mercoledì 3 agosto 2011
martedì 2 agosto 2011
Turiddu Ambrogio
Mi sono limitato a segnalare solo un passaggio dell’articolo di Magdi Allam apparso su il Giornale domenica 24 luglio (La strage in Norvegia – Il razzismo è l’altra faccia del multiculturalismo), e senza alcun commento. Pare, invece, che abbia ricevuto “una valanga di accese critiche e anche qualche violenta minaccia”, sicché “ho dovuto denunciare alle competenti autorità – informa chi lo firmava – i messaggi che incitavano apertamente ad odiarmi, a disprezzarmi, a radiarmi dalla società civile, qualificandomi come talebano, razzista, fascista, nazista, sentenziando la mia condanna all’ergastolo sbattendomi in galera e lanciando la chiave nell’oceano, perché sarei il peggior nemico dell’Italia e dell’Europa, il sommo traditore di tutto, degli arabi e dei musulmani, ma anche degli italiani e dei cristiani, un rinnegato che immeritatamente è riuscito a spacciarsi per giornalista e poi per politico, ma che in realtà è solo un ignorante e un fanatico” (il Giornale, 1.8.2011). Stupisco nell’apprenderlo, perché l’articolo era semplicemente cretino. Davvero in così tanti l’hanno ritenuto razzista? Cretini pure loro.
Quell’articolo andava letto in controluce, senza badare troppo alla sconclusionata tesi che tentava di dimostrare (“multiculturalismo e razzismo sono di fatto due facce della stessa medaglia”), considerando solo il vizio psicologico di fondo: era l’apologo del siciliano andato a vivere a Milano che, dopo essersi liberato a gran fatica del suo pesante accento palermitano, si lamenta in perfetto dialetto milanese dei troppi siciliani in giro, senza dubbio tutti mafiosi.
Così va letto pure l’articolo di ieri: sempre in perfetto milanese, il tizio tiene a precisare che rispetta i siciliani, ma ha tutto il diritto di muovere rilievi critici alla sicilianità. E poi: la mafia non è cosa siciliana?
Sì, ma lui? Non è la prova vivente che non tutti i siciliani sono mafiosi e che l’integrazione passa attraverso la tolleranza e il rispetto delle differenze? Non si chiamava Turiddu, forse, e adesso si chiama Turiddu Ambrogio?
Tornano comodi ad ogni 2 agosto
Il 2 agosto del 1980 avevo compiuto da poco 23 anni. Di lì a un mese mi sarei iscritto all’ultimo anno di Medicina e Chirurgia e, intenzionato a laurearmi entro il luglio successivo, preparavo già la tesi, in attesa di dare gli ultimi quattro esami. Avevo lasciato la mia stanza di fuorisede a Napoli ed ero tornato a casa, a Ischia, dai miei. Mi svegliavo presto, studiavo fino a mezzogiorno e poi mi concedevo una pausa, salivo sulla mia scassatissima Vespa e andavo in spiaggia. Quel 2 agosto lo ricordo bene.
Ero appena arrivato allo stabilimento balneare de La Cava dell’Isola, a Forio, che al bar vidi un capannello di bagnanti piuttosto agitati. Era da poco arrivata la notizia della strage di Bologna e Berti (non ne ricordo il nome), un romagnolo sulla settantina, habitué di quella spiaggia, patetica macchietta di fascista, aveva rivendicato il “botto”, anche con una certa fierezza: si discuteva concitatamente e di lì a poco Berti si sarebbe preso qualche meritato ceffone.
Era da escludere, ovviamente, che avesse a che fare anche lontanamente con la strage e la rivendicazione dei Nar (poi smentita) sarebbe arrivata solo nel tardo pomeriggio: perché non aveva esitato dichiararla “bomba fascista”? Semplice: a quei tempi un attentato dinamitardo era fascista, per definizione. Com’era, per definizione, anarchico alla fine dell’Ottocento, e islamista oggi. Berti era l’altra faccia del luogo comune: di qua, l’orrore, lo sdegno, la rabbia e il dolore per una carneficina che non poteva non essere opera dei fascisti e, di là, Berti, altrettanto sicuro, col petto in fuori, “onore ai camerati che hanno fatto piangere Bologna, la rossa”.
