lunedì 20 giugno 2011

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“Filmate la scena di quando l’oscuro pm finalmente trova la quadra
e capisce il ruolo di Bisignani, il filo tra Dagospia e il Velino…”


Sapevo che Luigi Bisignani finanziasse in qualche modo Dagospia, non avevo prove ma lo sapevo. Ora aspetto che l’inchiesta arrivi al Velino, così poi vi regalo uno sfizioso apologo fantapolitico che ho nel cassetto da un anno.



Di “nani” e di “ciccioni” (cercando oltre l’ovvio)

Trovo una descrizione assai suggestiva del caratteraccio che può sviluppare un soggetto affetto da nanismo acondroplastico in Psiche e bassa statura di Enrico Molinari e Alessandro Sartorio (Raffaello Cortina, 1999), e mi pare calzi assai bene a Renato Brunetta. Trovo una straordinaria concordanza di dati caratteriali tra quelli nella acuta descrizione del “ciccione” che Gisele Harrus-Revidi ci offre in Psicanalisi del goloso (Editori Riuniti, 1998) e quelli palesemente manifesti nel profilo psicologico di alcuni noti personaggi pubblici italiani in franco sovrappeso, almeno come desumibile da quanto di se stessi ci hanno fin qui offerto, e continuano a offrirci.
È noto che la psicologia non sia una scienza esatta e che pretendere di generalizzare i suoi assunti empirici e le sue teorie sia stupido e soprattutto molto pericoloso. Nel caso del profilo psicologico che è possibile riscontrare in alcuni (e solo alcuni) portatori di questo o quel difetto fisico, il rischio è altissimo e può produrre effetti tragici, subdoli come la caricatura, che insinua sempre un giudizio morale nella sua grossolana percezione fisiognomica dell’umano, ma anche odiosamente espliciti, com’è nella discriminazione del soggetto portatore d’handicap.
Metilparaben fa bene, dunque, a “stigmatizzare senza riserve” chi dà del “nano” a Berlusconi e a Brunetta o del “ciccione” ad Adinolfi e a Ferrara, e bene fa Piovonorane a proporre una bella moratoria (possibilmente eterna) sui veri o presunti difetti fisici degli avversari politici, anche i più detestati”: concordo e aderisco, vantando di non esser mai inciampato in simili bestialità e di averle sempre censurate nei commenti ai miei post. Tuttavia penso che non ci si possa limitare a condannare ciò che porta tanti a ritenere che in ogni “nano” ci sia “una carogna di sicuro” (Fabrizio De Andrè, 1971) e in ogni “ciccione” un “individuo osceno” (Giorgio Gaber, 2001), ma che occorra anche capire perché questo accada solo nei confronti di un certo tipo di “nano” e un certo tipo di “ciccione” (chi si è mai sognato di rinfacciare a Michel Petrucciani la sua bassa statura e a Orson Welles il suo adipe?). Stigmatizzare, quindi, e anche severamente, ma cercare di comprendere cos’è che fa scattare, in chi non sia particolarmente sorvegliato sul piano della cosiddetta “correttezza politica”, la tentazione dell’arma polemica basata sull’insulto che lega in metafora il difetto fisico a quello morale.
Senza dubbio c’è di mezzo l’ancestrale convinzione che il difetto fisico sia causa o effetto di quello morale (causa per il “nano”, per esempio, ed effetto per il “ciccione”) e in questo mi pare di poter affermare che la tradizione culturale dell’occidente cristiano sia sempre stata adeguatamente ambigua verso il difetto fisico: il germe di questa convinzione non sarà sradicato tanto facilmente con una moratoria, anche se l’adesione fosse universale. Infatti penso che esisterà sempre un congruo numero di “nani” e di “ciccioni” che tradurranno in atteggiamenti e in comportamenti patologicamente reattivi ciò che il difetto fisico in essi genera o esprime sul piano psichico, alimentando in questo modo – chissà, forse in eterno – l’odioso pregiudizio. Nel caso di Brunetta, per esempio, l’insulto pare quasi cercato.

