lunedì 6 dicembre 2010
domenica 5 dicembre 2010
Fenomenologia di un’intervista
C’è sempre un peggio. Qualche giorno fa, per esempio, ho commentato quella che mi pareva la schifezza della schifezza della schifezza delle interviste, quella di Moritz von Uslar a Hans Magnus Enzensberger. Si poteva far peggio ed ecco l’intervista di Christian Rocca a Michel Houllebecq.
Nella prima metà – e non sto esagerando, parlo delle prime 5.059 battute su 9.322 – Rocca si limita a cazzeggiare. Comincia col presentare lo scrittore come agli abbonati a Reader’s Digest: “Houllebecq è provocatore, irriverente, polemico. Soprattutto è bravo. Scrive bene. Ha cose da dire”. Poi se lo struscia nelle parti intime: “È l’emblema dell’intellettuale non impegnato. Non è engagé, non fa parte dei giri giusti, non piace alla gente che piace”, che guarda caso è proprio quella che non piace a Rocca e alla quale Rocca non piace. Poi, dopo aver premesso che “le regole del giornalismo impongono di non indugiare sulle fatiche del cronista”, vi indugia per più di 2.000 battute: “l’appuntamento iniziale era per il giorno precedente”, Houllebecq gli ha dato buca e allora, per riempire la pagina, Rocca ci intrattiene sugli incontri che ha fatto il giorno prima nella hall dell’albergo. C’erano Cristina Sanna Passino del Tg1, Mariarosa Mancuso per Radio Svizzera, Elisabetta Sgarbi in quota Bompiani… Viene il presentimento che, partito per intervistare Houllebecq, Rocca stia dirottando al bar per intervistare la ciotola dei salatini. “Invece, alle 8.05 di domenica, Michel Houllebecq ha risposto al primo squillo e dopo qualche minuto si è materializzato nella hall”.
“Non si è scusato e forse non ha nemmeno salutato”. E non è tutto: “Risponde con un filo di voce. A monosillabi. Con pause interminabili”. Povero Rocca, i salatini l’avrebbero trattato meglio. Capita perfino che, tra una domanda e un’altra, il “gigante” si sfili di bocca una protesi (le gengive gli dolgono da cane, poveraccio) e l’appoggi sul tavolo. Per Rocca c’è solo la consolazione che lo faccia – dice – “con nonchalance”. Vabbe’, ma l’intervista? «Sì, mi piace Sarkozy». «Sì, vivo in Irlanda». «No, non sono pessimista». «No, non ho conosciuto Oriana Fallaci». Un intervistatore serio si suiciderebbe, ma qui c’è Christian Rocca e la cosa va avanti.
“Non si è scusato e forse non ha nemmeno salutato”. E non è tutto: “Risponde con un filo di voce. A monosillabi. Con pause interminabili”. Povero Rocca, i salatini l’avrebbero trattato meglio. Capita perfino che, tra una domanda e un’altra, il “gigante” si sfili di bocca una protesi (le gengive gli dolgono da cane, poveraccio) e l’appoggi sul tavolo. Per Rocca c’è solo la consolazione che lo faccia – dice – “con nonchalance”. Vabbe’, ma l’intervista? «Sì, mi piace Sarkozy». «Sì, vivo in Irlanda». «No, non sono pessimista». «No, non ho conosciuto Oriana Fallaci». Un intervistatore serio si suiciderebbe, ma qui c’è Christian Rocca e la cosa va avanti.
“Mentre Houellebecq risponde o non risponde, sempre con la stessa voce impercettibile da malato terminale, l’intervistatore comprende finalmente la grandezza dello scrittore”, anzi, si direbbe che ne venga addirittura contagiato perché parla di sé usando la terza persona. “Non sa se Houellebecq lo faccia apposta, magari no, ma i lunghi «uhm», le non risposte, la mollezza oratoria dimostrano in modo plastico che gli scrittori devono limitarsi a scrivere, i cantanti a cantare e i pittori a dipingere. I giornalisti, soprattutto, dovrebbero evitare di fare domande a un narratore, a un musicista, a un artista. Non dovrebbero chiedergli pareri geopolitici, filosofici o storici. Non dovrebbero chiedergli niente”. Ecco, bravo, e pensarci prima non sarebbe stato carino?
sabato 4 dicembre 2010
Corro subito a farmi una doccia
Il dottor Marco Belelli è il nuovo segretario radicale di Genova e Savona. La cosa sarebbe minuscola e non meriterebbe commento, se non fosse che nel comunicato stampa che ce ne dà notizia il dottore tiene a darci un ragguaglio che evidentemente ritiene necessario, e che stia in maiuscolo: “in Arte IL DIVINO OTELMA”. Chi aveva perso di vista il mago, da tempo effettivamente scomparso dagli schermi televisivi dove prima era di casa, ora è ragguagliato: quella del Divino Otelma non è attività del passato del Belelli, né viene messa a lato del suo impegno politico, né oltre. Il Fondatore dell’Ordine Teurgico di Elios e Sommo Sacerdote della Chiesa dei Viventi è in quanto tale il nuovo segretario radicale di Genova e Savona, sennò perché richiamarlo in quel contesto?