Avremmo dovuto aspettare un quarto di secolo perché il luogo comune rivelasse qualche incongruenza, lasciando spazio a un’ipotesi, che è ancora troppo presto per poter considerare men che un depistaggio tardivo, ma che con sempre più forza va a erodere la verità di una sentenza che fa acqua da più di un buco. Il 19 dicembre del 2003, sul Corriere della Sera, il senatore Giovanni Pellegrino, già presidente della commissione stragi, affermava: “Rimane non verosimile, non credibile, la ricostruzione del fine politico della strage di Bologna che è sempre stato accostato, quasi fosse un remake, a quello della bomba di Piazza Fontana. Ovvero: la destra radicale, in un ambiguo rapporto con gli apparati di sicurezza, semina il terrore affinché questo generi smarrimento e una richiesta d’ordine che poi porti a uno spostamento a destra dell’asse politico del Paese piuttosto che a un vero e proprio golpe. Questo movente non ha alcun senso nel 1980”.
Ha senso, invece, ma solo oggi, l’ipotesi che l’esplosivo fosse solo in transito sul territorio italiano, e che il corriere fosse palestinese: il carico sarebbe stato fatto esplodere da agenti della Cia o del Mossad, al fine di sabotare il patto da lungo tempo stretto tra i palestinesi e l’Italia dopo la strage di Fiumicino (libertà d’azione su tutta la penisola in cambio di nessun attentato). Numerosi elementi sono venuti a rendere attendibile questa ipotesi, che però è difficile da far digerire a filopalestinesi e filoisraeliani, cioè praticamente a tutti.
Morto Berti, che non può continuare a rivendicarla come strage fascista, il luogo comune regge sull’ormai consolidata idea che quella bomba fu messa dai Nar. D’altronde, le figure di Mambro e Fioravanti hanno tutti i requisiti per soddisfare un tal genere di trama. In assenza di un’altra verità, tornano comodi ad ogni 2 agosto.
domenica 31 luglio 2011
In verità
Troppo preso dai lavori di un interessantissimo congresso internazionale di microchirurgia vascolare (vedi foto), non posso intrattenermi troppo sulle tante inesattezze scritte da Giuliano Ferrara nell’editoriale che oggi apre il Giornale, sicché mi limito a segnalarne una sola, la prima in ordine di apparizione: agli atti dei procedimenti istruiti da Giancarlo Capaldo – scrive il nostro – vi sono “le dubbie inchieste sulla ricostruzione dell’Aquila” (il Giornale, 31.7.2011). Sarebbe più corretto dire: “le inchieste sulla dubbia ricostruzione dell’Aquila”. Mai ricostruita, in verità.
sabato 30 luglio 2011
venerdì 29 luglio 2011
Fede, garanzia di senno
Un contributo interessante alla comprensione di cosa possa aver scatenato quella bestia di Anders Breivik ci viene da padre Aldo Trento, il quale, come tanti, propende per la follia, ma non fa fatica a concedere che possa trattarsi di una “follia che può avere come origine anche un cristianesimo ridotto a ideologia”, in pratica quel cristianesimo tutto culturale, senza fede in Dio, com’è dei nostri atei devoti. La cosa strana è che questa ipotesi, peraltro abbastanza convincente, sia esposta proprio sulle pagine de Il Foglio, punta di lancia di un cristianesimo tutto ideologico, che, a detta di Giuliano Ferrara non potremmo non dir nostro senza tradire le nostre radici, e del quale dovremmo farci forti, come sola valida difesa alla minaccia di un islam aggressivo per sua intrinseca natura, anche se non abbiamo fede in Dio, veluti si Deus daretur.
Si può anche essere d’accordo con padre Trento, anzi direi che la sua ipotesi può essere senz’altro accolta, perché è onesta, non depista ed evita di incorrere nei patetici tentativi di prendere le distanze da Breivik nei quali abbiamo visto affannarsi Magdi Allam, Massimo Introvigne e lo stesso giornale di Giuliano Ferrara. Neonazista? Massone? Cristiano, sì, ma luterano, dunque non cattolico, cioè non vero cristiano? Niente di tutto questo, padre Trento non ci prova nemmeno a fare lo stronzo, anzi dice che “la tragedia accaduta in Norvegia interpella la responsabilità che abbiamo come cristiani dentro il mondo”.
Molto bene, tanto di cappello.
