mercoledì 6 luglio 2011

Sentitevi me


Sul Lodo Mondadori una sentenza di primo grado in sede civile ha condannato Silvio Berlusconi a pagare una somma di denaro che corrisponde solo al 7,5% del suo patrimonio personale, ma anche meno se si tiene conto di quanto vi è direttamente e indirettamente collegato. Se in appello la condanna dovesse essere confermata, tale cifra si ridurrebbe presumibilmente di oltre un terzo, mantenendosi quasi certamente al di sotto dei 500 milioni di euro.
Certo, comunque non sarebbe poco in assoluto, ma in relazione un patrimonio che è stimato tra i 9,8 e i 10,2 miliardi di euro risulta senza dubbio esagerata la disperazione. E invece, riguardo alle conseguenze che deriverebbero dalla conferma della condanna in appello, Silvio Berlusconi sta esagerando come solo lui sa fare, e nessuno gli fa presente che essere costretto a sborsare mezzo miliardo non lo renderebbe povero, come peraltro è nell’illusione di molti suoi avversari, che in questa, come in molte altre occasioni, sembrano disposti a giocare una parte in commedia che gli torna utile per spacciarsi da perseguitato, assediato da odio e invidia. Questo gli consente ora di offrirsi come vittima di un progetto di esproprio, nel tentativo di convincere chi voglia mettersi nei suoi panni  che ogni scappatoia sia legittima per difendersene.
In tal senso, e c’era da aspettarselo, è in atto il tentativo di insinuare una stretta correlazione tra il danno che riceverebbe dalla conferma della condanna di primo grado e quello che ne deriverebbe a chi lavora per le sue aziende. In realtà, nulla costringerebbe Silvio Berlusconi a tagliare posti di lavoro a causa di una perdita di liquidità, se non l’intento di drammatizzare la “mazzata” (questo è il termine usato da suo figlio Piersilvio), collettivizzandola ai danni di chi dovrebbe unirsi in coro al suo pianto: si tratta di aziende che da anni non hanno bisogno di ricapitalizzazione, né sembrano averne bisogno a breve. Sarebbe una perdita grave, certo, ma non tragica, se non per chi odia perdere, indipendentemente dalla posta in gioco. E infatti pare che Silvio Berlusconi da settimane vada lamentandosi con i più intimi: “Dove la trovo una somma del genere? Sarei rovinato!”.
Nell’esagerare, tuttavia, non v’è solo il suo abituale lasciarsi andare alla deformazione della realtà per adattarla ai suoi interessi, ma qualcosa di meno istintivo, e di più calcolato. Ne è prova ciò che manda a dire da chi abitualmente dà una ratio ai suoi appetiti: il suo “è un patrimonio virtualmente pubblico, è roba nostra” (Il Foglio, 6.7.2011). Si dà corpo in questo modo alla regola che ha costruito Silvio Berlusconi: sentitevi me, io sono quello che vorreste essere, potete non volerlo solo se disperate di riuscirci. Se non riuscite a mettervi nei miei panni, se non riuscite a sentire vostri i miei interessi, è per la vostra inadeguatezza.



martedì 5 luglio 2011

Candataggine



Al pari della nota marca di carta igienica che unisce in sé i pregi di una straordinaria morbidezza e di una eccezionale resistenza, gli uomini che scrivono le leggi ad personam a Silvio Berlusconi mostrano ancora una volta la loro strabiliante candataggine, unendo in sé una sfacciataggine che non conosce limiti e un candore che rasenta l’idiozia.


 

