martedì 21 dicembre 2010

Nichi Vendola non mi piace e non mi convince



“Il capitalismo ormai non è solo incompatibile
con la democrazia: è incompatibile con la vita”

Ho già detto che Nichi Vendola non mi piace e ho usato questa espressione perché mi sono limitato a usare categorie estetiche, parlando dell’irritazione che mi procurano il suo cristianesimo alla Jovanotti, il suo cattolicesimo da festa del santo protettore, il suo lessico psichedelico, il suo comunismo tutto letterario, il suo populismo sentimentale, la sua omosessualità ostentatamente sobria (e non è un ossimoro). Dopo due mesi il post continua ad essere commentato, per lo più da lettori ai quali invece Nichi Vendola piace, piace molto, piace al punto da rimproverarmi che non piaccia pure a me quanto piace a loro. Penso, dunque, che sia il caso di passare a un giudizio propriamente politico e approfitto dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia che oggi apre il Corriere della Sera (L’orecchino populista), perché mi torna utile a semplificare.
Dico subito che l’editoriale sembra assai benevolo, in alcuni punti addirittura lusinghiero. In pratica, Ernesto Galli della Loggia scrive che Nichi Vendola è il meglio che potesse capitare a una sinistra che, “con la fine dell’impianto ideologico che arriva all’Italia della Prima Repubblica dal cuore della modernità otto-novecentesca” e “con il declino dell’industrializzazione e dei suoi attori, con l’impallidimento dei grandi luoghi aggregativi della socializzazione come la famiglia, la Chiesa, i partiti, i sindacati”, era tenuta ad abbandonare “la «storia» come termine essenziale di riferimento” per “sostitu[irla] con la «vita»”: nessuno meglio di Nichi Vendola, che sostituisce l’ideologia con “immagini ed emozioni”, e che “non parla” ma “intesse delle «narrazioni»”, nelle quali “la politica è quasi esclusivamente evocazione di sentimenti”.
Sembrerebbe un giudizio positivo, se non fosse che per Ernesto Galli della Loggia, levato il portato ideologico, alla sinistra resta il suo moralismo (“dovuto al suo credersi portatrice privilegiata di istanze etiche”) e la sua epica “etno-populistica”, che dal mito dell’eroe proletario – operaio, contadino, studente – è decaduto all’icona di “un modello divistico di tipo rockettaro-televisivo”: Nichi Vendola è quanto di meglio può incarnare questa evoluzione, ma si tratta di una dimensione politica che, “lungi dall’essere argomentazione razionale di problemi concreti e di soluzioni possibili, è soprattutto retorica e oratoria fusionale, identificazione emotiva tra chi «narra» e chi ascolta”. Affabulazione etico-estetica, dunque, e tutta autoreferenziale: al posto della politica c’è il “pathos della «vita»”, e Nichi Vendola ne è il miglior medium possibile.
Sembrava un giudizio positivo, ma è una sentenza di condanna senza appello: per la sinistra – e per Nichi Vendola. Condanna che io trovo condivisibile. Da liberale, non posso ritenere questa narrazione migliore di quella che Silvio Berlusconi è riuscita a incarnare per catalizzare il blocco sociale di questo centrodestra: tra queste consolatorie spiegazioni di quella chimera antropologica che sarebbe il carattere nazionale italiano – in oppositis speculis – c’è la giustificazione di una differenza che ci precluderebbe l’uso della testa, dandoci il primato del cuore e dello stomaco. Questo non mi piace, ma qui l’espressione esorbita dalle categorie estetiche: non mi convince che il destino patrio debba giocarsi in una eterna guerra civile tra furbi e fessi.

8 commenti:

  1. La sua enfasi continua, il suo squadernare una nuova narrazione, sa molto di berlusconismo invertito. Non siamo tutti adolescenti.

    Non vogliamo necessariamente sognare. Non cerchiamo lo stordimento della bella citazione, l’affastellarsi dei nomi, l’emozione di un’Italia diversa.
    L’istrionismo delle sue metafore, dei suoi ossimori, delle sue subordinate, può anche eccitare chi è abituato a sentire gli slogan ed il semplicismo del potere, ma può stancare chi sa che la politica è fatta di compromessi, rinunce, sacrifici. Vendola non deve incantare nessuno.
    Quando parla di welfare vogliamo cifre e concretezza. Quando parla di ambiente vogliamo dati, nomi, casi singoli.
    Cosa vuole fare (con quali soldi ed in quanto tempo) del problema della disoccupazione giovanile, dell’evasione fiscale, delle pensioni, della scuola e dell’università.
    Poi può anche raccontarci di Cristo in croce e «Bella ciao», di Aldo Moro e del subcomandante Marcos, di Feuerbach e Vandana Shiva, di Marx e della Bibbia, della taranta pugliese e dei social network, dei Sud Sound System e del melodramma italiano. Ma prima faccia il politico.
    Altrimenti la sua resta politica-spettacolo, cioè:
    espansione della logica dei media nella politica;
    politainment;
    personalizzazione;
    estetizzazione della cittadinanza…
    Infine, se proprio vuole essere efficace sul piano retorico, sia meno involuto, altrimenti faremo fatica a distinguerlo dall’imitazione che ne ha fatto Checco Zalone.