Confesso che la lettera di padre Trento a Il Foglio mi ha molto colpito, anche perché, di quella “follia che può avere come origine anche un cristianesimo ridotto a ideologia”, lui non parla per sentito dire. Confessa: “Mi stava mangiando il cervello, convinto com’ero che Cristo non fosse sufficiente per liberare l’uomo dalla sua follia”. Ho preso informazioni: si muoveva tra Lotta Continua e Potere Operaio. Condivido il giudizio che ne dà padre Trento: pazzi.
Mistero è come possa essersi trovato fra quei pazzi, figlio com’è di genitori cristianissimi, quanto di più lontano possibile dalla follia: “Ricordo con commozione che sopra il letto dei miei genitori era appeso il quadro della Sacra Famiglia e, ai due lati, vi era un’acquasantiera con l’acqua benedetta che serviva per fare il segno della croce prima di dormire o prima di esprimersi fisicamente il grande amore che essi vivevano”.
Ricco di suo
Prima di ieri, con Giulio Tremonti ad Uno Mattina, fu nel 1992, con Francesco De Lorenzo al Maurizio Costanzo Show, che ci fu offerto a garanzia: “Non ho bisogno di rubare agli italiani perché sono ricco di mio”. Ci sembrò convincente, e nel Teatro Parioli non volò una mosca, ma poi fu condannato a 5 anni e dispari per associazione a delinquere e corruzione finalizzata al finanziamento illecito del suo partito (tangenti per circa 4 miliardi delle vecchie lire). Lì capimmo che a “mi tradisci?” non si risponde “e dove troverei il tempo?”, perché è risposta che non dà alcuna garanzia.
Corrispondenze
Caro Luigi,
ti scrivo in privato su questa questione, correndo il rischio di risultarti noioso, per due ragioni: la prima è per ragioni di stima, non quella generica che si mette in questo tipo di email, ma proprio quella stima che mi fa allarmato, ora, nel saperti su posizioni così diverse dalle mie – tu, persona con cui sono d’accordo pressoché sempre. La seconda è un altro paio di persone, in questi giorni, mi hanno chiesto un parere (a quanto pare, fra mangiapreti, abbiamo un gruppo d’ascolto del tuo blog): ma Malvino come la pensa? Perché usa quella parola? Così, invece di fare ipotesi su quello che pensi, te lo chiedo direttamente.
Ti contesto l’uso della parola islamofobia. Tu sei cristianofobo? Ha ragione Ratzinger, che la usa ogni due per tre? No, direi. Sei una persona che non condivide una precisa ideologia – non lo devo spiegare a te: ogni religione, al di fuori della propria rivelazione, è un’ideologia – e come tale la critica. Non esistono marxistofobi o fascistofobi: esistono persone che, a torto o ragione, non condividono il bacino di pensieri (per quanto ampio) che è convogliato in quella definizione. La parola islamofobia, a mio modo di vedere, è fasulla: una corruzione, squisitamente clericale, del linguaggio. Per questo non capisco che significato possa avere per qualcuno che la pensa come te. Essa associa al razzismo la legittima critica a un sistema di pensiero fondato su prove insufficienti. Una persona che critica un’etnia è razzista, una persona che critica un’idea non può esserlo. È cattolicofobo criticare il cattolicesimo? Non stiamo introiettando il linguaggio del dogmatismo e della tutela di esso?
Se non sbaglio – vado a memoria, potrei ricordare male – l’hai cominciata a usare, o a usare con più frequenza, di recente: c’è qualcosa che ti ha fatto cambiare idea e che potrebbe fare cambiare idea a me?
Ciao,
Giovanni
Caro Giovanni,
le fobie sono paure irrazionali e dunque riguardano la patologia umana, il punto in cui la logica va a farsi fottere e l’uomo diventa preda della bestia che si porta dentro. Dell’islam, come del cristianesimo, io ho una paura motivata e - mi pare - correttamente argomentata, dunque non sono né islamofobo, come parecchi cristiani, né cristianofobo, come molti musulmani. Se uso il termine “islamofobico” così frequentemente dalla strage di Oslo ad oggi è proprio per un motivo squisitamente polemico nei confronti di chi ha usato tanto spesso il termine “cristianofobo” negli ultimi tempi. E contesto l’affermazione che mi pare anche tu hai fatto di recente e sulla quale ci siamo intrattenuti nei commenti ad un mio post: il Corano non è intrinsecamente e inemendabilmente violento, o lo è anche la Bibbia.