Giacché il Divino Otelma si dichiara incarnazione di Dio, potrebbero sorgere conflitti di competenza con Pannella, ma è evidente che non sarebbe giusto liquidare la faccenda con una battuta: non sarebbe giusto offendere i fedeli della sua Chiesa, né i radicali di Genova e Savona. Non sappiamo in quale misura gli uni coincidano negli altri, ma è chiaro che, se il mio Dio si incarna nel Belelli e il Belelli è radicale, non posso che essere radicale anch’io.
Tralascio ogni implicazione di ordine politico, culturale o, come direbbe Pannella, antropologico, perché tra poco ho un treno e non posso perderlo. Corro subito a farmi una doccia.
Giacché il Divino Otelma si dichiara incarnazione di Dio, potrebbero sorgere conflitti di competenza con Pannella, ma è evidente che non sarebbe giusto liquidare la faccenda con una battuta: non sarebbe giusto offendere i fedeli della sua Chiesa, né i radicali di Genova e Savona. Non sappiamo in quale misura gli uni coincidano negli altri, ma è chiaro che, se il mio Dio si incarna nel Belelli e il Belelli è radicale, non posso che essere radicale anch’io.
Tralascio ogni implicazione di ordine politico, culturale o, come direbbe Pannella, antropologico, perché tra poco ho un treno e non posso perderlo. Corro subito a farmi una doccia.
grazie a Denis
venerdì 3 dicembre 2010
Cruciale
Ma è credibile che ciò di cui Irene Grandi ha estremo bisogno prima di un concerto sia proprio un Pocket Coffe?
giovedì 2 dicembre 2010
Un rettifica gravida di implicazioni
Non erano documenti diffusi da Wikileaks, ma carte del Dipartimento di Stato alle quali era consentito accedere nel rispetto del Freedom of Information Act. Lo “choc” degli Usa all’elezione di Benedetto XVI, dunque, non era da tenere riservato. Non erano riservati neppure i timori sull’“impegno battagliero contro il secolarismo negli Usa e in altre nazioni dell’occidente” che si prevedeva fosse la cifra di un pontificato come quello di Raztinger. Insomma, l’articolo de La Stampa ci aveva tratto in confusione: finora, da Wikileaks, nulla riguardo al conclave del 2005. Dobbiamo aspettare ancora, dunque, per sapere quali fossero gli umori dell’amministrazione Bush riguardo all’elezione al Soglio pontificio di un cardinale sul quale pendeva l’accusa di “clear obstruction of justice”, poi caduta per l’immunità dovuta ai capi di stato estero. È da ritenere che su questo punto ci sia stato sollievo su entrambe le sponde dell’Atlantico: agli Usa e al Vaticano erano risparmiati imbarazzi diplomatici.
Di là dalle errate previsioni americane alla vigilia del conclave, che onestamente lasciano il tempo che trovano (il toto-papa è sempre un azzardo segnato da un auspicio che fa da sponda a una tesi geopolitica), resta il fatto che l’elezione di Ratzinger non fu accolta da giubilo ma da preoccupazione: Tettamanzi, Danneels e Castrillon Hoyos erano considerati di miglior auspicio, probabilmente si riteneva che non avrebbero dato troppa rilevanza a temi in grado di spaccare la società americana. Di tutto avevano bisogno gli americani, pare, tranne che di una Chiesa cattolica che riavanzasse la pretesa di magistero morale in ambito legislativo.
Probabilmente i teocon americani hanno sempre contato molto meno di quello che pensavamo, e solo alla vigilia delle elezioni.