lunedì 4 luglio 2011

La foga popolare ti porta alla gogna

Su queste pagine ho citato Dominique Strauss-Kahn in una sola occasione, e per dire che diversi elementi nella vicenda che lo vede protagonista sono almeno degni di una qualche perplessità e, se non sono validi a supportare l’ipotesi di un complotto, lasciano adito almeno all’eventualità che egli possa essere vittima di un’ingiusta accusa, a fine presumibilmente estorsivo” (Può darsi, 20.5.2011). Con la piega che ha preso la vicenda, sarei tentato di far mia la soddisfazione di chi fa notare che “in un colpo viene rintuzzata la foga popolare che lo aveva portato alla gogna” (Il Foglio, 2.7.2011). Già, ma come fu trattata la vicenda da Il Foglio? Bisogna riandare al numero del 17 maggio.
Strauss-Kahn colpevole? Chissà, fatto sta che “tutto si tiene, e il pansessualismo affermatosi in occidente ha un risvolto politico. Gli uomini hanno sempre peccato. Sempre hanno peccato, spesso con un di più di prepotenza, gli uomini che dispongono di forte autorità sugli altri. Ma hanno sempre avuto una remora che ha consentito di custodire i loro torti in una zona grigia abitata da un qualche ritegno: il senso del peccato, il sentimento di un limite congenito al quale è sottoposta la loro libertà. La zona grigia è cancellata. Il senso del peccato anche. Resta un libertinismo moralmente autorizzato, il cui risvolto è il puritanesimo selettivo e politicamente corretto, senza bellezza e significato, con esiti atrocemente nichilistici quando la libertà pansessualista si fa violenza. All’origine del tutto c’è la consegna dell’amore al sentimento, la sua scissione dall’eros procreativo, la pillola, la distruzione della famiglia, l’aborto e l’indifferenza di genere e le mille altre chicche dei baby boomer. Che è successo al Sofitel, lo vedremo. Cosa è successo a noi, lo sappiamo”.
Vibrante, la prosa del signor direttore, tuttavia viene il sospetto che, adottando una linea difensiva che mirasse a dirottare l’accusa di stupro al libertinismo moralmente autorizzato, adesso Strauss-Kahn era fottuto. C’è da immaginarselo, l’avvocato, a farsi forte degli argomenti di Giuliano Ferrara: “Signor giudice, il mio cliente è innocente: avrà pure stuprato la cameriera, ma è tutta colpa del Sessantotto! E poi, via, tutti i potenti hanno un di più di prepotenza: che facciamo, condanniamo il potere?”. Per fortuna, invece, l’avvocato era Ben Brafman. Per intenderci, “quello che difende gli indifendibili” (Giulio Meotti). Che sarà un complimento all’avvocato, ma una mezza condanna all’imputato.
Più ellittica, Marina Valenzise: L’arresto di DSK travolge politica e media francesi che da sempre accettano con nonchalance i vizi dei potenti”. Pietrangelo Buttafuoco: “Tanto c’è di Boccaccio in Berlusconi, quanto di De Sade in Strauss-Kahn”. Da Camillo Langone arrivava una difesa della quale possiamo esser certi che Strauss-Kahn avrebbe fatto volentieri a meno: “Mon semblable, mon frère!”. E tuttavia come dubitare delle buone intenzioni di Langone.
Ma il meglio del garantismo, un vero e proprio antidoto alla foga popolare sempre pronta al giudizio sommario e incline alla gogna, veniva dalla strip di Emanuele Fucecchi: se non proprio innocentista, quasi.


Sul metodo e sul merito

Violando il copyright della messinscena tenutasi venerdì scorso a Roma, riporto qui il passaggio più sfizioso. Siamo in coda all’intervento di Silvio Berlusconi, che fin qui non ha prodotto nulla di notevole. Qui, però, siamo a un momento topico, per certi versi inedito nel suo repertorio: per quanto tutti sappiano che nulla cambierà con l’elezione di Angelino Alfano a segretario politico del Pdl, è evidente la malcelata sofferenza di Silvio Berlusconi nel dover intestare a un prestanome una proprietà che gli è molto cara. Da un lato, vi è lo sforzo di presentare l’operazione come naturale, e infatti naturalmente segnerà i punti che sono più dolenti per chi si appresta a compierla, quasi ad attenuare il dispiacere nel dover rinunciare, seppure formalmente, ad essere il proprietario del partito, e infatti l’avverbio ricorrerà nel sottolineare l’ineluttabilità della cosa, ma anche il fatto che sostanzialmente è irrilevante: naturalmente c’era bisogno di un segretario politico, naturalmente il Pdl rimane nella piena disponibilità di Silvio Berlusconi. Dall’altro, vi è tentativo, ottimamente riuscito proprio perché maldestro, di significare un pieno controllo sull’operazione e sui suoi effetti. Se si trattava del momento nel quale il Pdl doveva dimostrare di saper almeno fingere una pratica di democrazia interna, a questa veniva posto il segno inconfondibile dell’acclamazione a suggello di una decisione calata dall’alto. Se la procedura dell’operazione implicava in via preliminare una modifica statutaria che desse vita alla figura del segretario politico, e solo successivamente alla sua elezione, qui l’approvazione assembleare è stata coartata ad invertire i tempi, levando senso alle regole, con ciò riducendo segretario e assemblea a meri ruoli eterodiretti.    

