmente il veto sul nome della Bonino: l’elettore che voglia dirsi tranquillamente cattolico, senza che a smentirlo sia la Chiesa cattolica, non può che votare la Polverini, e “questo obbligo assurge alla dignità di comando del Signore, dunque non si può venir meno”. E però Bagnasco ha un mandato dalla Segreteria di Stato Vaticano o l’iniziativa è sua?
Non è questione di poco conto: se ha corrisposto all’offerta di Berlusconi senza aver prima avuto l’ok del cardinal Tarcisio Bertone, all’orizzonte si profilano guai.
Se la Bonino vince, la Santa Sede si troverà nell’imbarazzante condizione di esserle stata ostile in campagna elettorale, se non direttamente, indirettamente, sottoscrivendo col silenzio le parole del presidente della Cei. Parole che, d’altra parte, non può delegittimare pubblicamente: Bagnasco non ha fatto altro che tradurre in una pastorale a fini elettorali il magistero morale che la Chiesa impartisce ai suoi fedeli. Poteva non farlo, dandolo per scontato, e in fondo non ha fatto nomi, vi ha solo fatto eloquente allusione. Ma il problema resta, ed è lo stesso che ha fin qui contraddistinto la stagione post-ruiniana: la chiesa locale non sarebbe autorizzata a tenere relazioni politiche, perché la Santa Sede vuol riservarsi l’ultima parola, ma ancora una volta la Cei gliela toglie, con ciò impedendole – nel caso – il suo santo esercizio di Ostpolitik.

Non ci saranno conseguenze per questa iniziativa del cardinal Bagnasco, non se la Bonino perde. Se la Bonino vince, invece, li vedremo ancora – come diceva Benedetto XVI? – sbranarsi. E avrà la peggio Bagnasco, c’è da giurarci.

Code




 
Ricevo una email delirante, di anonimo corrispondente con una IP che mi è data in un’area tra Verona e Vicenza (salvo rimbalzo), e firmata Hahaiah, che può essere uno sbellicarsi, sì, ma pure il nome di un angelo, custode dei nati dal 16 al 20 maggio, membro del Coro dei Cherubini, e il cui nome significa “Dio è il mio rifugio”.
Propendo per l’ipotesi dell’angelo che gioca a rimpiattino, perché la email mi vomita addosso un odio tipicamente cattolico, quell’odio lividissimo di cui sono capaci solo i sedicenti buoni, un odio timidetto nel dichiarasi odio, e però assai mal nascosto sotto il vittimismo e il richiamo al timor di Dio, di modo che di qua sporge sempre un muso d’odio e di là ne sporge sempre il culo. Bene, non voglio farla lunga: Hahaiah mi avvisa che Dio mi punirà per il male che sto facendo alla Chiesa e che presto avrò il castigo che merito.
Per due o tre osservazioni scribacchiate su un blog di serie C ospitato su una piattaforma che pisciava da mille buchi, parrebbe che Dio sia intenzionato a punirmi per quelle: Hahaiah le trova – potrete immaginare come mi sia gonfiato d’orgoglio nel leggerlo – “perfide” e “distruttive”, insomma, roba che ci si becca l’inferno.

Al pennuto messaggero di Dio rispondo da qui. Anche ciò che è di palese evidenza, dunque, è da considerare offesa a Dio, sfolgorante Hahaiah, se non coincide con la versione – spesso assurda, sempre illogica, non di rado mistificatoria – della sua Chiesa? Si va all’inferno anche solo per l’aver fatto notare che il 5% di preti pedofili equivale a un prete pedofilo ogni venti preti che chissà, quando la media fra i laici è di un pedofilo ogni duemila? Si è “perfidi” e “distruttivi” nei confronti della Chiesa solo a dire questo, e a cercare di capire il perché di questa curiosità statistica?
Ma va’ a cagare, per piacere.