I medici consigliano il ricovero a Pannella

Modestamente, io lo consigliavo già dal 2007.

Il Premio «Stronzo d’Oro» di questa settimana...


Il Premio «Stronzo d’Oro» di questa settimana va senza dubbio a Sono un militante berlusconiano e non ho nulla da dichiarare” (Il Foglio, 20.6.2011), col quale Giuliano Ferrara tenta di darsi un profilo tragico, vestendo la fiera nobiltà dello sconfitto che non si pente, né chiede sconti, ma offre se stesso ai vincitori come un problema da risolvere. Problema mica tutto suo, dunque, né solo di quanti hanno con lui vivacchiato alla grande, per quasi due decenni, alla corte di Silvio Berlusconi.
Perdenti, certo, ma adesso mica si può chieder loro di pagare il prezzo della sconfitta standosene un po’ in disparte a meditare: i vincitori correrebbero il serio rischio di scrivere la storia del berlusconismo infarcendola di “menzogne retoriche”, il “lavoro storico” ha bisogno da subito del contributo dei vinti, per amore della libertà intellettuale e dello spirito critico”, sennò c’è il rischio di non vergare un “giudizio equanime”. L’appello viene da uno dei più appassionati difensori di quel Cesare Previti che alla vigilia di una vittoria del centrodestra minacciava di “non fare prigionieri”, ma questo è successo tanto tempo fa e dunque, via, chiudete un occhio: “Chiamo i lettori e le persone che stimo a riflettere su un pezzo della nostra vita ormai consumato per tutti, servi e uomini liberi, amici dei criminali e amici delle guardie, a non dissiparla malamente nel rancore, nella coazione a ripetere, nella demenza dell’odio mal dissimulato”.
Disertare l’appello? Vuol dire rinunciare alla stima di Giuliano Ferrara: siete sicuri di riuscire poi a sopravvivere senza?


domenica 19 giugno 2011

Il rango / 1


“Portare le arance in galera a qualcuno” è un modo di dire, d’altra parte sono ormai decenni che i regolamenti carcerari lo vietano. Anche “lobbista di rango” dev’essere un modo di dire, perché Luigi Bisignani è solo un faccendiere che finora aveva avuto molto culo e una qualche indubbia qualità. Anche il suo potere è sempre stato molto sopravvalutato: negli ultimi vent’anni ha senza dubbio realizzato una solida e vasta rete di relazioni che si è estesa in molti ambienti (finanza, politica, informazione, magistratura), non di rado lambendone altri mal definibili, ma non è affatto – non lo è mai stato – più potente di Berlusconi, come quest’ultimo ebbe a dire qualche anno fa. È che la tentazione a immaginare che il potere sia incarnato da singoli individui, in un paese dove l’individuo è sempre e solo la funzione istantanea di un gruppo (famiglia, clan, cordata, ecc.), dà luogo ad artefatti di responsabilità e merito personale che stanno sempre tra il millantato credito e la leggenda. Saranno i magistrati a stabilire se Luigi Bisignani abbia cumulato reati penali in questi ultimi vent’anni, da quando fu provato che da direttore delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi aveva violato la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, ma sarà molto difficile, anche se pare che sia disposto a collaborare con gli inquirenti che hanno chiesto e ottenuto la misura cautelare che è stata disposta nei suoi confronti e della quale – si badi bene – finora non è stata chiesta revoca dalla difesa. Probabilmente non si avrà mai conferma di quello Gianni Barbacetto e AlbertoStatera hanno scritto tra le righe dei tanti inoppugnabili riscontri da essi prodotti negli ultimi loro articoli per Il Fatto e la Repubblica, e la pagina di Wikipedia alla voce Luigi Bisignani è la miglior prova che a “Gigi il Federatore” può essere dedicata – con maggior profitto – l’attenzione che merita un epifenomeno: più che a un attore, siamo di fronte a una scena. Se la penultima parola spetterà ai giudici, non ci resta che osservare la scena e cercare di capire come Luigi Bisignani sia venuto a ritagliarsi la parte. In tal senso può servirci più sentirlo parlare che costruire ipotesi. E può servirci più seguire le sue tracce dall’entrata in scena che interrogarci sul ruolo interpretato negli ultimi decenni. È nella sua preistoria, nei primi passi mossi, che forse può venirci qualche indicazione sul mondo che gli si è andato a costruire intorno.
Cominciamo dal 26 marzo 1988, quando Lino Jannuzzi lo intervista per Radio Radicale sulla sua prima fatica letteraria (Il sigillo della porpora, Rusconi 1988). Ci parla di sé, ma non solo di sé. Perfino la trama della sua spy story è assai più reale delle supposizioni che oggi vengono imbastite sulla sua persona.