SILVIO BERLUSCONI Da tutti noi è venuto fuori che a un certo punto dovevamo mettere alle spalle il partito delle quote che aveva anche dato il via a un’organizzazione con i tre coordinatori. Ai tre coordinatori io qui rivolgo un grazie profondo, commosso: tutti e tre hanno lavorato benissimo e lavoreranno ancora benissimo per il partito. A loro mi lega un sentimento profondo di amicizia, di gratitudine, di affetto. E quindi sono sicuro che continueranno nel loro appassionato impegno per il nostro movimento e per tutti noi. Ma da tutti è venuto fuori il fatto che, volendo avere un partito unico che dimenticasse i partiti di provenienza, dovevamo anche darci un segretario politico unico e non ho sentito una sola voce contraria. E saltando i tempi previsti dal programma io vi dico anche che non ho sentito una sola voce che avanzasse dei dubbi su quello tra di noi che tutti noi abbiamo trovato fosse la persona giusta per diventare il primo segretario del Popolo della Libertà: Angelino Alfano. Gli organizzatori hanno previsto come da statuto una votazione che deve avere i due terzi: io mi permetto da presidente del partito e da fondatore del partito di chiedervi quello che sta già succedendo: non una votazione, ma una elezione con questo applauso e con un suffragio generale. Non vedo nessuno di noi che è rimasto seduto e dubbioso. Siamo tutti qui a decidere un abbraccio generale a te, Angelino, che devi essere tu a impegnare le tue giovani forze al servizio di tutti noi e con la partecipazione di tutti noi. Inutile dire che io conosco Angelino dal momento della fondazione del partito e che è un uomo generoso e leale. Non ho mai colto un atteggiamento menzognero in nessuna delle sue espressioni. È un ragazzo intelligente che io chiamo qui al mio fianco per ricevere da voi l’investitura plebiscitaria. Naturalmente il notaio Verdini mi dice che occorre fare la modifica dello statuto. E allora dobbiamo naturalmente essere in regola con lo statuto e dovremo procedere alla modifica dello statuto. Ma dato che noi siamo abituati a sconvolgere tutte le procedure, che sentiamo come lacci al nostro piede, io che ho fatto salire qui Angelino non voglio, dati i grandi impegni che lo attendono all’interlocuzione con tutti noi, che ha garantito di voler fare, e quindi sarà il terminale tutte le vostre richieste, e si dovrà dotare di una grande squadra, che dovrà confermare quello che è sempre stato il nostro partito… Vi ricordate chi ha detto che nel nostro partito le decisione sono prese in modo autoritario… Credo di non essere neppure capace, io, di farlo… E Angelino continuerà, naturalmente con la mia presenza come presidente, ad essere aperto alla collaborazione di tutti. Questo è un patto che abbiamo fatto e che lui fa con tutti voi a seguito dell’applauso che gli avete lungamente tributato. Saltando tutte le procedure previste, direi che procediamo atutti gli adempimenti – chiamiamoli burocratici – e per non far fare ad Angelino la fatica di scendere e risalire…

DENIS VERDINI Solo trenta secondi, però lo dobbiamo fare… Scusa, presidente… Signori consiglieri, come è noto, il 1° giugno, l’Ufficio di Presidenza su proposta dei tre coordinatori ha delegato il presidente Berlusconi a proporre a questo Consiglio Nazionale le opportune modifiche statutarie per raccordare le funzioni del segretario politico nazionale all’attuale impianto organizzativo del Popolo della Libertà. Nell’esercizio di tale delega, il presidente ha predisposto le seguenti modifiche statutarie che vengono sottoposte alla vostra approvazione ai sensi dell’art. 52 dello statuto. Dobbiamo quindi modificare l’art. 16…

Fin qui sul metodo, che in democrazia è già tutto. Potremmo tacere del merito ma, già che ci siamo, diciamo che l’art. 16bis recita che il segretario può essere individuato solo dal presidente del partito e solo tra i componenti del suo ufficio di presidenza”. Superfluo rilevare che questi ultimi sono scelti dal presidente.