In vista di possibili rivelazioni circa l’atteggiamento dell’amministrazione Bush riguardo all’accusa mossa al cardinale Ratzinger dallo Stato del Texas, L’Osservatore Romano mette le mani avanti e produce documenti che dovrebbero scagionarlo: tre lettere del 1988 che l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede inviò al presidente della Pontificia Commissione per l’Interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico, cardinale José Rosalío Castillo Lara, al fine di sollecitare una ridefinizione della procedura di riduzione allo stato laicale dei preti pedofili che suonasse come sanzione piuttosto che come accoglimento di una domanda in tal senso da parte dei rei confessi. È una manovra maldestra, perché ribadisce il loro ruolo di “dipendenti” e dunque ribadisce la responsabilità della Chiesa di Roma in ordine ai loro reati.
Per smarcarsi da responsabilità personali, nella eventualità che Wikileaks riveli che gli Usa non fossero intenzionati a fare sconti, Ratzinger (o chi a L’Osservatore Romano ritiene di fargli un favore) scarica sul Codice di Diritto Canonico ogni colpa. Senza dar conto del fatto, come acutamente fa notare Gians, che “solo il pontefice è in grado di promulgare leggi” e dal 2005 “il Codex [è] rimasto invariato”.
Per smarcarsi da responsabilità personali, nella eventualità che Wikileaks riveli che gli Usa non fossero intenzionati a fare sconti, Ratzinger (o chi a L’Osservatore Romano ritiene di fargli un favore) scarica sul Codice di Diritto Canonico ogni colpa. Senza dar conto del fatto, come acutamente fa notare Gians, che “solo il pontefice è in grado di promulgare leggi” e dal 2005 “il Codex [è] rimasto invariato”.
“Com’è sottile!”
“Carla Bruni-Sarkozy, premiere dame di Francia, si è detta «stupita, sorpresa e riconoscente» dopo le aperture del papa Benedetto XVI sull’uso del preservativo per ridurre i rischi di contaminazione da Aids” (ansa.it, 1.12.2010). Spiace dire che la signora non ha capito e dovrà ricredersi. Mica è colpa sua, pure l’Onu ha frainteso la portata dell’affermazione del Papa. Non si apre a niente: la dottrina morale della Chiesa è rimasta dove era. Vediamo come nasce il fraintendere.
Avevamo lasciato padre Federico Lombardi a colloquio col Papa. Sua Santità gli spiegava che non c’era alcuna differenza tra “prostituto” e “prostituta”: “Se si tratta di un uomo o di una donna o di un transessuale è lo stesso”. In alcuni singoli casi, non già come scelta del male minore, ma come “primo passo verso una moralizzazione”, come “primo atto di responsabilità”, trovava “giustificato” l’uso del preservativo. Il suo effetto contraccettivo era tenuto da parte, quasi collaterale. E tuttavia ribadiva: la Humanae vitae è inemendabile sul divieto di contraccezione.
Avevamo lasciato padre Federico Lombardi a colloquio col Papa. Sua Santità gli spiegava che non c’era alcuna differenza tra “prostituto” e “prostituta”: “Se si tratta di un uomo o di una donna o di un transessuale è lo stesso”. In alcuni singoli casi, non già come scelta del male minore, ma come “primo passo verso una moralizzazione”, come “primo atto di responsabilità”, trovava “giustificato” l’uso del preservativo. Il suo effetto contraccettivo era tenuto da parte, quasi collaterale. E tuttavia ribadiva: la Humanae vitae è inemendabile sul divieto di contraccezione.
Troppo sottile, vero? Per la logica laica, sì, senza dubbio. Per quella clericale, no, lì anche Cristo è ultrasottile e viene dato a ostie. In una conversazione privata, benché destinata ad essere riportata in un volume da 50.000 copie in prima edizione, c’è distinzione di piano tra contraccezione e profilassi delle malattie a trasmissione sessuale: stanno tutte e due nel preservativo, ma possono essere considerate separatamente, e lì, in quel punto di Luce del mondo, si sta discutendo di Aids. Il magistero condanna l’uso del preservativo per il suo effetto, di là dall’indicazione d’uso; il teologo, al contrario, può sospendere la condanna in particolari casi nei quali ci sia giustificazione di un effetto rispetto a un altro con diversa indicazione, e nondimeno rimane complessivamente ingiustificato. Logica del cazzo? Logica clericale, sofisticatamente lavorata da un teologo incidentalmente Papa, con la nostalgia per le molto ambigue sottigliezze del Vaticano II.
Certo, sarà difficile far capire ai laici che “il Papa ha torto” è una frase senza senso. Sarà difficile farlo capire anche agli integralisti che l’hanno detta – Dio li perdoni! – senza pensarci bene sopra, teste di legno che sono. È una frase senza senso perché il Papa non ha fatto alcuna apertura: se voleva farla, chiamava il cardinal Levada e gli ordinava una nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, rapido. Non voleva farla e non l’ha fatta. Però ha provocato un altro infortunio mediatico. Pensateci: al netto del volerlo fraintendere, poverino, tutte le volte che ha preso la pioggia non è stato per quel suo difettuccio da dottorino di teologia con le smanie di apparire sofisticato in mezzo a tante teste di legno?