Già che mi trovo, ci mando pure Berlicche. Dovevo mandarcelo giorni fa, ma il trasloco mi ha distratto.
Alludendo a chissà cosa, mercoledì 17 marzo, Berlicche scriveva: “Cercano di intimorirti per costringerti a ritirarti. In maniera da averla vinta. Screditarti. Eliminarti. Toglierti dai piedi. Definitivamente. E ciò è più importante della verità. Secondaria, la verità. Ininfluente. Se fosse vera verità, sarebbe dalla nostra parte, questo è il ragionamento. Se pure v’è un ragionamento. E se non c’è violenza fisica, non ancora, è perché manca l’opportunità”.
Ad una mia timida obiezione, vaga quanto la sua lamentela, Berlicche rispondeva: “Malvino, so che tu e il tuo gregge di lupi siete sempre in prima linea là dove c’è un’ingiustizia, una prevaricazione, una irragionevole accusa. Dalla parte degli accusatori, ovviamente. È la missione che ti sei scelto, cercare di fare del male per il male, no?”.
Va’, Berlicche, va’.

I radicali indulgenti verso la pedofilia?


Non è la prima volta che ai radicali viene rivolta l’accusa di coltivare – o almeno di aver coltivato in passato – qualche indulgenza di troppo nei confronti della pedofilia. L’accusa è ripetuta, oggi, da don Fortunato Di Noto, su Libero di domenica 21 marzo, ma non è la prima volta, perché l’ha già fatto molte volte, dal 2000 in poi, e sempre quando ad essere accusati di abusi sessuali su minori erano dei preti: alle accuse che in queste occasioni i radicali hanno puntualmente mosso alla Santa Sede, come responsabile di quella rete di copertura che di fatto ha sottratto per lunghissimo tempo alla giustizia civile i preti che hanno compiuto violenze su bambini, don Fortunato Di Noto ha risposto e risponde rispedendo l’accusa al mittente.

Ad analizzare con più attenzione questo meccanismo riflesso, si evidenzia in esso – prefigurandolo – quel “difendersi contrattaccando” che Giuliano Ferrara consigliava alle alte gerarchie vaticane non più d’una settimana fa, in risposta alle critiche che piovono sulla Chiesa di Roma da tutti i paesi nei quali la pedofilia del clero cattolico è emersa per entità come vero e proprio «fenomeno».
Consiglio che in buona sostanza è stato raccolto dal cardinale Camillo Ruini, prima, e dallo stesso Benedetto XVI, poi: la pedofilia dei preti cattolici – questo è quanto il Vaticano manda a dire al mondo – sarebbe esclusivamente colpa dei tempi moderni e della liberalizzazione dei costumi sessuali. Si vorrà negare che i radicali non ne siano responsabili in qualche misura?

Ma donde può trarre spunto l’accusa ai radicali che don Fortunato Di Noto ripete per l’ennesima volta dalle pagine Libero? Da un convegno dal titolo «Pedofilia e internet» che i radicali tennero nell’ottobre del 1998 e nel corso del quale si sarebbe affermato che “la pedofilia è un orientamento sessuale come un altro”.
Bene, la citazione è infedele: nel corso di quel convegno l’affermazione non fu mai fatta. Vi furono, è vero, due posizioni – peraltro isolate – che in modo strumentale potrebbero essere lette nel senso che tornerebbe utile a don Fortunato Di Noto, ma in realtà erano più articolate.

La meglio articolata fu quella di Olivier Dupuis, che testualmente disse: “Non si può racchiudere sotto il titolo giornalistico di «pedofilia» ogni forma di rapporto sessuale con minorenni, anche nei casi in cui non si tratti di bambini, ma di ragazzi e ragazze che non si possono considerare completamente irresponsabili nel solo campo sessuale. Bisogna difenderli, come tutti, dalle violenze, ma non anche dai «propri» desideri e dalle proprie tendenze sessuali”.

Fu Daniele Capezzone, invece, e non da quel convegno, ma due anni dopo, nel corso di un’intervista rilasciata a Radio Vaticana (5.12.2000), a dire, e sacrificando ogni articolazione, per quella sua viziosa inclinazione alla sintesi, che può tornare utile solo a un portavoce di partito: “Al pari di qualunque orientamento e preferenza sessuale, la pedofilia non può essere considerata un reato”.
Si era espresso meglio quattro mesi prima: “Quel convegno fu organizzato per difendere Internet da una legge liberticida, che approfittava dell’emergenza pedofilia per imbavagliare la rete. Non era un dibattito a favore dei pedofili, ci mancherebbe” (Libero, 20.8.2000).