venerdì 1 luglio 2011

Piergiorgio Odifreddi - Caro Papa, ti scrivo - Mondadori, 2011

Nei giorni scorsi ho ricevuto un invito che mi ha molto lusingato, ma che non ho potuto onorare per improrogabili impegni di lavoro. Si trattava di un dibattito pubblico sull’ultimo libro di Piergiorgio Odifreddi (Caro papa, ti scrivo – Mondadori, 2011), che si è tenuto oggi, a Milano, e insieme ad altri due o tre blogger, che stimo molto e che mi avrebbe fatto piacere conoscere di persona, era presente l’autore, al quale mi avrebbe fatto piacere stringere la mano. Peccato, speriamo ricapiti l’occasione. Tuttavia mi rimane un obbligo verso chi mi ha rivolto l’invito e mi ha inviato il libro: questo post cercherà di toccare in sintesi i punti che mi sarebbe piaciuto sviluppare nell’incontro che ho dovuto disertare.
Non sarà una recensione, perché ne uscirebbe un lunghissimo paginone e dovrei ripetere ciò che ho scritto in altre occasioni. Il libro di Odifreddi, infatti, analizza un testo di Joseph Ratzinger (Introduzione al Cristianesimo – Queriniana, 1969) al quale ho dedicato molti post tra il 2005 e il 2009, mettendo in evidenza molte delle debolezze logiche e delle incongruenze argomentative che il “matematico impertinente” qui mette sotto la sua lente: in gran parte sarebbe una recensione laudatoria, perché in molti punti di questa lettera aperta a Benedetto XVI ho ritrovato molte delle mie obiezioni, ma sviluppate con una chiarezza invidiabile, e che infatti mi ha mosso a invidia. Mi limiterò, dunque, solo ad alcuni aspetti di Caro Papa, ti scrivo, che poi sono gli stessi che hanno colpito Amedeo Balbi, del quale tuttavia non condivido l’obiezione di fondo.
Balbi ha ragione: Odifreddi sembra sprecare le sue straordinarie doti di scienziato nel “compito faticoso e ingrato” del provare a districare i grovigli di un ragionamento naturalmente denso di circoli viziosi, contraddizioni e fallacie logiche di ogni tipo, con il solo scopo di dimostrarne l’inconsistenza”; è evidente che “si ostini a dissipare il suo talento nella trita e ritrita polemica con la religione, e in particolare con la chiesa cattolica romana”; non c’è dubbio che tra le righe dell’ateo che ha studiato in seminario e che da giovane voleva diventare Papa si possa leggere “il cavalleresco riconoscimento – celato dietro la facciata dell’ennesima schermaglia letteraria – di chi concede al proprio antagonista il merito di una parte sostanziale della propria fortuna”; ed è altrettanto vero che in molti passaggi sia manifesta una “irrefrenabile ossessione per lo stesso argomento” che ossessiona “un collega accademico di cui contesti le posizioni e le metodologie”. Ma questo porta davvero al rischio – come Balbi sembra essere convinto – che la logica stringente che smonta a pezzettini la teologia di Ratzinger possa creare un altrettanto mostruoso “sistema di credenze che cerca di imporre la propria supremazia assoluta sulla verità”? Io penso di no, penso proprio di no.
Ritengo che quanto emerge incontestabilmente da una ricerca che si attenga scrupolosamente al metodo scientifico non abbia in sé il pericolo di un’“altra religione”, ma abbia ogni buon diritto di essere prodotto in sede polemica come argomento contro la verità di questa o di quella religione: non veritas contra veritatem, ma razionale contro irrazionale, dimostrabile contro indimostrabile. Poi, certo, la scienza si dichiara umile e pronta a correggersi, ma questo non può e non deve renderla timida dinanzi all’assurdo che si traveste di mistero. E dunque, a mio parere, Balbi rivolge una critica infondata a Odifreddi, perfino un poco ambigua quando afferma: “Non saranno certo gli argomenti logici – pur interessanti e meritori di diffusione, per carità – a far cambiare idea a coloro che hanno deciso di trovare il centro della propria esistenza in una confessione religiosa. Così come, specularmente, ho sempre trovato bizzarri i tentativi di chi cerca, in questa o quella scoperta scientifica, o in qualche lacuna nelle nostre conoscenze attuali, una sponda per il proprio credo religioso”. Infatti un argomento logico che dimostri l’esistenza di un trascendente è sempre dimostrabilmente fallace per intrinseca tautologia, mentre uno che la metta in discussione fino a negarla è spesso ragionevolmente accettabile: può essere respinto, ma non smontato.
E allora cosa possiamo rimproverare ad Odifreddi, se proprio vogliamo rimproverargli qualcosa? Io penso sia il cercare un dialogo con chi non ne ha ultima possibilità: al Papa non si scrive una lettera aperta, gli si rispedisce la sua Introduzione al Cristianesimo smontata a pezzettini, accompagnata da un laconico biglietto: prova a rimontarla, non ti riesce.

Sessismo o buonsenso?

Più odioso del licenziamento delle operaie della Ma-Vib di Inzago (Mi), licenziate solo perché donne, può esserci solo il tentativo di rendere la cosa meno odiosa, cercando di spiegarla fino a giustificarla, soprattutto se a farlo è una donna. Ci pensa Valeria Braghieri (il Giornale, 1.7.2011), cominciando con l’offrirci “un dubbio, e cioè che l’odiosa decisione apparentemente antifemminista fosse invece, nell’evitabilità di una crisi, una «soluzione» quasi paternalistica, di antico buonsenso”. Non è difficile immaginarla strepitare come una papera se il Giornale la licenziasse nell’evitabilità di una crisi, ma questa ipotesi non è nemmeno ipotizzabile per la signora, perché è giornalista e di Milano. Ma trattandosi di operaie di Inzago, “in quest’ottica, in questa mentalità, in questa geografia, dire che in fondo, le donne un lavoro già ce l’hanno e sono i figli, non graffia e non vuole graffiare come graffierebbe da altre parti, dove è già un altro momento”. Vive in un altro momento, la Braghieri. Da lì, visto a debita distanza, quello ingannevolmente a tanti è sembrato proprio sessismo, quasi certamente per giudizio troppo sbrigativo, a lei pare “antico buonsenso”.
Non è sessismo? Sì, può darsi lo sia, la signora non assume mica posizione rigida come quella uguale e contraria di certe femministe arrabbiate, quelle sempre pronte a scorgere un’offesa in una innocente pacca sulla natica che è il più spontaneo omaggio maschile alla bellezza muliebre. No, la signora non si concede ad alcuna ottusa certezza, e non lesina i “forse”: “Forse c’è un essere uomini davvero in questo «fare a meno» delle donne, in questa sorta di ingenuità intatta. Forse c’è davvero un intento di far rimanere in guerra chi ha più speranza di portare a casa la pelle. Forse. Ma è un beneficio del dubbio che, ogni tanto, e senza spiegazioni, dobbiamo anche concedere”. Se non lo concediamo, che figura ci facciamo?

