venerdì 13 maggio 2011

No? E allora no e no!



Pare che Daniele Capezzone fosse già da un po’ venuto a noia a Silvio Berlusconi, che ora lo licenzia e dà il suo posto a Nunzia Di Girolamo. Se non vi piacciono i romanzi di formazione vi sembrerà una notizietta da poco, però si tratta di un gran bel momento topico sul gran bel cursus honorum di una gran bella sagoma letteraria: una pagina intensa, a saperla leggere, volendo. Non volete? Ok, tralascio.
Però secondo me sbagliate a interessarvi solo di macrosistemi e megageopolitiche, ogni tanto non vi farebbe male un bel romanzetto strappalacrime, fanculo, intellettuali del cazzo.

N.B.


Ho postato qui sotto quanto pare sia andato perso nel ripristino della piattaforma, conservando le indicazioni di data e ora che ho recuperato dal feed che mi fa da archivio di riserva. Non ho potuto recuperare i commenti, mi spiace. Nel caso la manutenzione di Blogger dovesse ripristinare i post originali, quelli con i commenti, provvederò a rimuovere i doppioni qui sotto. Grazie.

“Le scuse sono una bella cosa”


Ho consultato gli archivi dei cinque maggiori quotidiani portoghesi e non ho trovato traccia del caso riportato da una pubblicazione scientifica presentata al 21° Congresso Europeo di Microbiologia Clinica e Malattie Infettive, tenutosi a Milano dal 7 al 10 maggio (A Clostridium sordellii fatal toxic shock syndrome post-medical-abortion in Portugal – T. Reis et al.), che invece è messo in bella evidenza sulla prima pagina de Il Foglio di venerdì 13 maggio. Ciò che lo rende degno dell’attenzione che non gli è stata data in Portogallo è il pretesto che offre a Giuliano Ferrara, per il tramite del sottosegretario al Ministero della Salute, l’onorevole Eugenia Roccella, di tornare ad agitare lo spauracchio della pericolosità della Ru486, che ha registrato una trentina di morti in oltre venti anni di impiego su centinaia di migliaia di donne negli Stati Uniti d’America e nella gran parte dei paesi europei.
Pochi farmaci possono vantare un così basso numero di decessi come effetto iatrogeno, che in questo caso non è neanche diretto, ma dovuto all’azione patogena di quel Clostridium sordellii che gli stessi autori della pubblicazione scientifica non esitano a definire a rare cause of fatal toxic syndrome after medical abortion”: ne ammazza di più l’aspirina.
È ormai ampiamente dimostrato, inoltre, che quasi la metà dei casi delle morti in seguito all’impiego di Ru486 per tossinfezione da Clostridium sordellii siano da imputare all’errato impiego del farmaco, assunto per via vaginale invece che per via orale, che è quella consigliata. Anche in questi casi, tuttavia, non era la sola errata modalità di assunzione a causare la morte, che trovava sempre altre concause preesistenti (deficit immunitario, in primo luogo), come nei casi in cui l’assunzione era corretta (epoca gestazionale superiore alla settima settimana, diabete, ipertensione, ecc.). In generale, possiamo dire che non si conosce un solo caso di donna morta in seguito all’assunzione di Ru486 se il farmaco era impiegato nel modo corretto. C’è inoltre da rammentare che la tossinfezione da Clostridium sordellii, anche con esito letale, non è riscontrabile solo in casi di aborto farmacologico con errato impiego della Ru486, ma anche in condizioni cliniche nelle quali la Ru486 non c’entra niente, come aborti spontanei, parti naturali, tagli cesarei, ecc.
Bene, il modo in cui Il Foglio sceglie di presentare la faccenda è questo:


Ieri sera, a Qui Radio Londra, Giuliano Ferrara diceva cacchio cacchio e tomo tomo: “Le scuse sono una bella cosa. Sono una dimostrazione di forza morale. Quando è necessario scusarsi, è non solo un magnifico gesto di buona educazione, ma è anche un gesto che viene apprezzato dalla maggior parte delle persone”. E allora rimaniamo in attesa delle scuse per questo lercio sciacallaggio a fini propagandistici. Il Foglio non vi è nuovo e la buona educazione non sa neanche dove stia di casa: si annuncia una lunga attesa, quasi certamente inutile.