Notevole è il suo sottolineare la casualità dell’interessamento di Giulio Andreotti al suo romanzo, come se non avesse lavorato come capo ufficio stampa di un ministro del governo Andreotti, Gaetano Stammati.
Sei anni dopo, il 12 gennaio 1994, Luigi Bisignani è testimone indagato in reato connesso al processo Cusani (“affare Enimont”). Antonio Di Pietro lo interroga sul ruolo che egli avuto nell’apertura di un conto bancario presso lo Ior (Fondazione San Serafino) sul quale sono transitati più di 140 miliardi delle vecchie lire. Dai servizi che ha svolto in favore del gruppo Ferruzzi, per mandato di Cusani, Bisignani ha ricavato poco più di 4 miliardi (poi si scoprirà che ha anche fatto la cresta sui CCT che depositava allo Ior), ma veste un profilo basso, da postino che sa poco o niente. Tuttavia, in queste prime tre sezioni delle quattro relative a questa udienza, delinea il suo ruolo di tramite tra i reflui della maxitangente Enimont e lo Ior (più tardi Gianluigi Nuzzi ne tratterà in Vaticano SpA, Chiarelettere 2009), nonché tra la politica (Cirino Pomicino) e la finanza (Gardini).


En passant, deve essere sottolineata la grassa ignoranza di cose vaticane esibita da Di Pietro in questa circostanza. Per quanto riguarda Bisignani siamo ai limiti della reticenza: più tardi si saprà che lo Ior fungeva da deposito, tenendo per sé gli interessi (copertura: aiuto ai bambini leucemici), e questo Bisignani non poteva ignorarlo. Tuttavia, infarcendo la sua testimonianza di “credo”, “immagino”, “può darsi”, “non posso escluderlo”, banalizza il ruolo della banca vaticana e soprattutto il suo. Solo più tardi si saprà che Gardini ebbe a lamentarsi non poco di quanto fosse costato il servizio dello Ior tra commissioni e creste (più di 10 miliardi).
Notevole è la chiusa della testimonianza, relativa al compenso che Bisignani riceve per i suoi servizi:


È solo nell’udienza di tre settimane dopo, il 2 febbraio 1994, che nel confronto voluto da Di Pietro tra Bisignani e Sama per sostanziare esattamente il ruolo del primo, fin lì reso quasi evanescente dalle sue vaghezze, che tutto si chiarisce, almeno in parte. E qui fa la comparsa – per la prima volta, credo – quello che poi sarà il carattere più distintivo delle operazioni che a Bisignani vengono attribuite dalla stampa posteriore. Lungi dall’essere ciò che abitualmente viene inteso come potere, è il riconoscergli da parte dei soci in affare (dai complici, eventualmente) la capacità di gestire al meglio la zona grigia tra la responsabilità del capitale, inteso come valore nominalmente attribuibile ad un soggetto, e quanto ne deriva in utile alle figure che hanno mandato a gestirne l’azione. Qui Bisignani si dimostra tutt’altro che lobbista (tanto meno di rango, come vorrebbe Giuliano Ferrara), ma mero faccendiere che nasce e muore come parassita del sistema (qui del finanziamento illecito ai partiti politici).