Aggiornamento Un comunicato dell’azienda vanifica il potente sforzo antropologico della Braghieri:  “Mai la Ma-Vib Spa ha inteso adottare politiche discriminatorie nei confronti del proprio personale dipendente femminile. Se verranno adottati, infatti, provvedimenti il prossimo mese di settembre, a seguito dell’attuale gravissima crisi aziendale, questi potrebbero riguardare il reparto produzione, ovvero il reparto che maggiormente sta soffrendo la crisi, e in misura minore il settore impiegatizio. Purtroppo il reparto produzione è quello che attualmente occupa 18 donne su 20 addetti. È questa l’unica ragione «tecnica» che potrebbe veder coinvolte più donne che uomini e non certamente per una volontà discriminatoria della società”. Peccato, preferivamo credere che le operaie fossero licenziate per “antico buonsenso”.

Per acclamazione


“Mi è sembrato opportuno non conservare l’elezione per acclamazione”
Giovanni Paolo II, Universi domini gregis, 22.2.1996


L’hanno abolita anche per l’elezione del papa in conclave. Il Pdl è rimasto un po’ indietro...

[...]

Ci siamo abituati a tutto. Qualcuno ancora accenna a un istintivo moto d’indignazione, ma come boccheggiasse, mentre altri cercano riparo nell’ironia, in qualche ostentata frivolezza che esorcizzi lo sfacelo, in una calibrata indifferenza da distanti parzialmente coinvolti. Si mima la speranza, ma a fatica, sennò ci si dispera, comunque con un certo stile, almeno così sembra a ciascuno, e in buona fede. Ancora, nonostante tutto, pare vita. Siamo tostissimi, non meritiamo neanche pena.

giovedì 30 giugno 2011

Molto bene, direi

Anche a un idiota può scappare ogni tanto un’idea intelligente, anche a un criminale una buona azione, anche a un governo di merda un provvedimento decente. È il caso, quest’ultimo, della “liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura per gli esercizi commerciali nelle città turistiche e d’arte”, che il governo Berlusconi si appresta a deliberare in seno alla manovra finanziaria.
Molto bene, direi. A Roma, per esempio, i negozi potranno rimanere aperti anche di domenica e una volta tanto si può essere d’accordo con Il Foglio, che peraltro in febbraio si era fatto promotore dell’idea e oggi può a ragione far chicchirichì: si tratta di “una esemplare norma liberalizzatrice”.
Adesso, però, bisognerà sentire cosa dice l’alto magistero cattolico, da sempre contrario alla violazione del terzo comandamento che ci esorta a santificare la domenica chiudendo bottega e andando a messa. Soprattutto a Roma, che sarà senza dubbio città turistica e d’arte, ma è pure il cuore della cristianità ed è tenuta a farsi esempio.
Insomma, vedremo se l’idiota riesce a mantenere il punto sull’idea intelligente, eccetera. Dovrebbe trattarsi di agone divertente.

Stavolta Mario Adinolfi tace

Quello del Pd è uno statuto che Mario Adinolfi dovrebbe conoscere bene perché è stato membro dell’assemblea costituente che ne ha curato la stesura, sicché non dovrebbe ignorare l’importanza di un organismo come la Commissione di Garanzia, titolare delle applicazioni delle sanzioni derivanti dalle violazioni allo Statuto, nonché del Codice etico” (art. 39, §7). Non si capisce, dunque, come possa tacere del severo richiamo che tale Commissione gli rivolge in forma ufficiale a stigmatizzare la gravità di alcune sue pubbliche affermazioni manifestamente omofobe di alcuni mesi or sono, peraltro espresse con la grassa volgarità che è un suo precipuo tratto distintivo.
Sempre pronto a darci notizia di ogni sua ragade e di ogni suo full, stavolta Mario Adinolfi tace, e nemmeno prova ad atteggiarsi a vittima, che pure è uno dei suoi sketch più fortunati: sulla vicenda non spende un rigo, non sul suo blog, non sulla sua pagina di Facebook, né sul sito web della rivista che dirige. Non fosse per un post di Cristiana Alicata, della sanzione per la violazione al Codice etico del Pd non avremmo saputo nulla. O forse no, perché può darsi che domani, ricambiando la cortesia, il generale Michele Adinolfi detterà una nota alle agenzie per precisare: “E no, Mario Adinolfi non è mio parente”.

