Ho già commentato le tante puttanate scritte da Benedetto XVI nel Messaggio al Presidente della Repubblica in occasione dei 150 anni dell’Unità politica italiana, e ho iniziato col dire che la prima era già nel titolo. Nel 1861, infatti, all’Italia mancava ancora Roma per dirsi unita: l’Unità d’Italia si avrà solo 9 anni dopo, quando i bersaglieri sfonderanno Porta Pia, beccandosi la scomunica che fin lì era toccata a chiunque si era azzardato a pensare Roma senza Papa-Re. Scomunica che non sarà mai revocata, neanche dai pontefici che, facendo di necessità virtù, col tempo smisero di considerarsi prigionieri dello Stato e pian pianino, dietro favore dopo favore, dietro privilegio dopo privilegio, cominciarono a capire che perdere il potere temporale era stato conveniente.
Sotto le mistificazioni che in questi ultimi anni hanno portato le gerarchie ecclesiastiche ad avanzare la pretesa di un merito nel processo unitario, a fianco di Cavour, Mazzini e Garibaldi, i fatti sono ancora lì, intatti, e ci vuole una straordinaria faccia di culo, come dicevo commentando il Messaggio di Sua Santità, per affermare che “l’identità nazionale degli italiani costituì la base più solida della conquistata unità politica” perché “fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche”, ma neanche tanto. L’opportunità di stanare il Papa-Re dal Palazzo Apostolico, nel quale s’era rintanato dichiarandosi prigioniero, non venne presa in debita considerazione (dargli un calcio in culo o mettergli una corda al collo ci avrebbero promosso a paese normale) e, com’è tristemente noto, prevalse l’infausta idea di lasciarlo lì, per evitare la guerra civile che avrebbe scatenato, ma sottovalutando gli oneri che ne sarebbero derivati.
Fra questi fu messo quello della rimozione del 20 settembre 1870 dalla memoria degli italiani, perché riconoscerla come data della vera Unità d’Italia sarebbe stato scortese verso il Papa. Si sottovalutava la straordinaria faccia di culo che lo Spirito Santo gli conferisce al momento dell’elezione, perché nel 140° anniversario di Porta Pia, sei mesi fa, abbiamo visto il suo Segretario di Stato in prima fila, a garantirci una “ritrovata concordia tra comunità civile ed ecclesiale”. Qualcuno, per un attimo, ha pensato che stesse per chiedere allo Stato una pensione per gli eredi degli zuavi papalini, e invece si è limitato a concedere che Roma è “indiscussa capitale d’Italia”, apparentemente a gratis.
Divagavo, come al solito. Volevo dire che, dopo aver commentato le puttanate di Benedetto XVI, ci tocca dare un’occhiata pure a quelle del cardinale Angelo Bagnasco, che ieri ha tenuto un’omelia ad hoc, nel corso della quale ha detto che “la Patria, nello stesso linguaggio comune, esprime una paternità, così come la Madrepatria esprime una maternità: il popolo che nasce da ideali alti e comuni, che vive secondo valori nobili di giustizia e solidarietà, che sviluppa uno stile di relazioni virtuose, respira un anima spirituale capace di toccare le menti e i cuori, è un popolo vivo, prende volto, assapora e si riconosce uno, diventa Nazione e Patria, offre sostanza allo Stato”. Superfluo aggiungere che l’Italia può vantare tutto ciò solo grazie al cristianesimo, anzi, grazie al cattolicesimo, sicché viene quasi il sospetto che non ci sia possibilità di Patria, forse neanche Nazione, senza la vidima della relativa conferenza episcopale.
Bastasse, volesse il cielo che bastasse, ma non basta. Perché a commento delle puttanate di Sua Eminenza, lesto come la mosca sullo stronzo, arriva l’editoriale di Francesco D’Agostino: “Non c’è dubbio che il Risorgimento abbia avuto diverse anime e non tutte coerenti tra loro. Una delle idee guida dei patrioti risorgimentali (e sicuramente la più caduca) consisteva nell’appassionato desiderio di dare vita, costruendo uno Stato unitario, a una nuova Italia capace di entrare nel concerto europeo come una grande potenza, non inferiore, né idealmente né materialmente, a nessun’altra. Un desiderio nobile, ma pericoloso, perché tale da stravolgere quello che c’è di veramente buono nel patriottismo, deformandolo nel nazionalismo” (Avvenire, 18.3.2011). E qui è fatto evidente che, a impiccare Pio IX o a esiliarlo in Oceania, il nostro patriottismo sarebbe senza dubbio degenerato in nazionalismo, forse truce, quasi certamente guerrafondaio. Parola di Bagnasco, che fino a pochi anni fa era a capo dei cappellani militari, però commentata da D’Agostino.