La fonte di Gianluigi Nuzzi «raccoglieva documenti, circolari, lettere, contabili bancarie in Vaticano e li studiava di notte nel suo studio privato, lontano da sguardi indiscreti» (pag. 7). Tutto farebbe credere che si tratti di Paolo Gabriele, aiutante di camera di Benedetto XVI, perché a casa sua sono state rinvenute tredici casse di documenti, in copia, raccolti nell’arco di circa sette anni. Ammesso che sia così, dove li ha riprodotti in copia?
Portare via tutte quelle carte dal Palazzo Apostolico, fotocopiarle comodamente a casa e poi riportarle indietro avrebbe comportato il serio pericolo di essere scoperto in uno di questi continui andirivieni. Non era un rischio enorme per chi si fosse posto il fine di «rendere pubblici certi segreti» per sentirsi «affrancato dall’insopportabile complicità di chi, pur sapendo, tace»?
Ne ha fatto copia in loco? Poco probabile che sia stata usata un’apparecchiatura fotografica o una fotocopiatrice portatile: in entrambi i casi la riproduzione dei documenti non sarebbe stata della qualità che si evince dalle copie che sono riprodotte nella seconda e nella terza di copertina del volume di Nuzzi (assenza di ombre, margini conservati, nessuna distorsione assiale, radiale o tangenziale, ecc.).
Nello studio di Benedetto XVI ci sono solo «una modesta libreria a ripiani, poltroncine basse, la scrivania in legno, due telefoni fissi, nessun cellulare» (pag. 9): poco probabile che uno dei due telefoni abbia una linea abilitata alla funzione fax e che da quella i documenti abbiano preso il volo (le comunicazioni con l’esterno, via fax e via e-mail, sono a cura di monsignor Georg Gänswein), poco probabile che accanto a quella libreria ci sia una fotocopiatrice.
Senza dubbio, tuttavia, i documenti che sono arrivati nelle mani di Nuzzi sono ottimamente riprodotti, frutto di un lavoro apparentemente eseguito in tutta tranquillità.
Tutto farebbe credere che il corvo sia Gabriele, dicevo, d’altronde è reo confesso ed è stato trovato in possesso dei documenti resi pubblici da Nuzzi. Tutto farebbe credere, altresì, che il fine ultimo del corvo sia quello di portare a galla molta di quella «sporcizia» che il cardinal Joseph Ratzinger lamentava nella Via Crucis del 2005. Di certo c’è che dal 2005 ad oggi, pur da una posizione che, in teoria, gliel’avrebbe consentito, non è stato capace di far troppa pulizia.
Non si deve essere troppo severi, però, perché spesso il Papa non può molto sulla Curia, in pratica. Anche Giovanni Paolo II, che pure aveva più polso, preferì disinteressarsene. Insomma, non v’ha nemmeno sfiorato il sospetto che a far gracchiare il corvo sia stato proprio Benedetto XVI?