Tranquillizza chi ti chiede di me: Malvino è quello di sempre, non si converte all’islam pur di polemizzare meglio contro il cristianesimo, perché da quella posizione la polemica sarebbe assai meno efficace di quello che pensa sia com’è. Ma non venite a dirmi che i primi due monoteismi sono carini e il terzo è venuto male, sennò vi mando affettuosamente a cagare.
Ti abbraccio e non ti chiedo se posso pubblicare questo scambio privato: lo pubblico comunque, così ti risparmio di riferire a quelli che, invece di venire a chiedere spiegazioni a me, le vengono a chiedere a te.
Ti abbraccio e non ti chiedo se posso pubblicare questo scambio privato: lo pubblico comunque, così ti risparmio di riferire a quelli che, invece di venire a chiedere spiegazioni a me, le vengono a chiedere a te.
Luigi
[...]
Delle promesse fatte a Pontida, per tener buona la sua base, Bossi ha potuto mantenere solo quella dei ministeri al nord, e anche quella pare mantenuta solo formalmente, con tre targhe in ottone e tre scrivanie. E intanto Equitalia non si tocca, le missioni militari all’estero vengono rifinanziate, i costi della politica sono ben lunghi dall’essere ridimensionati, del Senato federale neanche si parla. Ora, con l’intervento del Quirinale che mette in discussione pure le succursali padane dei dicasteri, peraltro con argomenti ai quali neanche Bossi riesce a opporre valide obiezioni, la base della Lega ha due sole alternative: fare a pezzi il suo profeta o, dopo il tanto mugugnare che aveva preceduto il raduno di Pontida, pigliarselo in culo e far finta che va tutto bene. Ma il profeta è intoccabile e far finta costerebbe troppo, sicché le alternative dovranno essere ridimensionate: un finto braccio di ferro con Napolitano, per accettare infine un compromesso che in ogni caso risulterà umiliante per la Lega, o sacrificare il poveretto al quale è venuta l’idea dei ministeri al nord.
Appunti
1. Quando fu premiata con l’Annie Taylor Award, nel 2005, Oriana Fallaci tenne molto a ringraziare Robert Spencer e Daniel Pipes: “Questo premio appartiene a loro quanto a me”. Atto dovuto, perché la sua islamofobia era in gran parte debitrice delle tesi sostenute dai due, a quei tempi assai in voga. La stessa cosa possiamo dire per Anders Breivik, che nella sua European Declarion of Independence riporta pagine e pagine dei due.
La prosa di Oriana Fallaci e quella di Anders Breivik sono incomparabili, ma in comune hanno un tratto, che è quello di dare una risposta urgente all’urgenza posta loro dalle condivise tesi di Spencer e di Pipes. La risposta di Oriana Fallaci fu nel grido d’allarme, nell’invettiva rabbiosa e nell’appello all’orgoglio identitario, quella di Anders Breivik è stato il folle progetto di una nuova crociata (stavolta non c’era da liberare Gerusalemme, ma l’Europa). In entrambi la croce è un simbolo di storia e di cultura, il talismano indispensabile in battaglia (“in hoc signo vinces”). Non ha importanza sapere se monsignor Rino Fisichella ce la conti giusta sulla conversione in extremis della Fallaci, non ha importanza sapere fino a punto Breivik sia ecumenico nell’auspicio che il protestantesimo venga riassorbito dal cattolicesimo. Sappiamo solo che Oriana Fallaci non ha fatto in tempo a potersi dire delusa della retromarcia fatta da Benedetto XVI dopo la lectio di Ratisbona, che poi è quanto Anders Breivik rimprovera all’attuale pontefice. A Giovanni Paolo II rimprovera il bacio al Corano, sul quale anche la Fallaci ebbe a ridire: il suo avvicinamento alla Chiesa è nel punto di rottura che Ratisbona segna tra i due pontificati, la sua simpatia per papa Ratzinger nasce nel prefigurare la lectio di Ratisbona, che è di tre giorni antecedente alla sua morte, e non fa in tempo a trovare la delusione di Breivik.