Ciò che don Fortunato Di Noto pensa di avere in pugno contro i radicali è tutto qui.

domenica 21 marzo 2010

Dar conto della conta


Silvio Berlusconi non entra in polemica sul numero dei convenuti a piazza San Giovanni: “Ognuno è libero di dare il numero che gli fa comodo”. Quale migliore esempio di ciò che l’ometto intenda per “libertà”? È ciò che torna “comodo” senza dover dare mai conto, nemmeno quando si tratta di una conta.
L’esperienza ci ha insegnato che, quando è disposto a concedere anche agli altri una “libertà” del genere, è perché torna “comodo” innanzitutto a lui. Se non tiene il punto sul “milione” dichiarato da Denis Verdini, è perché sta soffrendo per la scarsa affluenza in piazza San Giovanni ed esibisce la nonchalance di chi è stato mortalmente ferito dalla realtà.
Qui negarla gli è difficile, perché è in gioco l’oggettività dei numeri: gli resta solo il togliere ai numeri il loro valore oggettivo.

Ha un "sincero dolore", lui


1. La lunga lettera che Benedetto XVI ha scritto ai cattolici d’Irlanda si rivela per ciò che davvero è fin dal quarto dei suoi quattordici paragrafi, dove si legge che l’enorme numero di preti pedofili sia da imputare ad un fraintendimento – l’ennesimo – del Concilio Vaticano II: in pratica, prese piede la cattiva abitudine, “anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo”, con la “tendenza, dettata da una buona intenzione ma errata, a evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari”. Siamo dinanzi a un altro tentativo di insabbiare.
L’avevamo già sentita dal cardinal Ruini, che appena tre giorni prima imputava “queste deviazioni legate alla sessualità” alla “tanto conclamata «liberazione sessuale»”: come l’intera società, anche la Chiesa ne era stata fatta vittima, e poco ci mancava che Sua Eminenza ne chiedesse risarcimento, forse trattenuto dal non saperlo quantificare.
Anche Benedetto XVI, dunque, sceglie di “difendersi contrattaccando”, come consigliava Giuliano Ferrara: la Chiesa è innocente, e per ciò di cui sono colpevoli i suoi membri la colpa è declinata ai tempi. Come se i preti avessero cominciato a compiere abusi sessuali su minori solo dal Concilio Vaticano II in poi. Come se schifezze come quelle venute alla luce negli ultimi anni negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania, in Italia e un po’ dappertutto non siano sempre state compiute dai preti.
In realtà, il ruolo di educatore che il prete ha esercitato per secoli in pressoché esclusivo monopolio è stato considerato sempre dai pedofili un’ottima copertura, al punto che pulsione pedofila e vocazione al sacerdozio sono state spesso inestricabili. È che non sappiamo esattamente in quale misura lo fossero prima di adesso, e adesso sappiamo che in moltissimi paesi almeno il 5% dei preti ha commesso abusi sessuali su minori (cifre confermate dalla Santa Sede), mentre fuori dalla Chiesa la percentuale scende a 1 caso su 2000.
Ma questo quarto paragrafo della lettera di Benedetto XVI non irrita solo per questo. Nel passare in rassegna “i molti elementi che diedero origine alla presente crisi” – crisi di valori che dalla società si è diffusa al clero – Sua Santità cita “procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa”, una “insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati” e “una tendenza nella società a favorire il clero”, con “una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa”, che non si capisce come possano essere imputate ai laici senza insultare la logica prima che mistificare la storia. Ed è superfluo dire che ci vuole una gran faccia di culo per rinfacciare alla società il fatto che il clero abbia goduto dei privilegi per potersi sottrarre tanto spesso alla giustizia civile, perché a parlare è il cardinal Joseph Ratzinger che se ne è sottratto solo grazie all’elezione al Soglio Pontificio, scansando l’imputazione in complicità mossagli da una corte di giustizia degli Stati Uniti.


