Sull’ultimo numero di Internazionale (874/XVIII – pagg. 48-53) vi è un’intervista ad Hans Magnus Enzensberger di Moritz von Uslar per Die Zeit (trad. dal ted. di Anna Zulliani) che mi ha irritato enormemente. Penso che non sia necessario dire chi sia Enzensberger, e qui nemmeno ha tanta importanza, perché ho intenzione di soffermarmi su von Uslar e sul suo modo di intervistare. Pare faccia sempre così, come ha fatto con Enzensberger, che evidentemente sapeva che tipo di intervista lo aspettava, e ha accettato. [Lo sapeva perché le 100 Fragen di von Uslar sono su ogni numero di Die Zeit, e si tratta di 100 domande (99 quelle fatte a Enzensberger) a cazzo di cane, sul tutto e sul niente, di quelle che si trovano nei questionari diagnostici dei neurologi e di quelle che si rivolgono agli oracoli, di quelle che si fanno per attaccare bottone in treno e di quelle che ti farebbe un Gigi Marzullo. E Enzensberger, dicevamo, ha accettato. Da oggi in poi io leverei quel Magnus.]
“Acqua naturale o gassata? Dov’è New York? Quando ci saranno le prossime elezioni? Fa sempre più caldo o ce lo immaginiamo noi? Qual è la differenza tra una bella cravatta in lana e una cravatta molto bella? Come va la schiena?...”. Le domande delle cento pistole della Bignardi o il giochino della torre di Sabelli Fioretti diventano alto giornalismo, al confronto. Se non sai chi è Enzensberger, non te ne fai un’idea; se sai chi è, le risposte possono sembrare sue – perché no? – ma anche di chiunque altro. Perché un’intervista del genere?Non dà un ritratto dell’intervistato, né dà una particolare visibilità all’intervistatore: è solo un compiaciuto darsi a un formato.
Magari è un modo come un altro (ma già collaudato in Italia) per arrivare in cima al settore cultura della televisione pubblica tedesca, questo di von Uslar.
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