Chi si è azzardato a definire papista la Fallaci, non può azzardarsi a definire Breivik “antipapista”, che poi è un altro depistaggio, come il definirlo neonazista e massone. A Breivik starebbe bene un papa che benedica una crociata anti-islamica, ciò che la Fallaci intravvide a torto in Benedetto XVI.
2. Mario Borghezio ha dichiarato che, “al netto del richiamo alla violenza”, ritiene “condivisibili” le posizioni espresse da Breivik, che sono quelle di Spencer e di Pipes, le stesse della Fallaci, che pure in certi punti della sua ultima produzione incita alla crociata. Dai due illustri neocon americani al “voldedig psikopat” norvegese c’è un gradiente dall’islamofobia sul quale troviamo prima Borghezio e poi la Fallaci. Qualcuno ha intenzione di censurare i libri della Fallaci? Se si vuole censurare Borghezio, è indispensabile. Ma come si fa a censurare i libri della Fallaci? Impossibile. Tanto vale non censurare Borghezio.
3. Come al solito, Il Foglio brilla in furbizia: la consegna è al silenzio sul “cretino apocalittico”, che poi vuol dire evitare di dover concedere che le sue posizioni sono “condivisibili, al netto del richiamo alla violenza”. O rimangiarsi tutto ciò che è stato mandato in pagina dal 2004 in poi, compreso l’entusiasmo per un Benedetto XVI che a Ratisbona sembrava sottoscrivere le tesi di Spencer e di Pipes. Il gesto commesso da Breivik sporca tutto: ignorarlo.
giovedì 28 luglio 2011
Fjordman
L’autore più citato da Anders Breivik, e che a suo dire è quello che di più l’ha influenzato, è Fjordman, un blogger anonimo norvegese che dal febbraio al dicembre 2005, su http://fjordman.blogspot.com/, postò poco più di duecento articoli, che in breve riscossero un discreto successo. Molti di questi articoli sono integralmente riportati in 2083 - A European Declaration of Indipendence, insieme ad altri che Fjordman scrisse successivamente per Brussels Journal, Islam Watch e Gate of Vienna dopo aver chiuso il suo blog.
Nello scoprirsi tanto ammirato da Breivik, Fjordman s’è affrettato a dirsi “disgustato” dell’essere stato fatto oggetto di tanta attenzione da parte di un tale “psicopatico”, col quale – ha tenuto a precisare con comprensibile fermezza – non ha mai avuto alcun tipo contatto. Poi, però, ha dichiarato di aver scritto anche un saggio di astrofisica e una storia della birra, che, al pari di ciò che ha scritto sull’islam, non ritiene possano armare la mano di un criminale.
La fama di essere un grande intelligentone, qui, scricchiola. Tra l’islamofobia di Fjordman e la strage del 22 luglio, infatti, non v’è dimostrabile nesso di causa ed effetto, ma come nei suoi articoli non vi è traccia di istigazione all’atto terroristico – e questo dovrebbe bastare a mettere in pace la sua coscienza – nelle 1.518 pagine di Breivik non vi è traccia di luppolo o di pulsar.
Se non è un infortunio della rinomata intelligenza di Fjordman, si tratta di un inconscio senso di colpa. Che naturalmente non fa affatto prova di una sua colpevolezza, ma piuttosto svela la sua intima convinzione, probabilmente solo posteriore alla strage, che a costruire una visione paranoica di assedio si possono trovare paranoici intenzionati a romperlo.
Ripeto: Fjordman non ha alcuna colpa, né può essere chiamato a rispondere di corresponsabilità con la strage di Oslo, in alcun modo. Nessuna colpa può altresì essere addebitata a chiunque altro, come lui, s’è messo in testa che sia indispensabile mobilitare l’occidente contro l’invasione del barbaro, chi portando a spasso madonne pellegrine, chi pensando che si debbano affondare barconi carichi di disperati, chi indossando tuniche da templari, tutti con la convinzione che si debba cominciare col mettere in discussione la liberaldemocrazia, la tolleranza, la laicità dello Stato, i diritti civili.
A chi pensa che la loro sia una paranoia, basti il fatto che almeno Fjordman, forse, e in fondo, riesce a coglierne la pericolosità. A chi pensa, invece, che questa paranoia sia solo lo strumento di un disegno reazionario, basti il fatto che ora è scoperto.
mercoledì 27 luglio 2011
Sul finire del 2008...