Tutti a dirgli dietro da decenni: “Com’è sottile!”, adesso pure Carla Bruna a strusciarglisi addosso dalla gratitudine, e quello a mettersi nei guai per troppa vanità, giusto per essere all’altezza della fama di progressista pseudo-restauratore. Iddio dovrebbe mandarcene due alla volta, di pasticcioni così.
mercoledì 1 dicembre 2010
“Ha fatto bene, ha deciso lui”
Penso che ansa.it abbia fatto bene a dare ad Anna un minimo di protezione omettendo il cognome. È solo un gesto, perché quanti tecnici radiologi di nome Anna lavoreranno all’Ospedale San Giovanni? E tuttavia è un bel gesto, perché penso riveli la sensibilità del cronista che evidentemente ha coscienza del fatto che siamo un paese di preti, pronti a molestarti se hai codice morale diverso dal loro – chetelodicoafare – l’unico possibile. E Anna, avendo avuto modo di essere spesso d’accanto a Mario Monicelli negli ultimi mesi, si è lasciata andare a riflessioni che violano il codice morale dei preti su un punto – la tua vita non è tua, non t’appartiene – che non è negoziabile. E adesso sono cazzi suoi. Anzi, speriamo che nemmeno si chiami davvero Anna, in virtù di un’estrema sensibilità del cronista.
Anna ha detto: “Monicelli era lucido. Anche ieri sera. Ha capito che ne avrebbe avuto ancora per poco. Ha fatto bene, ha deciso lui”. In due righe c’è quanto basta da far venire le convulsioni a un reverendo padre della Congregazione per la Dottrina della Fede. Lucido? Che lucidità può essere, se spinge al più grave dei peccati e cioè quello contro la speranza? Di lucido c’è solo l’intenzionalità del commettere peccato, è evidente. Di fronte a tanto, per giunta fatto scandalo pubblico, “ha fatto bene”? È aggiungere scandalo a scandalo. E non è tutto, perché Anna aggiunge: “Ho sempre pensato che fosse ateo. Si vedeva. Chi sta male porta il crocifisso, una corona del Rosario, qualcosa a cui aggrapparsi. Lui nulla. Solo, lucido e coraggioso”. Non solo “lucido”, pure “coraggioso”?
Anna vedrà che severa pastorale la rincorrerà dalle pagine di Avvenire. Come può escludere l’estremo pentimento al terzo piano e la conversione al primo (o viceversa)? Taccia, pensi alle lastre. E non si cimenti in casuistica, non è mestiere suo. Anche da paramedico, peraltro, non deve valer troppo: il bravo paramedico dovrebbe saper essere l’angelo custode del malato terminale. Quello a urlare: “Non ce la faccio più”, e l’angelo a ripetergli: “Sopporta e offri le tue sofferenze a Gesù”.
martedì 30 novembre 2010
“Nessuno si suicida a 95 anni”
Avevo capito “Umberto” invece di “Giovanni” e mi ero assai stupito di una affermazione tanto imbecille: “Nessuno si suicida a 95 anni”. Un medico dovrebbe sapere – mi son detto – che non c’è età alla quale sia sopportabile un solo attimo in più di una vita davvero considerata insopportabile: che cazzo dice, Veronesi? Come può cedere, anche lui, a questo festival della costernazione dinanzi al suicidio? Perché non tace, se deve dire stronzate?
Non si trattava del venerabile oncologo – in cuor mio gli ho chiesto scusa per il solo averlo pensato possibile – ma del regista: tanto per intenderci, quello di Per amore, solo per amore (1993) e dei Manuale d’amore 1 (2005), 2 (2007) e 3 (2011). [Una di queste volte devo farmi spiegare da qualche esperto del ramo come un regista possa mettere nella sua filmografia un titolo che uscirà l’anno dopo. Esclude possa avere ripensamenti e metterci un anno in più prima di farlo uscire? Lo fa uscire comunque, anche se ha ripensamenti? E che tipo di cinema è? Che genere di regista è un regista del genere?]. Bene, tenuto conto del fatto che non l’aveva detta Umberto, ma Giovanni Veronesi, la cosa ci stava: ho ritirato lo stupore.