2. Non era iniziata male, questa lettera. Almeno non malissimo. “Sincero dolore per il danno arrecato alle vittime e alle loro famiglie”, con piena considerazione (almeno dichiarata) della “gravità di queste colpe” e della “risposta spesso inadeguata a esse riservata da parte delle autorità ecclesiastiche”, con fermo impegno a “riconoscere davanti al Signore e davanti agli altri i gravi peccati commessi contro ragazzi indifesi”. Poi, al punto in cui si deve pagare pegno, viene fuori il solito Joseph Ratzinger di sempre, che propone “uno sforzo concertato per assicurare la protezione dei ragazzi nei confronti di crimini simili in futuro”, nel tentativo di cambiare le carte in tavola: da coimputata la Santa Sede cerca di farsi parte civile.
Sua Santità sa bene di essere coinvolto in prima persona per l’aver continuato, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a raccomandare il “segreto pontificio” sulle cause che avessero a imputati dei preti pedofili dinanzi ai tribunali ecclesiastici, e allora si esercita in una patetica excusatio che gli è petita dai fatti, per chi volesse rinfacciarglieli: “In diverse occasioni sin dalla mia elezione alla Sede di Pietro, ho incontrato vittime di abusi sessuali, così come sono disponibile a fare in futuro...”. In realtà, s’era rifiutato di farlo prima.
Ora, da pontefice, non gli è possibile e “alle vittime di abuso e alle loro famiglie” è costretto a dire: “Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto”, per subito aggiungere: “So che nulla può cancellare il male che avete sopportato”, come a glissare su ciò che può e deve risarcire il danno. E infatti propone alle vittime di compiere uno sforzo: chiudere un occhio aiutati dall’esempio di Cristo, “egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato”. E chi volete che incarni Cristo qui in terra? La Chiesa, “una Chiesa purificata dalla penitenza e rinnovata nella carità pastorale”, ma non alleggerita dai risarcimenti, bitte.
Per meglio marcare la distanza tra preti e preti, prima indistinguibile tra quelli che erano dediti agli abusi sessuali e quelli che abusavano di semplice circonvenzione di incapace a scopo di plagio, Benedetto XVI si lascia andare a parole terribili “ai sacerdoti e ai religiosi che hanno abusato dei ragazzi”, facendo quasi finta di non sapere che, in virtù dell’ordinazione, un prete rimane un alter Christus qualsiasi cosa faccia: “confratelli che hanno tradito una consegna sacra”, i preti pedofili, ma pur sempre “confratelli”, per sempre, in virtù dell’ordinazione; “confratelli” anche quelli che “non hanno affrontato in modo giusto e responsabile le accuse di abuso”, tanto più che obbedivano a ordini superiori, poveracci, e allora come si può affermare che non abbiano affrontato le accuse nel “modo giusto”? Come si può rimproverare ai vescovi irlandesi di aver “mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi di ragazzi”, quando proprio quelle norme raccomandavano loro di insabbiare ogni cosa?


3. Chiacchiere, un’enorme montagna di chiacchiere, in questa lettera. In sostanza, Benedetto XVI cerca solo di scrollarsi di dosso la responsabilità passata (la rete di copertura di cui i preti pedofili potevano godere grazie a disposizioni emanate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede) e quella presente (il risarcimento alle vittime di abusi sessuali cui la Santa Sede sarebbe tenuta come responsabile del suo clero).
È vero, la responsabilità penale per ciò che attiene all’abuso sessuale è personale, ma quella relativa alla complicità coi colpevoli e quella civile riguardante il risarcimento del danno come possono essere sollevate dalla Santa Sede? Quale sofisma potrà far diventare un pedofilo qualsiasi, che nulla ha a che fare con la Chiesa di Roma, il prete cui oggi si dovrebbe affidare un proprio figlio in quanto ministro della Chiesa di Roma? Chi ne certifica l’affidabilità, oggi? La risposta è semplice: la stessa Chiesa che gliela negherà dopo che si sarà saputo che era un pedofilo, se si saprà.
È la stessa Chiesa che per voce del suo più alto rappresentante propone alcune risibili “iniziative concrete per affrontare la situazione”: il “digiuno”, la “preghiera”, la “lettura della Sacra Scrittura”, le “opere di misericordia”, “il sacramento della Riconciliazione”, l’“adorazione eucaristica” da parte della Chiesa di Irlanda; per ciò che attiene alla Casa Madre, “una visita apostolica in alcune diocesi dell’Irlanda, come pure in seminari e congregazioni religiose”, per “aiutare la Chiesa locale nel suo cammino di rinnovamento”. Subito? No, non subito, “a suo tempo”.

