Francesco D’Agostino scrive: “C’è una laicità «buona», ce n’è una «cattiva»…”. Non sbuffate, siate carini: sta riscaldando la solita minestrina, è vero, però adesso metterà quel tanto di piccante da renderla mangiabile: una correlazione farlocca.
E dunque: “C’è una laicità «buona», ce n’è una «cattiva» e, per soprammercato, ce n’è una «pessima». Qualcosa del genere capita anche per un altro termine di estrema complessità e cioè «religione». C’è una religione «buona» […] c’è una religione «cattiva» […] e c’è (purtroppo) una religione «pessima»”.
Di qualsiasi cosa possiamo dire, se vogliamo, essercene una buona, una cattiva e una pessima: provate, funziona con tutto. Ma di là da questa comune (comunissima) qualità, laicità e religione sono equipollenti? Solo se rendiamo equipollente ciò che intendiamo per «buono» quando parliamo di laicità a ciò che intendiamo per «buono» quando parliamo di religione, e così con «cattivo» e per «pessimo». Ora, la correlazione suggeritaci dal D’Agostino dà per scontato che “la massimizzazione della tutela e della promozione dei diritti umani e delle libertà civili” (il buono che starebbe nella «buona» laicità) si possa definire equipollente alla “percezione che in tutti gli uomini c’è un autentico anelito all’infinito” (il buono che starebbe nella «buona» religione). Ma questo è corretto?
C’è equivalenza di valore tra un principio includente come “la massimizzazione della tutela e della promozione dei diritti umani e delle libertà civili” e quello escludente di chi dà per assodato che l’“anelito all’infinito” dimostri il trascendente? Sì, perché il D’Agostino dice che il «buono» che sta nella laicità dà due sole opzioni: “un Dio personale” o “un divino impersonale”. Né l’uno né l’altro? Vi fottete: senza una qualche divinità non siete «buoni» laici, tutt’al più dei laicacci o, “per soprammercato”, dei laici di merda.
Idem con la «cattiva» religione e la «cattiva» laicità, dove l’equipollenza è posta tra ciò che “guarda con disprezzo le confessioni di fede diverse dalla propria” e ciò che porta a “ritenere che tutte le religioni siano forme premoderne, infantili, mitologiche o comunque immature di pensiero”. Ma c’è equivalenza di valore tra il ritenere che tutte le religioni siano “forme immature di pensiero” e il ritenere che lo siano tutte tranne una (la propria)? Solo dando per assodato che il disprezzo per tutte le “forme immature di pensiero” abbia qualcosa in comune al disprezzo per “le confessioni di fede diverse dalla propria”.
Ma è così? Non avevamo detto che un laico è già «cattivo» se nega il trascendente? Stiamo mica cercando di deformare le accezioni di laicità e di religione per adattarle a forza a ciò che per assodato diamo per «buono» e «cattivo» per l’una e per l’altra? Possibile che il D’Agostino ricorra a trucchetti del genere? Vediamo con la «pessima» religione e la «pessima» laicità.
La prima “ritiene che i credenti in altre religioni vadano perseguitati, convertiti coercitivamente o addirittura sterminati”, la seconda “ritiene doveroso perseguitare ogni dimensione di pensiero e di pratica religiosa”. Ce n’è di che considerare il cristianesimo una «pessima» religione fino a qualche secolo fa e la Dominus Iesus, che a giorni fa dieci anni, non troppo «buona», quasi «cattiva»: possibile che il D’Agostino voglia osare tanto?
Di più: c’è di che considerare «pessima» solo la laicità di quanti hanno perseguitato ogni dimensione di pensiero e di pratica religiosa (ce ne sono più?), ma già «cattiva» la laicità di chi nega il trascendente (e non sono pochi).
In definitiva, basta poco a un cristiano per essere «buono»: basta che rinneghi una dozzina di secoli. A un laico, invece, un po’ troppo: ammettere una dimensione trascendente, antecedente e superiore all’“arbitrio di chi detenga occasionalmente il potere (chiunque esso sia, un soggetto individuale o un soggetto collettivo, come nelle democrazie moderne)”. Il laico «buono», insomma, è quello che nega anche alla democrazia il diritto di toccare i cosiddetti “valori non negoziabili”, fra i quali occorrerà rammentare l’indissolubilità del matrimonio e l’indisponibilità del proprio corpo, a mo’ d’esempio.
Basta che un cattolico rinunci a sgozzare protestanti e a definire “perfidi” gli ebrei, e già è un «buon» cattolico. Per essere un «buon» laico ci vuole molto di più: praticamente pensarla come un cattolico su tutto ciò che un cattolico ritiene essere “bene comune di tutti”. Alla faccia dell’equipollenza.
Postilla
Avevo in mente un post di tutt’altro genere: “La lettura di Francesco D’Agostino [e qui ci avrei piazzato il link] mi eleva, nel senso che mi fa due palle enormi”. Stop. Però mi sembrava troppo ellittico, così mi sono dilungato. Chiedo scusa ai patiti della brevitas.