Ferrara dà la definizione di “lobbista” a chi “ha una robusta rete di relazioni in ogni ambiente sociale e politico e imprenditoriale, combina rapporti d’affari, maneggia le informazioni economiche e politiche riservate, è un esperto conoscitore delle burocrazie e del management pubblico, briga per le nomine dei potenti di stato, garantisce tutti con la sua riservatezza” (Il Foglio, 17.6.2011). È un profilo che Bisignano non veste bene: fa finta che non siano i suoi abiti, tacitamente ricatta i suoi soci d’affari perché confermino la sua versione che in quegli abiti si trovi per caso. Sarà così per i prossimi vent’anni: nella parte finale del confronto tra Bisignani e Sama affiora un personaggio già inservibile alla Prima Repubblica e già indispensabile alla Seconda. Come abbiamo già sentito dalla sua voce, Bisignani rigetta il ruolo del lobbista e nega quello che Sama finisce per dover implicitamente svelare: quello del figlio di puttana.



[segue]

giovedì 16 giugno 2011

[...]

“... filmate la scena della cattura di Gianni Letta... filmate la scena di quando
l’oscuro pm finalmente trova la quadra e capisce il ruolo di Luigi Bisignani”



Tutto si bloccherà in Via della Conciliazione, rimarrà solo un teorema indimostrabile.

martedì 14 giugno 2011

Urge referendum

Il popolo sovrano ha deciso a stragrande maggioranza che l’acqua è un bene pubblico. Questo non vuol dire che sia gratis, infatti continueremo a pagarla, anche se a un prezzo assai basso: meno di un euro a metro cubo, che sono mille litri, e dunque meno di un centesimo per dieci litri. Rimarrà più costosa del sole e dell’aria, tuttavia sarà fatta la volontà del popolo sovrano e costerà quasi niente.
Rimane il problema del prezzo scandalosamente alto dell’acqua cosiddetta minerale, che al popolo sovrano costa in media circa mille volte in più, ma sempre acqua è. Tanto lucro va a beneficio di privati, ma è di pacifica evidenza che le spese di imbottigliamento di quello che è un bene pubblico non giustifichino affatto un costo così alto. Lo sfruttamento delle fonti e delle falde di acque minerali spetterebbe allo stato e il prezzo andrebbe senza meno ridimensionato.
Urge referendum.    

Marco, Veronica e Rosa


Avvenire, 14.6.2011


“Anche”? Sarà mica che in Vaticano s’è tenuto un referendum sulla privatizzazione dell’acqua santa?

“Togliatti, che non era uno stupido…”



Umanamente capisco Giuliano Ferrara, anzi, adesso che gli viene meno la terra sotto i piedi, mi fa pure tanta tenerezza. Tenta di salvare il culo, cerca di riciclarsi in vista di tempacci che prevede bui, ma bisogna dire che lo fa con un certo stile, e pure con una ammirevole destrezza. Infatti non implora pietà all’orda belluina pronta a giustiziarlo per appenderlo a testa in giù in piazzale Loreto, perché sa bene che nulla come la paura della preda eccita il branco predatore, ma invece sfoggia una gran bella specie di dignità in similpelle, e invita al dialogo, a un giudizio sul berlusconismo non obnubilato dalle passioni. E non potendo aspettarsi troppo dai bruti, fida sui galantuomini, sugli animi gentili, sull’indole più mite e riflessiva che eventualmente sia rimasta a sinistra dopo 17 anni di esasperazione. Il richiamo a Togliatti, in tal senso, è una grandissima furbata. Vorrete mica essere degli stupidi? Vorrete mica farvi sorprendere a corto di cultura e di storia?
E dunque veniamo a Togliatti e al suo giudizio non inarticolato e molto realista sul fascismo che espresse nelle lezioni che tenne da Radio Mosca. Le avete lette? Se non le avete lette, fate finta di averle lette, sennò ci fate la figura degli incolti. Inter nos diciamo che le trovate alle pagine 531-671 nel II volume del III tomo (1929-1935) dell’Opera Omnia (Editori Riuniti, 1974), oggi introvabile. Non posso passarvi allo scanner tutte le 140 pagine, ma penso che basterà la definizione non inarticolata e molto realista che Togliatti dava del fascismo (pag. 533).