giovedì 12 maggio 2011

È probabile ti credano


Immobili abusivi che una sentenza definitiva ha già da tempo destinato all’abbattimento, per lo più costruiti senza alcuna licenza edilizia e in spregio delle leggi a tutela della sicurezza civile e territoriale, dovrebbero godere di un condono, di una moratoria, di un qualcosa che – non si è capito bene cosa e come – fermerebbe le ruspe. A Napoli, domani, Silvio Berlusconi prometterà questo. Lo ha annunciato oggi, promessa di promessa.
Vedremo, perché intanto la Lega ha subito mandato avanti Roberto Calderoli a borbottare che per principio la legge è legge e, soprattutto, è uguale per tutti (sottinteso: perché stracciare i decreti che ordinano l’abbattimento degli immobili abusivi dei soli terroni? Forse che un capannone abusivo in Veneto è il figlio della serva?), e che insomma se ne deve parlare prima, la Lega è contraria, si dissocia, certo non ne farà ragione di crisi della maggioranza di governo, ma cazzo! Probabilmente il Re Pazzo farà finta di non aver sentito e proporrà imperterrito il suo affarone ai proprietari di immobili abusivi in Campania, in cambio di un suo sindaco a Napoli. Tanto a Napoli non ci sono leghisti.
Se sei quello che si compra giudici e maggioranze parlamentari, quello che dà copertura morale agli evasori fiscali, quello che non si fa scrupoli nel ritagliare il tessuto istituzionale per confezionarsi un doppiopetto da mafioso ripulito – che ci sarà mai di tanto eccezionale? Poi, magari, con la faccia da pappagallo che fa da cicerone alla bella straniera, con l’Apicella che ti viene dietro con la chitarra, canterai quant’è bella Napule e ci dirai che stai studiando un piano nazionale di rilancio del turismo, dove il cemento aggrappato al Vesuvio e fin dentro gli scavi di Pompei sarà un’attrattiva paesaggistica al pari dei cumuli di monnezza e della disoccupazione giovanile, vivaio di pappagalli. Poi, magari, potrai pure far finta di non aver detto niente, lasciare che le ruspe abbattano gli immobili abusivi per solidarizzare coi proprietari, dire che non hai potuto mantenere la promessa perché i giudici e i comunisti ti hanno messo il bastone tra le ruote e sabotato la riforma. È probabile ti credano.

Rettifica


Keko dice che si deve “dubitare, dubitare, sempre dubitare”, e ha ragione. Mi tocca dunque fare pubblica ammenda per non averlo fatto nel rilanciare da queste pagine, lo scorso 21 aprile, una notizia – una bufala, in realtà – che mi era stata segnalata da un lettore (fonte indicata: corriereinformazione.it) e della quale avevo trovato conferma su primaonline.it (fonte indicata: italpress.com): Nichi Vendola, Luca Sofri e Mario Adinolfi al vertice della classifica dei 35 top opinion leader italiani che usano efficacemente i social network e in particolare Facebook sapendosi trasformare così in social influencers”. Non era vero e non ho dubitato abbastanza. Rimando al post di Keko per i dettagli della faccenda e chiedo scusa ai miei lettori, ma implorando le attenuanti generiche: il degrado del paese non rendeva verosimile quella bufala? Per converso: il paese è meno degradato di quanto pensassi?

