giovedì 2 dicembre 2010

Un rettifica gravida di implicazioni


Non erano documenti diffusi da Wikileaks, ma carte del Dipartimento di Stato alle quali era consentito accedere nel rispetto del Freedom of Information Act. Lo “choc” degli Usa all’elezione di Benedetto XVI, dunque, non era da tenere riservato. Non erano riservati neppure i timori sull’impegno battagliero contro il secolarismo negli Usa e in altre nazioni dell’occidente” che si prevedeva fosse la cifra di un pontificato come quello di Raztinger. Insomma, l’articolo de La Stampa ci aveva tratto in confusione: finora, da Wikileaks, nulla riguardo al conclave del 2005. Dobbiamo aspettare ancora, dunque, per sapere quali fossero gli umori dell’amministrazione Bush riguardo all’elezione al Soglio pontificio di un cardinale sul quale pendeva l’accusa di “clear obstruction of justice”, poi caduta per l’immunità dovuta ai capi di stato estero. È da ritenere che su questo punto ci sia stato sollievo su entrambe le sponde dell’Atlantico: agli Usa e al Vaticano erano risparmiati imbarazzi diplomatici.
Di là dalle errate previsioni americane alla vigilia del conclave, che onestamente lasciano il tempo che trovano (il toto-papa è sempre un azzardo segnato da un auspicio che fa da sponda a una tesi geopolitica), resta il fatto che l’elezione di Ratzinger non fu accolta da giubilo ma da preoccupazione: Tettamanzi, Danneels e Castrillon Hoyos erano considerati di miglior auspicio, probabilmente si riteneva che non avrebbero dato troppa rilevanza a temi in grado di spaccare la società americana. Di tutto avevano bisogno gli americani, pare, tranne che di una Chiesa cattolica che riavanzasse la pretesa di magistero morale in ambito legislativo.
Probabilmente i teocon americani hanno sempre contato molto meno di quello che pensavamo, e solo alla vigilia delle elezioni.

In vista di possibili rivelazioni circa l’atteggiamento dell’amministrazione Bush riguardo all’accusa mossa al cardinale Ratzinger dallo Stato del Texas, L’Osservatore Romano mette le mani avanti e produce documenti che dovrebbero scagionarlo: tre lettere del 1988 che l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede inviò al presidente della Pontificia Commissione per lInterpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico, cardinale José Rosalío Castillo Lara, al fine di sollecitare una ridefinizione della procedura di riduzione allo stato laicale dei preti pedofili che suonasse come sanzione piuttosto che come accoglimento di una domanda in tal senso da parte dei rei confessi. È una manovra maldestra, perché ribadisce il loro ruolo di “dipendenti” e dunque ribadisce la responsabilità della Chiesa di Roma in ordine ai loro reati.
Per smarcarsi da responsabilità personali, nella eventualità che Wikileaks riveli che gli Usa non fossero intenzionati a fare sconti, Ratzinger (o chi a L’Osservatore Romano ritiene di fargli un favore) scarica sul Codice di Diritto Canonico ogni colpa. Senza dar conto del fatto, come acutamente fa notare Gians, che “solo il pontefice è in grado di promulgare leggi” e dal 2005 “il Codex [è] rimasto invariato”.

1 commento:

  1. Questo è quanto avrei voluto scrivere e non sono riuscito a fare.

    RispondiElimina