Poi però ho pensato a Rudolf Hess, suicida a 93 anni. Vuoi vedere – mi son detto – che devo in cuor mio scusarmi pure col signor regista, che intendeva solo dare a Monicelli il dovuto riconoscimento del record strappato a Hess? Scherzo, ovviamente: “nessuno si suicida a 95 anni” è frase così scema che non può essere troppo studiata, non fino a tanto.
A pensarci, però, meglio un commento cretino come quello di Giovanni Veronesi che quelli di chi è convinto che, a fargli una visita in ospedale, Monicelli avrebbe trovato una gran gioia di vivere. Chi si pente di averlo lasciato pranzare da solo, chi rimpiange di non avergli cambiato la busta al catetere. Siamo al solito voler bene appiccicoso di chi si crede indispensabile: dai, aspetta, adesso ti sorriso, così ti passa la voglia di buttarti di sotto. Ti sto dando tutto il mio calore umano, come non può darti ragione di vita? C’è arroganza in ogni tipo di pro life.
Machiavelli's wikileak
“Sia chiaro: i consigli che il Segretario della Repubblica di Firenze dedicava al Principe in verità non sono a lui diretti, ma alla popolazione intera” (Vieni via con me – Raitre, 29.11.2010).
Dario Fo prende per buona la tesi del Foscolo: Machiavelli scrive un trattatello sul potere per denunciare pubblicamente “di che lagrime grondi e di che sangue”. Non si tratterebbe di un manuale per la presa ed il mantenimento del potere “habb[endo] nelle cose a vedere il fine e non il mezzo”, ma di una deliberata wikileak, una studiata fuga di notizie riservate che un diplomatico in disarmo decide tra una partitella a carte in osteria e un attacco di gastrite, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla reale natura del potere. Dario Fo come Assange, Machiavelli la sua talpa. Inutile dire che la tesi del Foscolo è stata largamente smentita, e che Machiavelli va messo con Hobbes e Schmitt, non con Montesquieu e Swift.
Non si poteva presentare il pezzo senza la premessa foscoliana? Che male c’era a presentare Machiavelli per quello che era? Un Grande Italiano, senza dubbio, ma gli italiani erano e sono come lui: pessimisti, molto amorali e un po’ fatalisti.
Non sarebbe stato allegro leggere Il Principe per quello che è, si correva il rischio di dare i brividi al pubblico di Raitre: ecco il Machiavelli di Dario Fo, allora, una specie di Kissinger passato al nemico che pubblica tutti i suoi carteggi con la Casa Bianca. E lì che amare risate su Nixon, su Carter, su Ford.
“Acqua naturale o gassata?”
Sull’ultimo numero di Internazionale (874/XVIII – pagg. 48-53) vi è un’intervista ad Hans Magnus Enzensberger di Moritz von Uslar per Die Zeit (trad. dal ted. di Anna Zulliani) che mi ha irritato enormemente. Penso che non sia necessario dire chi sia Enzensberger, e qui nemmeno ha tanta importanza, perché ho intenzione di soffermarmi su von Uslar e sul suo modo di intervistare. Pare faccia sempre così, come ha fatto con Enzensberger, che evidentemente sapeva che tipo di intervista lo aspettava, e ha accettato. [Lo sapeva perché le 100 Fragen di von Uslar sono su ogni numero di Die Zeit, e si tratta di 100 domande (99 quelle fatte a Enzensberger) a cazzo di cane, sul tutto e sul niente, di quelle che si trovano nei questionari diagnostici dei neurologi e di quelle che si rivolgono agli oracoli, di quelle che si fanno per attaccare bottone in treno e di quelle che ti farebbe un Gigi Marzullo. E Enzensberger, dicevamo, ha accettato. Da oggi in poi io leverei quel Magnus.]
“Acqua naturale o gassata? Dov’è New York? Quando ci saranno le prossime elezioni? Fa sempre più caldo o ce lo immaginiamo noi? Qual è la differenza tra una bella cravatta in lana e una cravatta molto bella? Come va la schiena?...”. Le domande delle cento pistole della Bignardi o il giochino della torre di Sabelli Fioretti diventano alto giornalismo, al confronto. Se non sai chi è Enzensberger, non te ne fai un’idea; se sai chi è, le risposte possono sembrare sue – perché no? – ma anche di chiunque altro. Perché un’intervista del genere?Non dà un ritratto dell’intervistato, né dà una particolare visibilità all’intervistatore: è solo un compiaciuto darsi a un formato.