Adesso mi è passato un po’


In campagna elettorale si può chiudere un occhio sulle bestialità che scappano ai contendenti, basta considerarli effetti collaterali della voglia di vincere. Certo, sarebbe meglio evitare urla, insulti, colpi bassi. Soprattutto sarebbe meglio evitare lo stupro della logica, dell’evidenza, della memoria. Sarebbe bello sentire dei programmi, leggerci dentro dei progetti, discutere delle idee che li hanno realizzati, cercare di capire a quale immagine di società corrispondano queste idee. Sarebbe bello, ma si sa che la democrazia non nasce dalla trascendenza del bello, e che ha il suo prezzo: ciò che parte dal basso – per legge fisica – ha tendenza a tornarvi.
Bene, voto dal 1975 e non ricordo un punto basso come quello al quale siamo con queste amministrative del 2011: questa campagna elettorale sta facendo pagare un prezzo altissimo alla democrazia, un prezzo che ritengo insostenibile. Tanta volgarità non l’avevo mai vista. Mai sentito gridare così forte per dire menzogne tanto sfacciate.
C’è di più. A differenza di sempre, stavolta è evidente la sproporzione di bestialità che scappano agli uni e gli altri contendenti: quasi tutte escono di bocca da uomini e donne del centrodestra. Almeno finora – ma mancano pur sempre altre 48 ore alla chiusura della campagna elettorale – le opposizioni sembrano aver rinunciato alla quota minima di bestialità che spetta a chi compete.
Si dice che stavolta le opposizioni stiano evitando di fare il gioco di Silvio Berlusconi, rinunciando a farsi coinvolgere in un tipo di contesa che può vincere solo lui, per l’insuperabile maestria in bassezze che riscuotono sempre successo. Pare che le opposizioni – quasi tutte – non vogliano commettere ancora l’errore di accettare la sfida e scendere nel campo dove sarebbero destinate a soccombere: quasi costrette, come per unica alternativa possibile, parlano di idee, progetti, programmi.
Vi avevano perso l’abitudine e si vede che sono impacciate, parecchio confuse, si aggrappano a stampelle retoriche, talvolta instabili. Anche se solo alla meno peggio, rigettano le provocazioni. Prevale una composta indignazione, e sembra resistenza passiva. Ma è altresì evidente che questa sia una scelta obbligata. Pare si faccia strada la rassegnazione, e non rincorre più Silvio Berlusconi col sarcasmo.
Mi è stato difficile scrivere in questi giorni. Scrivevo, rileggevo e mi autocensuravo. Non riuscivo a scrivere altro che del prezzo che questo centrodestra dovrà prima o poi risarcire alla democrazia, non riuscivo a pensare ad altro che a un’intera classe dirigente ammazzata a randellate e appesa a gocciolare sangue, ai suoi servi in fuga sparsa, braccati uno ad uno, costretti ad ingoiare tutte le bugie dette e scritte in questi giorni, ma insieme ai loro denti. Adesso mi è passato un po’ e perciò rimetto mano alla tastiera.
Solo per dire – in fin dei conti, per non dire altro – che questo Lupi che interrompe continuamente Boeri, che elude ogni domanda, che cerca la rissa pronto a ritrarsi nel vittimismo (Ottoemezzo, 11.5.2011) è un vero maleducato. Troppo sangue. Troppi denti.

mercoledì 11 maggio 2011

lunedì 9 maggio 2011

9.5.1978 - 9.5.2011




“… il coraggio di continuare a dire che Aldo Moro
insieme a tutta la Democrazia cristiana
è il responsabile maggiore
di vent’anni di cancrena italiana…”