 

mercoledì 29 giugno 2011

Per gli amanti del genere

1929. The Broadway Melody | WATCH / DOWNLOAD
1929. The Cocoanuts | WATCH / DOWNLOAD
1929. Glorifying the American Girl |
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1929. The Love Parade |
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1929. The Last of Mrs. Cheyney |
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1929. Redskin |
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1929. Rio Rita |
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1930. All Quiet on the Western Front | WATCH / DOWNLOAD
1930. Animal Crackers |
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1930. Anna Christie |
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1930. The Blue Angel | WATCH / DOWNLOAD
1930. The Divorcee |
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1930. Hell’s Angels | WATCH / DOWNLOAD
1930. Ladies of Leisure |
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1930. Morocco |
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1930. Min And Bill | WATCH
1930. Monte Carlo |
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1930. Raffles | WATCH
1931. Arrowsmith | WATCH
1931. City Streets |
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1931. Dishonored | WATCH
1931. Dr. Jekyll and Mr. Hyde |
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1931. Dracula |
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1931. Private Lives |
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1931. Five Star Final | WATCH
1931. Frankenstein |
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1931. Little Caesar |
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1931. The Maltese Falcon |
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1931. Mata Hari |
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1931. Night Nurse |
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1931. Platinum Blonde | WATCH / DOWNLOAD
1931. Possessed |
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1931. Iron Man | DOWNLOAD
1931. The Public Enemy |
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1931. Smart Money |
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1931. The Smiling Lieutenant |
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1931. Susan Lenox (Her Fall and Rise) |
DOWNLOAD PT.1 & PT.2
1932. A Farewell to Arms | WATCH / DOWNLOAD
1932. Blonde Venus | WATCH / DOWNLOAD
1932. Devil and the Deep |
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1932. Freaks |
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1932. Grand Hotel |
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1932. Horse Feathers |
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1932. The Mummy |
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1932. Murders in the Rue Morgue |
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1932. One Way Passage |
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1932. Rain | WATCH / DOWNLOAD
1932. Red Dust |
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1932. Scarface |
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1932. Shanghai Express |
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1932. Shopworn |
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1932. Tarzan the Ape Man | WATCH / DOWNLOAD
1932. Three on a Match |
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1932. Trouble in Paradise |
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1929. The Most Dangerous Game |
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1932. No Man of Her Own |
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1932. The Old Dark House |
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1933. 42nd Street |
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1933. Baby Face |
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1933. The Bitter Tea of General Yen | WATCH
1933. Design for Living |
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1933. Duck Soup |
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1933. The Emperor Jones |
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1933. Footlight Parade |
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1933. I’m No Angel | WATCH / DOWNLOAD
1933. King Kong |
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1933. Ladies They Talk About |
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1933. The Mayor of Hell |
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1933. Mystery of the Wax Museum |
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1933. She Done Him Wrong | WATCH / DOWNLOAD
1933. The Story of Temple Drake |
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1934. The Black Cat |
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1934. Cleopatra |
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1934. Dames |
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1934. The Gay Divorcee |
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1934. It Happened One Night |
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1934. Of Human Bondage |
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1934. Tarzan and His Mate | WATCH / DOWNLOAD
1934. The Thin Man |
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1934. The Merry Widow | WATCH / DOWNLOAD

via juliemarsden

La legge finanziaria al vaglio costituzionale


Servono 47 miliardi di euro. Non è il caso di star troppo a scervellarci sulla logica che sostiene il governo nel ritenere che ne possano bastare 2 per quest’anno, 5 per l’anno prossimo e che per i rimanenti 40 si possa rimandare al 2013 e al 2014. C’è chi ritiene, infatti, che questa rateizzazione della manovra finanziaria serva solo a lasciare una pesante ipoteca di impopolarità al governo che guiderà il paese dal 2013 in poi, evitando a quello in carica di aumentare il gettito fiscale, di tagliare la spesa pubblica o di fare entrambe le cose. Questo è quanto sospettano le opposizioni, e non a torto, perché la maggioranza di governo non riesce a dare alcuna spiegazione ragionevole di un piano che tanto dilaziona il grosso di una misura che pure viene dichiarata urgente.
Non se ne esce, ma forse neanche è necessario entrarci, perché una legge finanziaria è una legge come le altre, e come le altre è soggetta al vaglio della costituzionalità. L’art. 81 della Costituzione recita al primo capo: “Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo”. “Ogni anno” non è forse un limite più che implicito posto alle Camere di questa legislatura all’approvazione di misure legislative che di diritto spettano alle Camere della legislatura a venire? Un piano come quello che il governo si presta a varare è costituzionalmente illegittimo. 