È che Ferrara di Togliatti conserva il ricordo solo delle ginocchia sulle quali faceva cavalluccio. O può darsi voglia prendervi per il culo. Vedete voi se valga la pena di farlo fare.

Invece di far festa

Non siete stufi di illusioni e di disillusioni? Invece di far festa, allora, proviamo a ragionare. Davvero è l’alba di un’altra Italia? Non dico ai ragazzini di venti anni o giù di lì, quelli continuino a far festa, poverini, è giusto che almeno per due giorni o per due mesi si sentano vincitori di qualcosa. Ma a chi ha votato per la responsabilità civile dei magistrati, per la depenalizzazione delle droghe leggere, contro il finanziamento pubblico dei partiti, a chi ha pensato che con la fine del craxismo fosse archiviata ogni tentazione autocratica, a chi si è esaltato per il crollo della Prima Repubblica, e ha visto com’era la Seconda: che avete da festeggiare? Come riuscite ancora a sperare che basti una rimescolata perché il pantano si trasformi in un paradisiaco laghetto? Ma davvero pensate che una sberla o due possano annichilire un tratto immarcescibile del carattere nazionale? Davvero riuscite a credere che Grillo, Vendola e Di Pietro siano padri fondatori di un paese nuovo? Davvero pensate che i conti con la storia si possano saldare in questo modo?


lunedì 13 giugno 2011

Sa cosa stavo pensando?


Confesso che mi sento enormemente frustrato

“La Santa Sede, approvando pienamente le finalità dell’Agenzia Internazionale
per l’Energia Atomica, ne è membro fin dalla sua fondazione e continua a
sostenerne l’attività. I cambiamenti epocali avvenuti negli ultimi 50 anni
evidenziano come, nel difficile crocevia in cui l’umanità si trova, sia sempre più attuale
e urgente l’impegno di favorire l’uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare”

Benedetto XVI, 29.7.2007

Non leggevo più Federico Punzi da quella volta che mi fece incazzare a morte per un suo imperdonabile “non è giusto, ma è la vita”, ma oggi m’imbatto per caso in un suo commento su Il Tempo (“Cari laici, dove siete?”), perché ripreso da Massimo Bordin nella sua consueta rassegna stampa (radioradicale.it, 13.6.2011 - 39:00-41:17). Punzi riprende il tema già sviluppato sul suo blog in un post dal titolo più o meno simile (“Laici, dove siete?”), nel quale rimprovera ai “sedicenti laici” il silenzio sull’ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche nel corso dell’appena chiusa campagna referendaria. Il suo post è datato 10.6.2011 e questo mi dà occasione di constatare che anche Punzi non legge più me. Poco male, ma un “sedicente laico” che segnalava l’ennesima ingerenza vaticana avrebbe potuto trovarlo su questo blog, il giorno prima (“Il vento è vento”).
Non è tutto, anzi. Sul solito “intervento a gamba tesa della Chiesa” nella politica italiana io non mi limitavo ad abbozzare un commento come quello che Bordin riserva a Punzi (“tutto sommato, conta ciò che si dice, indipendentemente da chi lo dice”), ma – documenti alla mano – dimostravo che le posizioni del magistero cattolico sul nucleare e sulla privatizzazione dell’acqua non sono mai state quelle espresse in questa tornata referendaria: “intervento a gamba tesa”, insomma, ma anche in piena contraddizione col Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (470, per il nucleare; 485, per la privatizzazione dell’acqua) e perfino con le dichiarazioni ufficiali dei pontefici da Paolo VI in qui. Ho segnalato, per esempio, ciò che Benedetto XVI ha detto appena quattro anni fa, che qui ripropongo in esergo e che a nessun “sedicente laico” è capitato di rammentare. Confesso che mi sento enormemente frustrato dal fatto che neanche un cane l’abbia ripreso: tutti occupati a esprimere solidarietà ad Amina, la blogger lesbica rapita in Siria.