lunedì 29 novembre 2010
Il Sottosegretario alla Salute incontra il Papa
“Il Papa l’ha ringraziata per il suo lavoro in politica, in difesa della vita e della famiglia, e l’ha incoraggiata ad andare avanti. E lei ha risposto che il coraggio le veniva da lui, dal Papa, e che era lei, quindi, che lo doveva ringraziare!!! Quando me l’ha raccontato era ancora molto commossa”
Non la trovo cosa carina
È mia abitudine dare uno sguardo ai blog che hanno linkato lo stesso articolo dal quale ho preso spunto per un mio post, lo faccio per controllare se per caso ho preso qualche abbaglio, e oggi è stato il caso di quello che Maurizio Molinari ha firmato ieri per La Stampa (“Eletto Ratzinger gli americani sono sotto choc”). Scopro che l’ha citato pure, fra gli altri, Paolo Rodari, vaticanista de Il Foglio, che così commenta: “Si capisce bene come i diplomatici Usa (e le loro fonti in Vaticano) si basassero per le proprie previsioni esclusivamente sulla lettura dei giornali senza alcuna capacità di andare oltre le aspettative di questi”. Può anche andare: considerazione banale, ma può andare.
Quello che non va è che fra i commenti trovo un certo T. Harver che accusa Rodari di aver copia-incollato da un post de Il Sismografo nove decimi di ciò che ha scritto. Vado a controllare ed è proprio così. Ciò che però è davvero notevole sta nella risposta di Rodari: “E allora? Io cito chi voglio e quando voglio”. Tanto notevole che mi sento in dovere di dire la mia: “Gentile Rodari, forse T. Harver intendeva dire che è scorretto farlo senza virgolettare e senza citare la fonte”. Bene, passano alcune ore e i tre commenti spariscono. Non la trovo cosa carina, ecco.
Aggiornamento Rodari ritiene opportuna una spiegazione (troppo onore, troppo onore), che però non convince: perché cancellare il commento di T. Harver? Tuttavia ammette: “Tutta la prima parte del post l’ho copincollata dal sito Il Sismografo. L’ho fatto perché mi sembrava una buona sintesi. Capita che a volte prendo pezzi da agenzie o da altri siti. Se sono esaurienti mi fanno guadagnare tanto tempo. Non sempre cito la fonte”. Ecco, vergogna.
A quell’Assange dovrebbero fare una statua
Niente di sconvolgente in quanto è ora rivelato grazie a Wikileaks, niente che non fosse stato almeno ipotizzato in questo o in quel retroscena. La sorpresa sta nel constatare che molto corrisponde alle ipotesi che avremmo definito poco verosimili perché troppo fantasiose. Ma era proprio come diceva quel tale: dietro ai sorrisi di Obama a Berlusconi c’era disprezzo e diffidenza, dietro ai sorrisi di Berlusconi a Putin c’era il business e la joint venture. Era proprio come azzardava chi dietro ai fronti dello scontro di civiltà vedeva lo sfarinamento di religioni e ideologie: la geopolitica più sofisticata sembra andarsene a puttane, trionfa il muoversi a naso in un generale timor panico di pigliarlo in culo. Il mondo sembra scritto da un Dagospia sovranazionale, le potenze mondiali sembrano i baldracconi ingioiellati di Cafonal, tutti sono immortalati mentre si grattano i coglioni o infilano una tartina in bocca.
Niente di sconvolgente, tranne l’amministrazione Bush a cavallo dell’ultimo conclave (ne ha parlato solo Maurizio Molinari, per La Stampa). Passi il non aver nemmeno messo in conto l’elezione di Joseph Ratzinger, quello che sconvolge è come si reagisce al fatto: “Nonostante le speculazioni dei media sul sostegno a Ratzinger da parte di molti cardinali, la sua elezione è stata una sorpresa per molti”, soprattutto per l’osservatore americano di settore, quel tal Brown che “era sotto shock” dopo l’annuncio dell’elezione. Ma non era il papa che la tank di Karl Rove aspettava? All’esportazione della democrazia come miglior prodotto della cristianità non serviva proprio un cappellano militare di quel tipo? Macché. “Chi è vicino al nuovo papa si aspetta un impegno battagliero contro il secolarismo negli Usa e in altre nazioni dell’occidente, assieme alla dovuta attenzione per il mondo in via di sviluppo”, cioè ai nemici naturali del capitalismo. Cosa temere, dunque? L’impegno battagliero contro il secolarismo.