Se il buon giorno si vede dal mattino



Se il buon giorno si vede dal mattino, l’aggregatore oggi messo on line dalla Santa Sede parte malissimo, con l’articolo che apriva L’Osservatore Romano di ieri, nel quale il cardinale Michael von Faulhaber è definito “uno dei più coraggiosi critici del regime hitleriano”. Monarchico e reazionario, Sua Eminenza fu tra gli artefici del Concordato stipulato nel 1933 tra Santa Sede e Terzo Reich, entusiasta sostenitore l’Anschluss e dell’invasione della Cecoslovacchia. Poi, sì, quando Hitler cominciò a non star più ai patti, divenne critico del nazismo.

Il varo di news.va è di Benedetto XVI in persona, via twitter. Due versioni, entrambe con lo stesso errore: una maiuscola fuori luogo (“Cari Amici: Ho appena dato avvio a...” e “Cari Amici, Ho appena dato avvio a...”).  

martedì 28 giugno 2011

Lui no


Giancarlo Elia Valori (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7) non ha nulla da invidiare a Luigi Bisignani, tranne il fatto che quest’ultimo è agli arresti domiciliari.


 

Penseremo che non c’era altra soluzione

A fronte dei reiterati moniti che negli ultimi anni si sono fatti sempre più pressanti da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’Italia rimane ampiamente inadempiente alle direttive che regolano i parametri di una carcerazione in linea con gli standard comunitari, peraltro liberamente sottoscritte. Con una densità del 153% rispetto alla capacità ufficialmente dichiarata e in condizioni igienico-sanitarie che non è esagerato definire disumane, le carceri italiane sono affollate da 68.795 detenuti, 29.992 dei quali sono in attesa di giudizio. È una situazione esplosiva e potrebbe esplodere già tra qualche settimana, se luglio e agosto dovessero essere mesi particolarmente caldi e afosi. Sarebbe serio ritenere illegittime le rivolte che dovessero divampare nei nostri istituti penitenziari? È difficile immaginarne la portata e le conseguenze?
L’unica soluzione in grado di evitare l’inevitabile – e qui, ancora una volta, sono solo i radicali ad aver visto giusto – sarebbe un provvedimento di amnistia, che tuttavia avrebbe solo la funzione di strumento emergenziale. La gran parte dei detenuti nelle nostre carceri vi è in forza della Fini-Giovanardi, la legge più inutile e cretina della Seconda Repubblica: se non la si abroga, nel giro di pochi mesi, al massimo un anno, le carceri torneranno ad essere stracolme come lo sono ora. Amnistia, dunque, ma anche una riforma tempestiva in grado di assicurare pene alternative alla detenzione, cancellando l’ignominia della reclusione per chi ancora non sia stato condannato in primo grado, e depenalizzando in primo luogo l’uso di sostanze stupefacenti.
Naturalmente non saremo in grado di farlo, perché da noi la certezza della pena vale solo per i poveracci e poco importa se si tratta di pena disumana. Un pauroso deficit di cultura liberaldemocratica segna la destra, il centro e anche buona parte della sinistra di questo paese, e da tempo la politica rincorre i più bassi istinti di un popolo che si è fatto plebe. Non vi sono le premesse per pensare ad una soluzione strutturale del problema delle nostre carceri. Avremo rivolte, le annegheremo nel sangue, penseremo che non c’era altra soluzione.  


lunedì 27 giugno 2011

Il nuovo che avanza

“Dietro le quinte si stanno muovendo Comunione e liberazione, Compagnia delle Opere e Opus Dei, ma anche pezzi di Acli e di Azione cattolica. E infatti nelle prossime settimane verrà presentato pubblicamente un manifesto per una «politica buona», fondata sui principi della Dottrina Sociale della Chiesa, sottoscritto fra gli altri da Acli, Cisl, Coldiretti, Compagnia delle Opere, Confcooperative (ovvero le cooperative «bianche») e Movimento cristiano lavoratori. Prove di nuovo centro che guarda a destra, anche perché uno dei più autorevoli firmatari del manifesto è Giulio Tremonti, non a caso da tempo in rotta sia con Berlusconi – nonostante le reciproche rassicurazioni e attestazioni di stima – sia, più recentemente, con la Lega, di cui invece è stato sempre «quinta colonna» dentro il Pdl”