Il brutto della democrazia

Perché sia scongiurato il massimo effetto sottrattivo del voto degli italiani all’estero, che è calcolato intorno al 2-3%, il quorum dei votanti in patria dovrebbe raggiungere il 52-53% alle 15.00 di oggi: al 41% delle 22.00 di ieri mancherebbero ancora 5-6 milioni di votanti e dunque, al netto di ogni speranza, tutto è ancora in forse e, insomma, siamo ancora in tempo per chiederci se questi referendum abbiano o no un significato politico. Però dobbiamo fare in fretta, perché tra poche ore sarà tutto più confuso.
Qualche giorno fa, mettendo le mani avanti, Fabrizio Cicchitto ha dichiarato: “Il tentativo di strumentalizzare i referendum dando un significato politico è del tutto destituito di fondamento”. Questo è errato, perché i quesiti sui quali gli italiani erano chiamati a esprimersi erano relativi a leggi volute da questo governo ed è quindi legittimo, niente affatto strumentale, che le opposizioni vedano nel raggiungimento del quorum un ulteriore calo di consenso alla maggioranza. Ora c’è da chiedersi: se il quorum non fosse raggiunto, le opposizioni sarebbero disposte a considerarlo come un segno che il governo ha ancora un largo consenso? E il governo rinuncerebbe a strumentalizzare il mancato quorum dandogli un significato politico? Non c’è bisogno di essere maghi per prevedere che in tal caso vi sarebbe una reciproca inversione di lettura: Silvio Berlusconi e i suoi pretenderebbero che il fallimento dell’iniziativa referendaria fosse letto come un segnale di fiducia che il paese rinnova al governo, mentre alle opposizioni non resterebbe che denunciare i trucchi che hanno indotto all’astensione.
Reazioni ampiamente prevedibili stando a quanto hanno investito le parti in gioco: la maggioranza si è interamente spesa, prima, ad evitare i referendum e, poi, ad evitare il raggiungimento del quorum, mentre le opposizioni hanno voluto, da un lato, ideologizzare la portata dei quesiti e, dall’altro, farne un test supplementare sull’agonia del berlusconismo. A pagarne le spese è stata la sostanza dei problemi posti dai quesiti e personalmente sono pentito di essere andato a votare. Ma non potevo farne a meno, perché poi mi sarei sentito un verme. Il brutto della democrazia è che certe volte devi amarla anche se ti mette sotto il muso tutti i suoi peggiori difetti.

venerdì 10 giugno 2011

giovedì 9 giugno 2011

Non era colpa del cetriolo


Non era colpa del cetriolo. Non era colpa della soia. Adesso dicono sia colpa della barbabietola, ma vedrete che pure lei alla fine risulterà innocente. Dio non voglia che sia colpa del finocchio, sennò Carlo Giovanardi chi lo tiene?