Sul finire del 2008, all’Onu, la Francia presentò una mozione che aveva come fine ultimo la depenalizzazione dell’omosessualità nei paesi nei quali era (ed è) ancora reato, punito pure con la pena capitale. La proposta fu appoggiata da altri 25 paesi, ma il rappresentante della Santa Sede espresse il suo parere contrario con la seguente motivazione: “Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di paesi, si chiede agli Stati ed ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni. Per esempio, gli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come «matrimonio» verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni”.
A ben vedere, è la stessa logica che ieri ha affossato in Parlamento la legge che avrebbe riconosciuto l’aggravante di omofobia per i reati a danno dei gay, e infatti chi l’ha affossata non fa mistero di ispirarsi al magistero della Chiesa, per la quale i gay meritano “rispetto, compassione e delicatezza” (Catechismo, 2357), ma non la perfetta parità di diritti, per esempio con quanti sono vittime di “reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso” (legge n. 205/1993): tanta pietà, quando vengono pestati, ma niente di più.
Ora è naturale che i gay l’abbiano presa male, come d’altronde – rammento – la presero male anche sul finire del 2008, ma anche oggi, come allora, si limitano a urlare, il che evidentemente serve a poco. Allora scrissi: “I gay sono femminucce. Dopo quello che ha dichiarato il rappresentante della Santa Sede presso le Nazioni Unite, se avessero i coglioni, si armerebbero di due taniche cadauno e andrebbero a bruciare San Pietro. Invece, già lo so, si limiteranno a frignare. Poi si lamentano se all’inizio del terzo millennio c’è ancora chi li discrimina e li pesta. […] Ma immobilizzate le guardie svizzere, ficcate loro l’alabarda in culo, e bruciate tutto, femminucce. Avete visto come si ammorbidiscono quando musulmani e hindu li massacrano? Capiscono solo le cattive maniere, bruciateli”.
Ok, esageravo, ma – dico – tranne che urlare e frignare, nient’altro?
martedì 26 luglio 2011
E la carità?
Camillo Langone, del quale riporto qui sopra parte dell’articolo che oggi firmava su Il Foglio, cerca di rifilarci un sillogismo che non è buono neanche a reggere uno sputo. Sfrondando il superfluo: la morale cristiana vieta l’omicidio, ma Breivik ha ucciso e, dunque, non è cristiano come dice. Stupisce che un cristiano come Langone possa affermare simili bestialità, un po’ meno a mettersi nei suoi panni, che poi sono quelli di uno che da anni scrive le stesse cose che oggi leggiamo a firma di Breivik, e oggi è colto da un comprensibile imbarazzo, forse addirittura un po’ di panico nel doverlo ammettere.
E dunque chi commette un atto vietato dalla morale cristiana dimostrerebbe, per ciò stesso, di non essere cristiano? E il pentimento? E il perdono? Si obietterà che l’omicidio è un peccato grave. Certo, è un peccato mortale, ma insieme ad altri nove, altrettanto mortali, nei quali i cristiani cadono di continuo. Un cristiano non dovrebbe commetterli, certo, ma si sa che l’uomo è debole.
Ora, commettendone uno, il cristiano smette di essere cristiano? Ma via, non diciamo stronzate da far scendere la uallera perfino agli studenti del primo anno di Teologia. Tutt’al più dimostrerà di non essere un buon cristiano, ma si sa pure che la perfezione non è di questo mondo, che il peccato ci sta dentro ab initio, e che Satana è tentatore. Ed è perciò che Dio, nella sua infinita misericordia, se vuole, può perdonarlo. Dovessimo negare la patente di cristiano a chiunque commetta un peccato mortale (il furto, per esempio, o desiderare la roba o la donna d’altri), quanti ne rimarrebbero?
Con quale superbia, dunque, che peraltro è peccato capitale, Langone può dire “io sono cristiano e lui no”? Breivik sarà un peccatore, questo sì, senza dubbio, ma Langone come può negare la sua fede? Potrà giudicare le sue azioni, anche se in realtà il dettato evangelico gli consiglia di astenersi, ma con quale strumento può negare che in Breivik non ci sia fede? È proprio in virtù di quella, e della grazia, attraverso il pentimento, quando verrà, che Breivik potrà arrivare addirittura ad essere più innocente di Langone agli occhi di Dio: come può ignorarlo, uno che si vanta di aver sempre il Catechismo a portata di mano? Sembra quasi si compiaccia dei suoi peccati (non di rado mortali), che confessa pubblicamente, quasi certamente solo per potersi subito compiacere del fatto che la bontà di Dio è immensa dinanzi a un compulsivo che pecca e si pente, pecca e si pente, pecca e si pente, ad libitum – e poi nega a Breivik la stessa chance? E la carità? E – se non la carità – la coerenza?