Giorgio Gaber
Io se fossi Dio
1980 

Ad averne una



Il Circolo Culturale Triveneto «Christus Rex» ha esposto sul Canal Grande uno striscione dai toni assai poco cordiali nei confronti di Sua Santità in occasione della sua visita pastorale nel Patriarcato di Venezia (7-8 maggio 2011): “Benedetto non è ben accetto perché conferma nella falsa fede del concilio”.
Non torneremo sulle ragioni che da quasi mezzo secolo portano i tradizionalisti cattolici a contestare la sostanza stessa del Concilio Vaticano II, ma non sarà superfluo rammentare che tutti i pontefici che ne hanno ribadito le linee, pur tentando di correggere quelle che hanno denunciato come deviazioni indotte da una errata interpretazione dei testi conciliari, sono sempre stati considerati veri e propri eretici dai più agguerriti di queste frange oltranziste, che nel Triveneto hanno un discreto seguito, con legami non solo ideali coi lefebvriani della Fraternità Sacerdotale «S. Pio X» e molte documentate contiguità a gruppi neofascisti e autonomisti locali.
Ciò detto, stupisce non poco che lo striscione sia rimasto esposto “per oltre 30 minuti”, come gli autori dell’iniziativa possono così vantare (agerecontra.it, 8.5.2011). Rammentiamo che in molte altre occasioni non si è consentito neppure un cenno di contestazione nei confronti di Benedetto XVI, e ne dà buon esempio quanto è accaduto nel corso della visita che Sua Santità tenne a Palermo, lo scorso ottobre, quando le forze dell’ordine arrivarono a pretendere la rimozione di alcuni volumi dalle vetrine di una libreria, perché potenzialmente offensivi, col tempestivo sequestro di striscioni sui quali erano riportati solo dei versetti tratti dai vangeli; a Venezia, invece, gli autori dell’iniziativa possono vantarne la “perfetta riuscita”, pur crucciandosi del fatto che “l’intervento delle forze dell’ordine ha richiesto la rimozione dello striscione”, deliziosamente lamentando: “Sono gli effetti dello stato laico”.
Probabilmente non hanno alcuna memoria del fatto che ai tempi dello Stato Pontificio il dare dell’eretico a un pontefice sarebbe costata loro la testa, ad averne una.


[via Giornalettismo]

Un po’ di sano laicismo


Alcuni giorni fa, al Cairo, musulmani (salafiti) e cristiani (copti) se le sono date di santa ragione: nove morti, qualche centinaio di feriti e molti arresti, d’una fede e dell’altra. In casi come questi è praticamente impossibile stabilire chi abbia dato inizio alle violenze e non ci rimane che star lì a considerare che gli uni ne danno sempre la responsabilità agli altri, e per intera. Né conviene cercare di farsene un’idea da quanto è nelle accuse dell’una all’altra parte, perché se non si sposano le ragioni dell’una, e per intere, si corre il rischio di urtare la suscettibilità dell’altra, urtando le suscettibilità di entrambe se per caso si ricavi l’opinione che la responsabilità sia condivisa, anche se non equamente ripartita. È un fatto intrinseco ad ogni fede: chi ne ha una diversa è tollerabile fino quando non lo si avverte come troppo pericoloso, e il pericolo è avvertito già dalla diversità, sicché, quando e se possibile, la maggioranza cerca di ridurre la minoranza al silenzio. Rimane solo da considerare quanto è al di là di ogni responsabilità, degli uni e degli altri, e qui non ci resta che un rilievo empirico.
Quando sono sotto il 3-4%, i cristiani sono fatti oggetto di violenza per il solo fatto di essere cristiani e vanno al martirio senza opporre resistenza. Quando sono tollerati in quanto cristiani del tanto da poter arrivare al 7-8%, reagiscono alla violenza, non di rado ben oltre la legittima difesa. Si potrebbe concludere che la percentuale tollerabile di cristiani in un paese di tradizione islamica sia intorno al 5-6%. Che è più o meno la percentuale tollerabile di musulmani in un paese di tradizione cristiana: quando sono sotto il 5-6%, vengono pesantemente discriminati, ma non reagiscono; quando superano il 7-8%, pare inevitabile doversi aspettare attriti, perché la minoranza reagisce.
Dev’esserci anche per la fede una soglia di sbarramento che regge la possibilità di pacifica convivenza, tutt’altra cosa è trovarne la ragione, cercare di trovare regole condivisibili da una prevalente maggioranza e una esigua minoranza. Per questo, restringere la fede all’ambito privato è l’unica garanzia per ogni credente, del cristiano in un paese di tradizione musulmana e di un musulmano in un paese di tradizione cristiana: dove una fede ha diritto di occupare lo spazio pubblico nell’ovvia misura del numero dei suoi adepti, la violenza della maggioranza sulla minoranza, fisica o no, cruenta o meno, è sempre possibile. Solo uno stato laicista che faccia divieto di esibire la propria fede – e perciò dico proprio: laicista – dà piena garanzia a un qualsiasi credente, in qualsiasi paese del mondo. Non resta che augurarsi un po’ di sano laicismo per la sicurezza di ogni credente.