Varie


1. Silvio Berlusconi ha trovato modo per scusarsi con Dino Boffo: ha dato incarico a un suo dipendente, Claudio Scajola, di provvedere a congruo risarcimento e – voilà – il Boffo è fatto membro della Consulta filatelica nazionale, che veniamo a sapere essere “organismo consultivo per la definizione degli indirizzi di politica filatelica e del programma annuale di emissione” (Italia Oggi, 17.3.2010). Non veniamo a sapere se l’incarico sia retribuito, ma perché non dovrebbe esserlo? Tuttavia la questione è un’altra: Boffo s’intende di filatelia? Astenersi battute, prego: Boffo s’intende di filatelia? Per quanto al mese?

2. “Il vescovo di Treviri: «La Chiesa cattolica ha insabbiato, ne dobbiamo prendere atto con dolore»” (ansa.it, 17.3.2010). Questo – doveroso dirlo – è molto bello. E dunque – non è per insegnar di conto all’oste – vediamo che recita l’Atto di dolore: “Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi, e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propongo con il tuo santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia, perdonami”. Molto bello pure questo, senza dubbio. E però non si fa cenno al risarcimento dovuto alle vittime. Non sarà il caso di prenderne atto con diverso dolore? Ci pensa un altro monsignore, Stephan Ackermann: dice “che, sebbene la questione non sia centrale, si sta valutando come risarcire le vittime di preti pedofili” (ibidem). La questione non è centrale? E quanto sarà marginale?

3. “È stata costituita presso la Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto la presidenza del cardinale Camillo Ruini, una Commissione internazionale di inchiesta su Medjugorje”, ne dà notizia Radio Vaticana (17.3.2010). A voi non suggerirà niente, ma considerate che fra i più scettici sulle apparizioni di Medjugorje c’è il cardinal Tarcisio Bertone: le premesse per un altro round tra i due ci sono tutte. Mettiamo che la Madonna cominci a mandare due esortazioni evangeliche che paiano assai ruiniane – gli slavi sono più furbi dei napoletani – e mettiamo che Ruini dica che più o meno la Madonna l’ha vista pure lui: sarebbe uno scontro all’arma bianca. Tirato in polemica da certi esuberanti devoti italiani del culto erzegovino (in prima fila, il Socci), Bertone s’è sbilanciato in giudizi su Medjugorje assai difficilmente ritrattabili. Se la neo costituita commissione di inchiesta mostrerà procedere verso una pur lieve apertura verso l’attendibilità delle apparizioni e dei messaggi che la Vergine invia due o tre volte a settimana, da quasi vent’anni, ne vedremmo delle belle. Perché Bertone non sarà molto volpe, ma è abbastanza mastino.

4. Dall’angolo del feticista: sono riuscito a procurarmi una copia originale del numero di Erkenntnis sul quale Rudolf Carnap firmava il suo splendido Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache (II, 1931), una ventina di pagine (219-241) sulle quali noi della III C passammo qualche tempo. Era il 1975 e a leggerci e commentarci questo piccolo saggio fu il professor L.S., marxista a suo dire e tuttavia di cervello finissimo. Devo essergli grato per avermi fatto conoscere Carnap, perché quelle pagine mi hanno vaccinato contro ogni metafisica, che a tutt’oggi ritengo rogna perniciosissima. “Ragazzi – faccio volare la memoria – qui Carnap ci dice che la metafisica nasce da cortocircuiti del linguaggio, primo fra tutti quello grammaticale sul verbo «essere», perché l’esistenza – dice Carnap – non è un predicato…”.

5. “Benedetto XVI ai giovani: «Abbiamo bisogno di voi»” (zenit.org, 15.3.2010). Non sarebbe più saggio masturbarsi in santa solitudine?

