Nell’omelia tenuta la notte di Natale – nel punto in cui ha spiegato come debba correttamente leggersi il «primogenito» che sta scritto in Lc 2,7 – Benedetto XVI ha dato prova esemplare di cosa sia quell’esegesi teologica che definì essenziale al Sinodo della Parola del 2008, quando richiamò “attenzione ai rischi di un’esegesi esclusivamente storico-critica” e ribadì che “non ha fondamento un’esegesi che non sia teologica”: “La conoscenza esegetica – disse – deve intrecciarsi indissolubilmente con la tradizione spirituale e teologica perché non venga spezzata l’unità divina e umana di Gesù Cristo e delle Scritture”. In pratica, la Bibbia deve esser letta in modo da non entrare in contraddizione con la dottrina e, se la dottrina vuole che Gesù sia figlio unigenito di Maria (sennò cadrebbero due o tre dogmi), «primogenito» non può affatto significare che abbia avuto fratelli: “Luca qualifica il bambino come «primogenito». Nel linguaggio formatosi nella Sacra Scrittura dell’Antica Alleanza, «primogenito» non significa il primo di una serie di altri figli. La parola «primogenito» è un titolo d’onore, indipendentemente dalla questione se poi seguono altri fratelli e sorelle o no”. In pratica, bisogna chiudere un occhio su tutte le altre fonti – testamentarie (1) e non testamentarie (2) – che parlano estesamente di fratelli e sorelle di Gesù (3); e il termine «primogenito» dovrebbere essere inteso in questo senso: “Ci viene detto: Egli è il primogenito di molti fratelli. Sì, ora Egli è tuttavia il primo di una serie di fratelli, il primo, cioè, che inaugura per noi l’essere in comunione con Dio. Egli crea la vera fratellanza – non la fratellanza, deturpata dal peccato, di Caino ed Abele, di Romolo e Remo [sic!], ma la fratellanza nuova in cui siamo la famiglia stessa di Dio. Questa nuova famiglia di Dio inizia nel momento in cui Maria avvolge il «primogenito» in fasce e lo pone nella mangiatoia. Preghiamolo: Signore Gesù, tu che hai voluto nascere come primo di molti fratelli, donaci la vera fratellanza”. Se si rifiuta questa lettura dei vangeli, si incorrerebbe nei “rischi di un’esegesi esclusivamente storico-critica”; se la si accetta, tutto ok, si è letto come si deve. Non so a voi, a me viene da sorridere.
Tutto qui? Non tutto. Nel riportare sul suo sito il testo dell’omelia, Sandro Magister sceglie per titolo l’espressione «Primogenito di molti fratelli», facendo così propria, del tutto acriticamente, l’esegesi teologica rifilataci da Benedetto XVI, senza una sola nota in calce, come se la questione dei fratelli e delle sorelle di Gesù non fosse altrimenti risolvibile che nel modo suggerito dal Papa. Qui il sorriso mi si trasforma in una smorfia amara.
(1) Il già citato Luca: “Maria diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7), che poco oltre scrive: “Un giorno andarono a trovarlo la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. Gli annunciarono: «Tua madre e i tuoi fratelli son qui fuori e desiderano vederti»” (Lc 8, 19-20). Poi Marco, in due passaggi: “Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano»” (Mc 3, 31-32); “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” (Mc 6, 3). Altre due volte in Matteo: “Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre ed i tuoi fratelli che vogliono parlarti»” (Mt 7, 46-47); “Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi?” (Mt 13, 55-56). E due volte in Giovanni: “Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e là si fermarono solo pochi giorni” (Gv 2, 12); “Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne; i suoi fratelli gli dissero: «Parti di qui e và nella Giudea…»” (Gv 7, 2). Poi, negli Atti degli Apostoli: “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui” (At 1, 14); e ancora in Paolo: “In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo attesto davanti a Dio che non mentisco” (Gal 1, 18-20). Per tacere dei vangeli apocrifi, naturalmente.
In realtà, anche in Matteo era presente un «primogenito» prima che fosse espunto, non più di una ottantina di anni fa. Nel Novum Testamentum Graece et Latine secundum Matthaeum si legge: “Non cognoscebat eam donec peperit filium suum primogenitum et vocavit nomen eius Iesum” (1, 25), che implica peraltro una conoscenza carnale di Maria da parte di Giuseppe dopo la nascita del primogenito. Orrore! Ed ecco che nella editio princeps del 1971 tutto è sterilizzato in un tranquillizzante “senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù”.
(2) Eusebio di Cesarea, Padre della Chiesa, che per Benedetto XVI è da considerare “l’esponente più qualificato della cultura cristiana del suo tempo in contesti molto vari, dalla teologia all’esegesi, dalla storia all’erudizione” (Udienza, 13.7.2007), nella sua Historia Ecclesiae scrive: “Egli comparve a Giacomo, uno dei fratelli del Salvatore” (I, 12, 5); “In quel tempo Giacomo, fratello del Signore, figlio di Giuseppe…” (II, 1, 2); “Giacomo, fratello del Signore, succedette all’amministrazione della Chiesa insieme con gli apostoli” (II, 23, 4); “Giuda, che era fratello carnale del Salvatore...” (III, 19, 6); “Della famiglia del Signore rimanevano ancora i nipoti di Giuda, suo fratello secondo la carne…” (III, 20, 1).
(3) Sul punto si è spesso opposta l’obiezione che ai tempi di Gesù, in Galilea, il termine fratello equivalesse a quello di cugino. Il fatto è che questo vale per l’aramaico, ma i vangeli sono scritti in greco e qui si parla di αδελφοι (fratelli), non di εξαδελφοι (cugini). C’è chi ha provato a sostenere che si trattasse di fratellastri, figli di Giuseppe nati da un precedente matrimonio con una Maria di Cleofa che però sarebbe ancora viva quando Giuseppe prende in moglie Maria, madre di Gesù. Giuseppe bigamo? Orrore! [Sulla questione si consiglia la lettura di David Donnini (Cristo, una vicenda storica da riscoprire, Erre Emme Edizioni 1994) e di Robert Eisenman (James, the brother of Jesus, Faber and Faber 1997).]