Niente di sconvolgente, tranne l’amministrazione Bush a cavallo dell’ultimo conclave (ne ha parlato solo Maurizio Molinari, per La Stampa). Passi il non aver nemmeno messo in conto l’elezione di Joseph Ratzinger, quello che sconvolge è come si reagisce al fatto: “Nonostante le speculazioni dei media sul sostegno a Ratzinger da parte di molti cardinali, la sua elezione è stata una sorpresa per molti”, soprattutto per l’osservatore americano di settore, quel tal Brown che “era sotto shock” dopo l’annuncio dell’elezione. Ma non era il papa che la tank di Karl Rove aspettava? All’esportazione della democrazia come miglior prodotto della cristianità non serviva proprio un cappellano militare di quel tipo? Macché. “Chi è vicino al nuovo papa si aspetta un impegno battagliero contro il secolarismo negli Usa e in altre nazioni dell’occidente, assieme alla dovuta attenzione per il mondo in via di sviluppo”, cioè ai nemici naturali del capitalismo. Cosa temere, dunque? L’impegno battagliero contro il secolarismo.
E chi l’avrebbe immaginato. Sapevamo del presidente Bush, di Condy e degli altri a pregare in ginocchio nella Stanza ovale prima di ordinare un bombardamento in Afghanistan o in Iraq e ora scopriamo che erano preghiere di tipacci che avevano a cuore il secolarismo. Al punto che la contrarietà del cardinale Ratzinger all’ingresso della Turchia in Europa pareva già da sola una mezza tragedia e, oplà, appena il cardinale è fatto papa, cambia idea sulla Turchia in Europa. Mentre alla Turchia passa la voglia.
Che mondo straordinario, che meraviglioso guazzabuglio di ipocrisie e goffaggini. Dovrebbero fare una statua a quell’Assange per avercene mostrato un pezzetto.
Che mondo straordinario, che meraviglioso guazzabuglio di ipocrisie e goffaggini. Dovrebbero fare una statua a quell’Assange per avercene mostrato un pezzetto.
domenica 28 novembre 2010
Il paradigma dell’ateo devoto
Posto che quanto sembra conveniente fino al necessario lo sia in sé, ma che Dio torni conveniente fino al necessario per dargli fondazione trascendente, avere fede non fa troppa differenza col non averla. È il paradigma dell’ateo devoto e possiamo semplificarlo anche in questo modo: Dio non esiste, ma è bene far finta. La finzione può arrivare a rendere del tutto indistinguibile chi crede in Dio da chi non vi crede e, come se il Papa fosse davvero il Vicario del Figlio di Dio, si può arrivare anche a baciargli la mano (e meno male che non s’usa più baciarne la pantofola, sennò l’ateo devoto farebbe pure quello): Dio non esiste, la religione è solo un instrumentum regni, il gesto è puro ossequio conveniente fino al necessario. E però ogni finzione ha un punto debole e lì salta il paradigma: è quando Dio pretende priorità rispetto al fine del quale è stato chiamato a farsi instrumentum.
Il paradigma dell’ateo devoto che s’era preso una sbandata per Joseph Ratzinger salta proprio sul richiamo che Benedetto XVI fa alla priorità di Dio, perché “il discorso razionale resta sullo sfondo ma assume una veste ancillare di difficile comprensione per i laici extra ecclesiam” (Il Foglio, 27.11.2010). Se tra chi crede e chi non crede c’è accordo su quasi tutto ciò che per entrambi è conveniente fino al necessario, perché sostenere che senza Dio tutto cade? Fingere che esista non basta?
Giuliano Ferrara è triste perché il suo Ratzi pretende troppo: “Benedetto conferma nel suo ultimo libro, con la consueta forza argomentativa, il dissenso cristiano da alcuni tratti insopportabili dell’esistenza moderna, ma la ricetta nella sostanza cambia: il teologo e filosofo proponeva che il secolo si comportasse «come se Dio ci fosse» […], mentre il pastore […] oggi si rivolge al suo gregge con un più prudente appello alla fede nel Dio vivente”, e così “le linee del suo insegnamento pastorale perdono in parte quell’attrazione trasgressiva, quel vigore provocatorio e quell’aura di sfida al secolo, sul suo infido terreno, che ci hanno fino a ieri fatto ragionare, magari anche un po’ delirare e, in un certo senso, credere di poter credere”. Un po’ di delirio, ok, ma la conversione, cazzo, è troppo.
sabato 27 novembre 2010
L’intuizione di Frattini
Il complotto ai danni dell’Italia e la barzelletta sul pollo che attraversa la strada si tengono benissimo, e vi spiego subito il perché.