Il vento è vento


Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa esorta a “elevare i livelli di sicurezza dell’energia nucleare” (470), ma non ci sputa sopra, anzi raccomanda di non “divinizzare la natura o la terra, come si può facilmente riscontrare in alcuni movimenti ecologisti” (463). Per quanto attiene all’acqua, invece, prende atto che “la sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l'acqua è stata sempre considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato” (485), opzione che quindi non viene affatto condannata. Ma il vento spira in altra direzione, la gente sente tanto i referendum, il quorum sarà raggiunto quasi certamente, la Chiesa non può farsi trovare a culo scoperto e se lo copre con la sciarpa arcobaleno di padre Alex Zanotelli.
Fino a ieri non era così. Nel 2007, il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ci spiegava che “la Santa Sede è favorevole e sostiene l’uso pacifico dell’energia nucleare”, perché “escludere l’energia nucleare per una questione di principio, oppure per la paura dei disastri potrebbe essere un errore: si pensi all’Italia che nel 1987 ha abbandonato la produzione di energia nucleare, ma che oggi importa la stessa energia nucleare dalla Francia ed esporta centrali nucleari all’estero mediante società a capitale pubblico”. Posizione coerente col fatto che la Santa Sede è tra i membri fondatori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, in linea con quanto aveva sempre sostenuto fin dagli anni Settanta (“Si dovrà trovare il modo di rendere accessibili a tutti i popoli le incalcolabili risorse dell’energia nucleare per il loro uso pacifico” – Paolo VI, 24.5.1978) e fino all’altrieri (“La Santa Sede, approvando pienamente le finalità dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ne è membro fin dalla sua fondazione e continua a sostenerne l’attività. I cambiamenti epocali avvenuti negli ultimi 50 anni evidenziano come, nel difficile crocevia in cui l’umanità si trova, sia sempre più attuale e urgente l’impegno di favorire l’uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare” – Benedetto XVI, 29.7.2007).
Stavolta nessun invito all’astensione, il gregge segua il vento: con viatico di Sua Santità, che invita a un “cambio di mentalità”. Il vento è vento. 

Il fantasma di Occhetto


Le vittorie di Milano e Napoli sarebbero l’alba del domani? Se il buon giorno si vede dal mattino, all’orizzonte si levano bagliori preoccupanti.
Neanche ha il tempo di indossare la fascia tricolore e Pisapia si ritrova Vendola sulle spalle a dar sfogo, tutto brillo d’identità, proprio alla macchietta che Libero e il Giornale hanno agitato a scopo intimidatorio fino al ballottaggio. Neanche ha il tempo di scrollarsi di dosso il Pisapippa che gli ha appiccicato Grillo e si piglia i mugugni di chi non gradisce Tabacci in giunta.
Non meglio a Napoli: neanche ha il tempo di indossare la fascia tricolore e a De Magistris riviene il raptus da pm imprudente, entrando a gamba tesa in Calciopoli. Uomo nuovo, si è detto, e chi va a scegliere come primo interlocutore? Il cardinale Sepe.
Bah, va male, molto male. A destra, tutti marci dentro e fuori. A sinistra, i soliti squinternati. Sicché i referendum sono diventati altra cosa da quella che dovevano essere: quello sul legittimo impedimento ha inglobato gli altri tre. Piaccia o no, del nucleare avremo bisogno. Piaccia o no, i quesiti sull’acqua non sono sulla sua privatizzazione. Ma dirlo è peccato: più impopolare che essere filoisraeliani e dire che Vecchioni e Jovanotti fanno cagare.
Probabilmente ci libereremo di Berlusconi, probabilmente non si rifarà la Dc, ma Dio ci liberi dal fantasma di Occhetto. 

martedì 7 giugno 2011

Lo spirito del '94 (reloaded)


Giuliano Ferrara chiama a raccolta i liberi servi del berlusconismo” per una “volitiva e inconcludente discussione” sul se e sul come si possa recuperare lo “spirito del ’94”. Tolti i virgolettati, siamo ancora a quanto diceva il 26 novembre 1994, quando il Berlusconi I scricchiolava, come oggi scricchiola il Berlusconi IV.

Trecento metri a piedi


La sezione elettorale in territorio italiano più vicina non dista più di trecento metri dalla Città del Vaticano, ma agli elettori italiani residenti in Vaticano vengono inviate le schede elettorali come se abitassero in Argentina. Il costo per il nostro erario sarà irrisorio e probabilmente al Papa fa piacere, quando vuole, ribadire che è il capo di uno stato estero, anche con queste piccolezze. Sta di fatto che i cittadini italiani residenti in Vaticano sono meno di 20 e si risparmia loro quei trecento metri a piedi.