Il Foglio, 9.5.2011


Oggi è eccezionale, non dovete perdervelo.

“Mi domando perché i Responsabili, o almeno molti tra di loro, si comportino con tanta repellente ingenuità, rilasciando alla stampa e alle telecamere dichiarazioni da brivido che parlano da sole: l’apparenza è quella del mercimonio, di una attrazione morbosa per la ricompensa, di odio per la concorrenza sgomitante, sono parole che parlano di un mediocre accattonaggio, di un forte disprezzo per le competenze, di una libido di potere (anche quando si tratti di mezza porzione di lenticchie) un poco oscena…”

Vendersi, sì, ma con un minimo di classe, cazzo.

“Perché non stanno un po’ zitti o, se proprio desiderino parlare, non dicono cose almeno un po’ normali?...”

Sono robe che a un venduto di gran classe fanno girare i coglioni, per quanto piccolini, si vede dall’uso del congiuntivo, tutto tattico. Questi Responsabili degradano il vendersi a mero vizio morale. Del quale peraltro si compiacciono pubblicamente, senza essere disposti a fare alla virtù neppure il piccolo omaggio di un po’ di ipocrisia. E così sputtanano il vendersi stesso, e insomma imbarazzano chiunque si venda o già si è venduto. Per non parlare dell’imbarazzo che arrecano a chi compra. Stronzi e pericolosi, questi Responsabili, hanno bisogno di essere rampognati. E chi meglio di lui?

“Nessuno può essere accusato di volere il governo, perché il governo è la posta in gioco del conflitto politico in democrazia. Ma che lo si voglia come un cono gelato, come un piacere proibito, come un sollazzo, come una sveltina, come una refurtiva luccicante, o almeno che si faccia le viste di avere simili voglie matte, questo è inspiegabile”.

Chiaro? Non si faccia le viste, almeno.

sabato 7 maggio 2011

Scongiurata l’astensione dei sordi che soffrono di insonnia



Wow, ho finalmente visto alla tv uno spot che annunciava i referendum di giugno. Era su Raitre, all’una di notte. Collocazione un pochino svantaggiata, però era uno spot con tanto di supporto per i non udenti.


La situazione



I messaggi obliqui che Mino Pecorelli mandava dalle pagine di O.P. diventano graziosi esercizi di enigmistica se confrontati a quelli che Giuliano Ferrara manda dalle pagine de Il Foglio, e insomma Pecorelli ci guadagna profilo da avventuroso mascalzoncello, forse mezzo matto ma in fondo galantuomo, come dimostra il fatto che fu sempre un morto di fame, e morì senza aver messo un soldo da parte. Ferrara, invece, non l’ammazza nessuno, e mangia, e matto non è, e ci guadagna profilo da mascalzone di ventura.

“Con una mossa che appare quantomeno irrituale, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ieri ha invitato i presidenti di Camera e Senato a valutare iniziative parlamentari dopo l’allargamento, giovedì, della compagine di governo a nove nuovi sottosegretari tutti provenienti da forze politiche oggi all’opposizione…”.
“Quantomeno irrituale”, sennò cosa? Il presidente della Repubblica sfiora l’illegittimità? Non esagerasse, sennò Il Foglio lancia uno dei suoi famosi appelli per chiederne l’impeachment, raccoglie le più importanti firme dell’intelligenza nostrana, che trovano sempre irresistibile quel genere di appello, e mette in serio imbarazzo il Quirinale.
Se ne avverte la smania, ultimamente, nelle vignette di Vincino: attaccano Napolitano con argomenti che stanno appena un po’ di al di qua di quelli usati da Sallusti e Belpietro, che però non finalizzano nell’insulto, concesso alla satira.