L’ometto va a un summit del G20. Gli altri 19 sono statisti che la congiuntura mondiale ha reso seriosi e nevrotici, ma il nostro è la quintessenza dell’allegria, è argento vivo, è genio dell’intrattenimento. Cosa meglio di una bella barzelletta per sciogliere l’umor cupo che fa cappa sul vertice? Una botta di buonumore fa bene a tutto, anche all’instabilità dei macrosistemi. Il nostro non è mai stato scoraggiato in tal senso, anzi, spesso abbiamo avuto la sensazione che i suoi interlocutori internazionali lo trovassero simpatico. Ecco, il punto è questo: sarà che abbiamo avuto un’impressione errata. Può darsi che lo trovassero ridicolo e che quella simpatia fosse in realtà compassione.
Non volendo dire: “È imbarazzante”, hanno sempre detto: “È divertente”, o hanno lasciato intenderlo a chi voleva. Questo ha ingenerato un equivoco che ha incoraggiato l’ometto a far sempre di peggio, anche perché incoraggiato da chi gli faceva credere che le relazioni internazionali avessero tanto bisogno di una spolveratina delle sue. Alla barzelletta sul pollo che ha imbarazzato perfino gli addetti alla traduzione, si arriva in niente. Se non era per una barzelletta intraducibile, sarebbe stato per una amichevole strizzatina di palle a Cameron o per un popi-popi alle tette della Merkel, ma prima o poi doveva accadere.
Qui viene a realizzarsi il cortocircuito che slatentizza il complotto ai danni del nostro amato premier e dunque, in pratica, ai danni dell’Italia. L’imbarazzo dinanzi al ridicolo non riesce più celarsi dietro i sorrisi di cortesia e, quando il tanto arriva al troppo, cala il gelo, l’ipocrisia non è sentita più come dovere: di colpo, le pacche sulle spalle, i cucù, le battute da vecchio erotomane diventano insopportabili.
Accade che il disprezzo di cui è fatto oggetto il premier ricada sul paese che rappresenta. Non dicono che rappresenta l’italiano medio? Non sostengono che in lui si fondano virtù e difetti del carattere nazionale fino a non poter più discernere quali siano le une e quali gli altri? E da capo di stato estero non è naturale che, venendoti a star sul cazzo Berlusconi, ti vengano a star sul cazzo tutti gli italiani e l’Italia? Non ti viene una gran voglia di cercare alleanze segrete per dare una severa lezioncina a questo popolo di insopportabili cafoni? Vai con le strategie destabilizzanti l’Italia, vai col complotto. Ed eccoci all’intuizione di Frattini.
So bene che vi risulterà bislacco, ma è l’unico modo per spiegare l’intuizione di Frattini.
Ci prova
“Negli ultimi anni il numero dei nuovi sacerdoti è aumentato in tutto il mondo” (Benedetto XVI, Luce del mondo, L.E.V. 2010). Formalmente non è una falsità, sostanzialmente sì.
Nel 2000, la popolazione mondiale ammontava a poco più di 6 miliardi di individui, i cattolici erano poco più di un miliardo e i sacerdoti erano 405.178; nel 2008, i sacerdoti erano 409.166 (solo 3.988 in più) per 1,17 miliardi di cattolici (oltre 110 milioni di fedeli in più) sui 6,7 miliardi della popolazione mondiale complessiva. Mentre nel 2000 avevamo un sacerdote per 2.579 cattolici, nel 2008 ne avevamo uno ogni 3.000 circa: in assoluto, dunque, il numero sacerdoti (s) è aumentato, anche se di pochissimo, ma è diminuito, e di parecchio, in relazione alla massa di fedeli (f), con una significativa caduta del rapporto s/f, che è espressione della presenza pastorale.
Sostanzialmente i preti sono diminuiti, formalmente Benedetto XVI può negarlo. Ma non è tutto.
Sostanzialmente i preti sono diminuiti, formalmente Benedetto XVI può negarlo. Ma non è tutto.
Si parla del numero dei “nuovi sacerdoti” e si dice che è “aumentato in tutto il mondo”: formalmente è vero, ma sostanzialmente è falso, perché aumenta complessivamente “in tutto il mondo”, ma non “dappertutto nel mondo”: più preti solo in Asia e in Africa, sempre gli stessi nelle Americhe e in Oceania, molti di meno in Europa. E così è per le nuove ordinazioni sacerdotali: sempre di meno in Europa, stabili dappertutto, in aumento in Africa.
C’è poco da essere allegri, ma Benedetto XVI ci prova. A costo di ingannare gli sprovveduti.
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