Nota Per questo come per altri post nei quali vengono riprodotti brani tratti da scritti protetti da copyright, si fa presente che questo blog, ai sensi dell’art. 10 della Tabella A della Delibera dell’Agcom del 6.7.2011, se ne può fottere: non ha fine di lucro, li utilizza solo al fine di commentarli, non li riproduce integralmente.
Anonimato sì, anonimato no
Tra Mantellini e Zucconi, io sto con Zucconi: in rete devi poter fare tutto quello che ti pare, ma sotto tua responsabilità, e quale responsabilità può offrire un anonimo? Se sei timido, sta’ zitto. Sennò mettici nome e cognome, eventualmente anche la faccia, e poi parla, di’ quello che hai da dire, prenditene oneri ed onori. Se pretendi la garanzia dell’anonimato, il tuo diritto non è una conquista, ma un furto. Puoi rubarlo, fino a quando ti sarà concesso, ma non fare la vittima se te lo tolgono, perché non saprei a chi a esprimere la mia solidarietà: non ti conosco.
Né nazista, né massone
Considerare Anders Breivik un neonazista è assai scorretto: “Whenever someone asks if I am a national socialist I am deeply offended. If there is one historical figure and past Germanic leader I hate it is Adolf Hitler. If I could travel in a time-machine to Berlin in 1933, I would be the first person to go – with the purpose of killing him” (pag. 1.162).
Altrettanto errato è ritenere che appartenga alla Massoneria, e infatti non è membro della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, né del Grande Oriente di Francia, né è affiliato ad alcuno dei Riti indipendenti (Scozzese Antico ed Accettato, Simbolico Italiano, Francese, di York, ecc.): considerarlo un massone solo perché si dichiara cavaliere templare (“Justiciar Knight Commander for Knights Templar Europe” – pag. 9 e segg.) è possibile solo facendo proprie le suggestioni offerte da certe balzane tesi storiografiche alle quali può attingere solo un Dan Brown per costruirci sopra Il Codice Da Vinci o un Roberto Giacobbo per una puntata di Voyager.
In quanto al grembiule di foggia simil-massonica che Breivik indossa in una delle foto riprodotte in fondo alla sua Declaration (pag. 1.512), basta una conoscenza anche superficiale degli elementi della simbologia che ricorrono sui paramenti massonici per rivelarlo come una assai sciatta imitazione di un grembiule da Maestro, grado che evidentemente si è autoconferito, al pari di quello di commander, nella cui divisa si fa ritrarre nella foto successiva (pag. 1.513), dove appare carico di onorificenze che si è benevolmente concesso, dopo averle opportunamente istituite di persona (pagg. 1.075-1.103) sulla falsariga di quelle degli ordini templari tuttora esistenti.
Molti di questi ordini templari non sono affatto in contraddizione con l’essere cristiani, anzi, basti pensare che il più noto, quello dei Cavalieri Ospitalieri (o di Malta), fu restaurato da Leone XIII. Vi consiglio una visita a Templari Oggi, “Sito ufficiale dei Cavalieri Templari Cattolici d’Italia” o a quello dei Templari di San Bernardo, “Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare”, e vedrete che nelle loro uniformi sono assai più eleganti di Breivik. Stessa simbologia, però. E stessa struttura paramilitare.
Certo, si tratta di due mondi a parte, e qui l’associazione tra i nostri templari e quelli norvegesi è stata fatta solo per dimostrare che templare non significa massone, ma piuttosto miles Christi. Poi, sì, ci sono le differenze: Breivik è un templare cristiano (protestante), i nostri sono templari cattolici (ultratradizionalisti); il primo ha dimostrato di avere la capacità di compiere una strage come la dimostrarono gli antichi templari, dei quali i secondi sono a malapena in grado di scimmiottare la postura; ma si tratta pur sempre di soldati della fede in Cristo. Coi massoni, che al massimo sono deisti, non hanno niente da spartire.
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