“Per una mancanza di comunicazione preventiva tra Quirinale e maggioranza, ieri il Pdl ha in prima battuta interpretato le parole del capo dello stato come un invito a chiedere un voto di fiducia. La reazione del Pdl, già impegnato nella campagna elettorale per le amministrative (Silvio Berlusconi sarà a Napoli il 13), è stata infatti di nervosa sorpresa”.
Napolitano avrebbe dovuto preventivamente comunicare a una parte del Parlamento quello che intendeva comunicare all’intero Parlamento. Non chiedete il perché: o avete un’intelligenza all’altezza di Giuliano Ferrara, e allora capite senza aver bisogno di chiedere, o vi fottete, e rimanete a brancolare nel buio.
Aspettate, ché vi faccio luce: quella nota del Quirinale doveva essere inviata alla sola maggioranza del Parlamento, dandole così la possibilità di eluderne il contenuto, evitando un grosso imbarazzo al governo. Ora, si sa, chi imbarazza questo governo non può essere che un comunista e Napolitano cos’è? Prego, Vincino, chiarisci il concetto.

Il vecchio comunista dopo una riunione di cellula:
Compagni lavoratori, abbattiamo il governo della reazione

“In realtà l’iniziativa del capo dello stato mirava a marcare una distanza avvertibile dalla manovra inclusiva della maggioranza nei confronti dei nuovi esponenti di governo. Un’operazione forse considerata trasformista dalle parti del Quirinale. Un segnale, quello di Napolitano, che gli ambienti del centrodestra più sensibili agli umori presidenziali non ritengono comunque di secondaria importanza”.
In realtà, Il Foglio è in grado di rassicurare Napolitano che il centrodestra potrebbe non chiederne l’impeachment. Sì, nella maggioranza c’è chi vorrebbe chiederlo, ma, se il presidente della Repubblica fa il bravo e promette di non rompere il cazzo, Giuliano Ferrara può impegnarsi a fare sensibile tutto il centrodestra agli “umori presidenziali. Non è stata umorale, forse, l’iniziativa di Napolitano? Mica sollevava una questione di procedura istituzionale, macché, dava sfogo a umori. Probabilmente, poi va’ a sapere cosa dia realmente corpo a un umore, gli sarà andato di traverso qualcosa: visto che il governo deve prestare giuramento nelle mani del presidente della Repubblica (Costituzione, art. 93), trovarsene sotto gli occhi uno tanto diverso da quello d’inizio legislatura deve averlo turbato. Si sa, è anziano, trova difficoltà a masticare la Costituzione materiale.
Cioè, non proprio. Quando vuole, sa masticarla.

Perché quando D’Alema fece il governo
con gente eletta con i fascisti? Io zitto allora

“D’Alema fece il governo con gente eletta con i fascisti”? Ma di chi parla, Vincino? Starà mica alludendo a Lamberto Dini? Non importa. Non importa neanche che allora non fosse capo dello stato. Importa che il messaggio obliquo arrivi. Perché, sia chiaro, “il premier intende proseguire con la politica dell’allargamento, ma il precedente di ieri con il capo dello stato complica la manovra”. Napolitano vuole complicazioni?

Pecorelli aveva un altro stile. Sarebbe stato più criptico, e quindi la minaccia sarebbe stata più garbata, al punto che neanche si sarebbe capito subito chi gliel’avesse commissionata. Anzi, poteva anche venire il sospetto che non gliel’avesse commissionata nessuno, che si facesse usare a gratis da qualcuno che neanche sapeva bene chi fosse. Ferrara, no. Si capisce a nome di chi minaccia, si capisce cosa ci guadagna. 

