Capita spesso che al neofita faccia difetto il senso della misura e che il suo zelo, tanto più ardente quanto più la nuova fede ha in lui l’urgenza di non lasciare alcuna traccia della vecchia, sia motivo di imbarazzo per la comunità della quale entra a far parte, in primo luogo di chi la guida, costretto non di rado a mettere subito da parte il vanto di esibire il neoconvertito e porre un freno ai suoi pericolosi entusiasmi. Con Magdi Allam è capitato.
Fresco di battesimo, cominciò subito ad ardere di un cattolicesimo assai imbarazzante per la Santa Sede, che fu costretta a dissociarsi in fretta dalle sue smanie da lepantista: “Il cattolicesimo non nutre alcuna intenzione ostile nei confronti di una grande religione come quella islamica” (L’Osservatore Romano, 26.3.2008); “Accogliere un nuovo credente non è sposarne tutte le posizioni” (Corriere della Sera, 28.3.2008); “Sull’islam idee sue, non del Papa” (il Giornale, 28.3.2008).
Questo non è bastato a temperare i suoi bollori. Non gli è bastato farsi battezzare dal Papa e in mondovisione per sentirsi a pieno titolo cattolico e romano, non gli è bastato appiccicarsi il sovrannome di Cristiano per dimenticare d’essere nato musulmano, non gli è bastato assumere postura da leghista della Val Brembana per dimenticare d’essere un immigrato egiziano naturalizzato italiano: rieccolo a smaniare d’un “dover rompere l’assedio islamico” (il Giornale, 26.4.2011), che anche uno studente al primo anno di Psicologia non avrebbe difficoltà a riconoscere come assedio tutto interno.
È accaduto che a Milano, dove i musulmani sono più di 100.000 e hanno luoghi di culto per una capienza complessiva non superiore ai 3.000 posti, perché le autorità locali negano la costruzione di nuove moschee, un muezzin abbia invitato alla preghiera di strada. Magdi Cristiano Allam ha vissuto l’accaduto con l’angoscia di un viennese sotto l’assedio turco nel 1529. “È il momento di dire basta – scrive – e di chiedere quantomeno che i musulmani si attengano alle nostre leggi così come fanno gli ebrei, i cristiani o i buddhisti”.
Siamo dinanzi a un evidente infortunio: anche se in Italia non mancano chiese, spesso pure mezze vuote, non vediamo tutti i giorni delle processioni pubbliche con a capo un prete che canta Noi vogliam Dio ch’è nostro Re? Non vediamo buddhisti per strada cantare Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare? A chi non è capitato di vedere una banda dell’Esercito della Salvezza suonare Regna, regna il Signor all’angolo di una piazza?
Magdi Cristiano Allam scrive che è venuto il momento di “esigere che le moschee operino con le stesse norme a cui sono sottoposte le sinagoghe, le chiese o qualsiasi tempio di culto eretto sul suolo italiano… Significa che le moschee devono essere delle case di vetro dove, al pari delle sinagoghe e delle chiese, si parla in italiano e si diffondono valori che ispirano alla vita, all’amore e alla pace, e dove chiunque possa entrare, sedersi, ascoltare e condividere una spiritualità comune al di là della fede diversa”.
Dovremo mettere al bando la messa in latino e i salmi che il rabbino recita in lingua ebraica? Lo Stato dovrebbe sorvegliare sui contenuti che i capi delle confessioni religiose presenti in Italia diffondono ai rispettivi greggi? Visto che dal 1984, con un Concordato sottoscritto anche dalla Santa Sede, in Italia non esiste più una “religione di Stato” e tutte le confessioni religiose hanno almeno sulla carta pari diritti dinanzi alla legge, sulla base di quali criteri dovrebbe essere effettuata questa sorveglianza? Dobbiamo sottoporre i contenuti di ogni credo religioso al controllo attivo, eventualmente censorio, dello Stato? Personalmente sarei d’accordo, ma la Chiesa cattolica accetterebbe?
Lo zelo di Magdi Cristiano Allam riesce a trovare una via di fuga: “L’articolo 8 della Costituzione [recita] che «le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti», ma a condizione che «non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano »… Rileviamo che l’islam come religione, non avendo finora stipulato un’intesa con lo Stato per il profondo contrasto che persiste tra le associazioni islamiche, opera in un contesto di arbitrio giuridico non essendo stati definiti i rapporti con lo Stato”. L’assedio è rotto col vecchio caro cuius regio eius religio, principio che degrada la conversione di Allam alla presunzione di aver acquisito una cittadinanza di serie A.