Il rango / 2


Eravamo agli inizi del 1996, la stagione di Mani Pulite era ormai finita e il “sistema” si andava riorganizzando. Lucio Colletti avvertiva: “È in corso un’operazione di sostituzione della politica, in cui una serie di oligarchie e di interessi corporati e protetti, che prima erano coperti dalla grande cupola democristiana, vengono in primo piano cercando di darsi una rappresentanza politica e aggregando tutto. Si va dagli interessi dell’andreottismo romano, agli interessi che fanno capo a parte della finanza laica e anche a una parte consistente della massoneria”.
La traccia mette in pista un giornale che da poco è in edicola e il cui direttore è assai vicino al filosofo. Il 6 febbraio, sulla prima pagina de Il Foglio, fa capolino un’ipotesi con contorno di sussurri.
Il Foglio resterà su questa traccia per mesi e quando Lorenzo Necci verrà arrestato, il 15 settembre, a Giuliano Ferrara sembrerà di essere stato il primo ad aver individuato il centro eversivo che mirava alla sacrilega “sostituzione della politica” negli affari che prima erano gestiti da Dc e Psi. Intervistato da Giuseppe D’Avanzo, gonfiava il petto: “Lo ripeto, sì: Lorenzo Necci è considerato esponente della massoneria” (la Repubblica, 18.9.1996). Indizi? “Troppo intima la sua amicizia con Luigi Bisignani, presenza fissa in casa Necci, in via Donizetti”.
Il giorno dopo, a pag. 2, Il Foglio pubblicava un capolavoro.
Una querela a la Repubblica, che si era limitata a riportare le affermazioni di Ferrara, e una richiesta di rettifica a Il Foglio, dolce come una rasoiata. 



 

domenica 26 giugno 2011

Il pH della Costamagna


Poi, una di queste volte, Luca Telese ci spiega cosa intendesse dire con “ragazza ad alto tasso di pH” nel presentare Luisella Costamagna in apertura a In Onda, stasera. Se era una perifrasi per “acida”, il tasso di pH doveva esser “basso”. O Costamagna è molto basica o Telese fa battute a cazzo di cane.


sabato 25 giugno 2011

La monnezza

Sentire alle quattro di mattina i gabbiani urlare di felicità per così sfarzoso banchetto non ha sprezzo.

“Fosse ancora in vita”

“Ignoranza e disdegno di ogni speculazione sistematica:
ecco ciò che caratterizza la mentalità dei primi cristiani”

Albert Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, Diabasis 2004



Ci sono offese ai morti che chiedono vendetta ai vivi e quella che oggi è fatta ad Albert Camus dalle pagine di Avvenire non può lasciarci indifferenti: si tenta di reclutarlo alle operazioncine furbe di Ratzinger & Ravasi come “guida nel«Cortile dei gentili»”, lui, l’ateo che con Métaphysique chrétienne et néoplatonisme ci ha dato una decostruzione del cristianesimo che rende Cristo inservibile alla dottrina cattolica e forse ad ogni cristianesimo. L’oltraggio non gli è fatto da Valeria Turra, la giovane ricercatrice dell’Università di Verona, autrice di un volume che probabilmente sarà pure onesto, ma da chi la intervista, tal Lorenzo Fazzini, alla disperata ricerca di una risposta che gli consenta di costruire il titolo del pezzo. L’intenzione è evidente fin dall’introduzione: “I 30 anni dalla sua morte, ce­lebrati nel 2010, hanno ri­messo sotto i riflettori la figu­ra lucida e appassionata di Al­bert Camus. Il quale da più parti viene additato – fosse ancora in vita – come uno dei frequenta­tori del Cortile dei Gentili, lo spazio di dialogo tra credenti e atei voluto da Benedetto XVI”.
“Fosse ancora in vita” è il biglietto da visita del Fazzini, “da più parti” (che poi è una parte sola, quella che lo tiene a libro-paga) è il suo domicilio.

L’occasione tarda ad arrivare e il Fazzini smania: Oggi la figura dell’intel­lettuale francese pare distante dal mondo dei non credenti. Il suo approccio può essere da guida per un dialogo positivo tra credenti-laici?”. La Turra non può deludere del tutto chi le sta pubblicizzando il libro, ma con garbata ambiguità fa presente che il pensiero di Camus è antidog­matico e duttile, capace di con­frontarsi con tutti gli aspetti del­la realtà e con autori di varie e­poche e credenze. Richiede però al lettore grande onestà intellet­tuale e capacità di apertura e confronto. In questo senso cre­do possa essere una guida al dialogo fra credenti e laici, come fra persone appartenenti a cul­ture diverse. A condizione però che ciascuno sia capace di met­tersi profondamente in discus­sione. Per chi non voglia correre questo rischio, Camus rimane un autore scomo­do e irritante. In­somma, Camus resta paradigma­tico nella sua for­ma di pensiero perché scava alla ricerca della ve­rità. Il suo anelito ad una società giusta non pre­suppone la fede in Dio ma la sua attenzione all’uomo rimane centrale”.
E questo – non più di questo – consente di titolare l’intervista: “E Camus? Fa la guida nel «Cortile dei gentili»…”.