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venerdì 6 maggio 2011

Il furbo vigliacco


Bombardiamo Tripoli perché non possiamo proprio farne a meno, ce lo chiede la Nato e ci tocca come prezzo da pagare perché i profughi non rimangano solo fatti nostri, e i nostri interessi in Libia non subiscano troppi danni, quando gli insorti dovessero spuntarla. E però siamo italiani, non possiamo essere lineari neanche nel tornare indietro sui nostri passi, tradendo un patto, sputando sulla mano che avevamo baciato, ed ecco che ora abbiamo trattative diplomatiche in corso con Gheddafi. Quasi certamente mediate dalla Santa Sede, che ci piace usare non meno di quanto ci piaccia esserne usati.
E tutto questo lo dichiariamo ufficialmente? Macché, siamo italiani: lo facciamo uscir di bocca, quasi per caso, da un sottosegretario con la forfora in un talk show televisivo del mattino. E con un velo di vanto, come se tutta questa ambiguità fosse eccelsa arte di governo, sofisticato prodotto della nostra superiore intelligenza politica, figlia di antica tradizione che onora il doppio gioco e non disdegna mai di tentarne un terzo.

Ci portasse frutti, almeno. Non ce ne porta mai. Sleali, inaffidabili, sempre pronti allo scrocco, incapaci di intrattenere relazioni internazionali a un livello superiore a quello degli accordi di interscambio: il familismo amorale è la cifra del nostro carattere nazionale, e in politica estera diventa la macchietta del furbo vigliacco.
Così fan tutti? Con altro stile. Anche Germania, Francia e Inghilterra difendono i propri interessi, non essendo ancora chiaro se ve ne sia uno europeo, ma le regole sono accettate e condivise: c’è l’interesse nazionale, l’interesse di coalizione, c’è una risoluzione dell’Onu e i diversi modi di leggerla, ci sono pure i colpi bassi e gli sgarbi, ma ciascuno e tutti si decide, e almeno si evita – ciò che l’Italia non sta evitando, anzi – di sparare sull’esercito di Gheddafi, per difendere gli insorti sui quali l’esercito di Gheddafi sparava, intanto trattando con Gheddafi, sicché se prima ce ne fregavamo dei morti anti Gheddafi adesso ce ne fottiamo pure di quelli pro Gheddafi. Poi tra mezzo secolo chiediamo scusa e stringiamo un accordo con tanto di risarcimento.


Come tra Granarolo e Parmalat



Lasciarsi andare al sarcasmo sarebbe inevitabile nel commentare la puntata di Qui Radio Londra andata in onda ieri sera, ma sarebbe pure fare un favore a Giuliano Ferrara, che cerca disperatamente audience, e a modo suo, sennò almeno l’incidente – il sospetto viene – per chiudere il programma senza dover pagare penali. Se una riflessione può essere utile, sarà necessario evitare il sarcasmo, negando al trash l’attenzione che chiede, perché agitarsi, urlare, tirar fuori la camicia dai pantaloni, sfidare Beppe Grillo da vaiassa a vaiassa, da ianara a ianara, senz’altro reale fine che far baccano, per solleticare il ventre della plebe televisiva – tutto lo squallore che ieri sera è stato buttato in faccia al telespettatore – cerca partecipazione emotiva, simpatia o antipatia, ammirazione o disprezzo, vorrebbe costringere a scegliere tra Grillo e Ferrara, come tra Granarolo e Parmalat: sembra una sana competizione, ma puzza di wrestling. Ora, puoi schifarlo quanto vuoi, il wrestling, ma se ti ci soffermi, anche solo un po’ più di quanto vorresti, finisci per tifare per uno dei due variopinti.
Limitiamoci a dire che Qui Radio Londra sta cominciando a far perdere ascolti ad Affari Tuoi: prima, alla fine del Tg1, c’era un crollo dello share che risaliva subito, appena Ferrara andava via; adesso la ripresa è assai più lenta, come se il telespettatore tornasse su Raiuno solo quando strasicuro che Qui Radio Londra è finita; e Ferrara comincia a capire che ha sbagliato fascia e rete.

giovedì 5 maggio 2011

Il delfino



Ieri, fra le altre, girava voce che Ayman al Zawahiri dovrebbe prendere il posto di Osama bin Laden. Anche qui il mito abdica in favore di un astuto ragioniere.