Mattia Ferraresi ci aveva già parlato dell’opera prima di Tom Rachman (Gli imperfezionisti – Il Saggiatore, 2010), sempre su Il Foglio, lo scorso 19 giugno, però lì non ammiccava affatto a quelle che ieri ci offriva come sorprendenti analogie tra il giornale descritto nel libro, The Paper, “quotidiano internazionale che viene prodotto a Roma”, e quello per il quale scrive in qualità di corrispondente da Washington. Dev’essere capitato che Giuliano Ferrara le abbia intuite nel passo in cui The Paper era descritto come “regno dell’approssimazione, dove l’arte della verità non se ne sta sospesa in un iperuranio senza legami, ma galleggia come può nella corrente delle passioni umane”. Poco importa che, interpellato sul punto, Rachman neghi d’essersi ispirato a Il Foglio (“The Paper è un prodotto della mia immaginazione”), perché il titolo del pezzo di ieri era Noi, gli imperfezionisti, dove – a piacere – il noi può significare tutto: “noi de Il Foglio”, ma anche “noi giornalisti”, perfino “noi tutti” (“esseri umani imperfetti come tutti gli altri”). Il sofisma sta nel diluire la disonestà di alcuni nell’ampio spettro morale che va dall’assoluta onestà all’assoluta disonestà. Chi può dirsi assolutamente onesto? Siamo tutti un po’ disonesti, e che facciamo, condanniamo tutti? Stiamo lì a millesimare chi lo sia un tot in più o in meno? E dove poniamo il limite? Non sarebbe posto comunque arbitrariamente? Tutti assolti, via. Se proprio vogliamo condannare qualcuno, condanniamo chi si dichiara onesto: a ben vedere, è l’unico vero disonesto.
Breakfast at Socrate's stamattina.
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