    Non è vero che “la poesia è nei fatti”.
    I fatti sono brutali e non c’incantano: primato italiano nella disoccupazione giovanile, nel debito pubblico, nella ricchezza prodotta dalle mafie, nei soldi spesi nell’esercito e in quelli negati alla scuola e all’università, nella bassezza dei salari, nell’evasione fiscale, nella scarsa passione per il bene comune.
    Vendola potrà anche dire “dobbiamo essere una lucerna che consente di illuminare gli angoli bui dell’organizzazione della vita, noi perdiamo quando ci perdiamo, quando non abbiamo più un fascio di luce che illumina anche ciò che ci impedisce il cammino. Illuminare è costruire insieme l’etica del cammino”, ma di fronte a certi problemi la retorica vale zero. Bla, bla. Lui si chiede: “Perché la sinistra non è stata in grado di mettere in piedi un dispositivo di linguaggio, un codice, un’utopia?” Io mi chiedo cosa intende fare, tenendo conto dei tempi, dei soldi, degli alleati eventuali, per curare i problemi che ha l’Italia.

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  2. La sinistra di Vendola non è la mia sinistra. Concordo. da sinistra con molte delle osservazioni riportate, da tutti e tre, però quello che contnuo a non capire è l'idea di scegliere il leader degli altri. Io cerco i miei rappresentanti non quelli delle mie "controparti". Non voglio essere io a stabilire chi debba rappresentare le istanze degli industriali, dei borghesi, dei cattolici fondamentalisti o dei radicali. Perchè non recuperare quel minimo di buon senso per cui lasciare ad ognuno di definire chi lo debba o possa rappresentare ed accettare il confronto con questi, piuttosto che continuare a cercare di definire chi possa rappresentare istanze altrui. Ognuno voti (o esprima apprezzamenti) per i propri e non cerchi di condizionare le altrui preferenze, o in fin dei conti non è questo il principio fondante della democrazia rappresentativa?

    Un Sorriso

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  3. L'idea di impostare il rapporto tra politica (ma sarebbe meglio dire: singolo uomo politico) e corpo elettorale in termini simili ad una relazione sentimentale-affettiva, al volersi bene, mi sembra molto pericolosa (persino se/quando proposta in maniera sincera).

    Il punto fondamentale, chiaramente, resta comunque quello di Malvino e Pisacane: l'idea di costui di risolvere i problemi dell'Italia con una "grande narrazione" non rassicura molto di più rispetto alla storiella della "lucida, visionaria follia" a suo tempo evocata - più che altro per posa, o per fingere di aver letto un libro - da quell'altro.
    Ma probabilmente è solo un problema mio, "pensare è per gli stupidi, mentre i cervelluti si affidano all'ispirazione".

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  4. L'enfasi, l'istrionismo, il populismo, il linguaggio, l'orecchino ecc ecc.
    Personalmente Vendola non mi piace perché dietro questo pacchetto "innovativo" c'è il solito post-comunista, dove di "post" c'è solo l'approccio mediatico, tutto il resto è abbastanza vetero.
    Vendola è uno che dice no agli OGM e che si dichiara contrario alla globalizzazione.
    È l'unico vero erede di Bertinotti.

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  5. Cavolo, appena ho visto il titolo del post sul mio feed mi sono precipitato a leggere, magari per rispondere in polemica. E cosa mi ritrovo di fronte? Un editoriale di Galli della Loggia. Ernesto.Galli.della.Loggia. Dai, che puoi far meglio.

    Comunque non c'è una sola parola di politica in questo editoriale, è il solito temino (quello di EGDL) piuttosto generico dell'opinionista consumato che non ha neanche più bisogno di navigare un po' in internet prima di infondere il suo prezioso pensiero. Mi pare tutt'al più un'analisi stilistica.

    A qualcuno può non piacere che i leader debbano ricorrere ad una retorica patinata che fa leva su un immaginario quanto più condiviso (e i cristiani in questo paese sono ancora tanti). A me per esempio questo mercato mi disgusta, il mercato in se, non i commercianti però, che sono persone e devono fare la loro vita.

    Poi spesso si rinfaccia ai rappresentanti e leader la scarsa comunicatività, lo strategismo machiavellico, e la mancanza di un pensiero di ampio respiro sui valori da mettere nel piatto (tu stesso, nel post sui valori di destra e sinistra).

    Come per Obama, la campagna elettorale è una cosa, governare è un altra. E io paradossalmente ho preferito l'Obama presidente all'Obama candidato. Vendola ha governato la Puglia per parecchi anni, ed un'analisi politica non dovrebbe prescindere dall'indagare su quanto ha fatto e come l'ha fatto, e se ci sia discrasia tra quanto dice e quanto produce.

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  6. Atlantropa, citi da Alex di Arancia Meccanica? Non è esattamente Confucio. Quanto a Vendola, non convince neanche me. Come non mi convincono quelli che vogliono conciliare a tutti i costi il diavolo e l'acqua santa e fanno sfoggio di virtuosismi retorici.

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  7. Vorrei che spiegassi perchè Piroso è stato fatto fuori con Mentana.
    Non riesco a Capirlo. Tu hai qualche idea?

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