No redirection


Mercoledì 17 marzo, alle 5.38, posto su Malvino l’ultimo post e vado al lavoro. Quando torno a casa, a sera, non riesco ad accedere al Cannocchiale, né in lettura, né in scrittura: non posso leggere i blog del Cannocchiale, non posso accedere all’editor del mio. Riesco a connettermi col web intero, tranne che col Cannocchiale.
Il provider fa le ricerche del caso e dice che non dipende dalla linea telefonica, i responsabili della piattaforma controllano e mi dicono che non dipende dal server, un tecnico mi rivolta il pc e non trova problemi: devo considerare chiuso Malvino – posso bloggare solo in ore in cui sto a casa – e di là non posso neanche mettere un avviso. Che faccio?
Approfitto della congiuntura per ripensarmi, almeno come blogger, e ricomincio da qui, praticamente tutto daccapo. Non ho tempo ma nemmeno voglia di sbattermi nel redirecting: chi mi leggeva di là, in qualche modo, riuscirà a raggiungermi di qua. Se molto in là, potrà recuperare in archivio.
Buona lettura.









Postilla
Non pensate che questo dimostri il mio totale disinteresse per l’audience: ho iscritto subito questo nuovo blog a BlogBabel e già sono tutto eccitato all’idea di scalarne la classifica incrociando prima o poi l’altro Malvino che precipita.

venerdì 19 marzo 2010

Signore

Adalberto Signore propone all’elettore del Pdl un esercizio di training autogeno che può funzionare solo ad essere un cretino senza speranze. La nuda realtà dei fatti è che il Pdl attraversa un momento critico, per non dire drammatico, dal quale può venir fuori solo da partito-stato (e di uno stato fatto azienda) o a pezzi, per essere spazzato via, neanche molto gentilmente, ma Adalberto Signore scrive: “Il premier non molla”, e questo potrà galvanizzare, non c’è dubbio, ma quali dovrebbero essere i segni che questo non mollare stia maturando frutti?
“Berlusconi parla di«conversione a U», Casini di un Cavaliere che «stappa bottiglie di champagne».
E se una volta tanto i due si ritrovano sulla stessa lunghezza d’onda deve esserci qualcosa di vero nei ragionamenti fatti in privato dal premier in queste ultime ore”. Casini si limita a parlare di un Cavaliere che stappa bottiglie di champagne – nulla riguardo a quanto sia lecito festeggiare su una conversione a U che è solo nelle parole di Berlusconi – ma questo, per Adalberto Signore, li fa stare sulla stessa lunghezza d’onda. Non basta, perché il fatto che i due vi si ritrovino sarebbe buon indizio che la conversione a U è già in atto.
Sparo fuochi d’artificio dal balcone gridando fino a sgolarmi che ho fatto un sei al Superenalotto. Uno passa, mi guarda e fa: “Toh, che pazza gioia!”. Be’, questo fa chiara prova che davvero ho fatto un sei al Superenalotto. Dove incasso?

“Berlusconi, infatti, è convinto che…” – si noti la disinvoltura di quell’“infatti”, da solo meriterebbe un trattato – “… è convinto che l’inchiesta di Trani si sti a rivelando un boomerang per il centrosinistra e stia ritirando su nei sondaggi il suo gradimento di tre-quattro punti”. Trovandoci in campagna elettorale, non potendo pubblicare sondaggi, chi potrà mai pretendere da Berlusconi di renderne noti i dettagli (in primo luogo materiali e metodi dell’indagine demoscopica)? Dobbiamo credergli sulla parola, volendo. Credendogli sulla parola, la conversione a U è in atto, si capisce perché Adalberto Signore si precipiti a galvanizzare l’elettore del Pdl
“La procura di Trani – scrive mettendosi a ragionare come nei panni di Berlusconi – mi ha fatto un assist che non si può non raccogliere”, e commenta: “L’intenzione, insomma, è quella di ingaggiare un vero e proprio corpo a corpo con quella parte della magistratura che ormai da quindici anni cerca di ribaltare i risultati delle urne in modo che gli italiani si rendano conto di cosa c’è in gioco in questa tornata elettorale”. Sarebbe la conferma di quanto hanno già scritto in tanti: il Caimano vuole arrivare al corpo al corpo con la magistratura, imporre un presidenzialismo di fatto che ponga il potere giudiziario al servizio del potere esecutivo, trasformare lo stato in sua proprietà privata…
Per Adalberto Signore, invece, sarebbe la conferma che tenendo il punto (“Il premier non molla”, titola l’articolo) e rilanciando, il Pdl non finirà a pezzi. Una prova? “Berlusconi ha detto chiaro che «chi aderirà a Generazione Italia non sarà ricandidato»”. Più unito di così?