La morte del cardinale Carlo Maria Martini ha offerto ennesima occasione di dibattito su quel «dialogo tra credenti e non credenti» che in tanti si ostinano a ritenere possibile, e utile, se non addirittura necessario. Bene, io penso che di fatto sia impossibile e, tutto sommato, inutile, comunque non indispensabile.
Ovviamente tutto sta nell’intenderci sul cosa sia «dialogo», perché sul fatto che un credente e un non credente possano colloquiare, anche pacificamente, non sollevo obiezioni: quasi sempre serve a poco, spesso porta a niente, ma, volendo perder tempo, si può. Ci può essere perfino un reciproco tornaconto, in questo chiacchierare: il non credente può gustare il piacere di produrre argomenti che non più tardi di qualche secolo fa gli avrebbero procurato persecuzione, carcere, tortura e morte, mentre il credente può dar sfogo alla sua smania di convertire, mettendo la sua anima in pace nell’averci almeno provato.
Altra cosa è il «dialogo» o il discutere per arrivare a trovare accordo su qualcosa: anche quando lo si trova, permane nel fondo dell’accordo un’irriducibile distanza che alla lunga lo vanificherà. Non si farà fatica, per esempio, a trovare intesa sul fatto che l’omicidio sia cosa disdicevole, ma per il credente l’omicidio sarà sempre innanzitutto offesa a Dio, perché la vittima è una sua creatura. Poco male, si dirà, l’importante è che credente e non credente concordino. Errato: nel considerare l’uomo una creatura di Dio, la vita umana diventa un bene indisponibile all’uomo, con tutto ciò che ne discende.
Altro esempio: la democrazia. Un credente e un non credente potranno facilmente trovare accordo sul punto e dirsi democratici (ovviamente questo non dovrà porre in discussione la struttura gerarchica della Chiesa: quella deve rimanere piramidale, sennò lo Spirito Santo ci rimane male), ma nel fondo dell’accordo sul fatto che sia meglio decidere a maggioranza che lasciar le decisioni a pochi, o a uno, resteranno sempre un sacco di riserve, almeno da parte del credente, per il quale la democrazia va bene, sì, ma fino a un certo punto: se concorda con le decisioni della maggioranza, nessun problema, ma se quelle non gli garbano, perché in esse vede oltraggio ai comandamenti del suo Dio, il credente mette il muso, si intristisce, quando non si incazza, e comincia a lamentare la violenza della «dittatura della maggioranza».
Penso non ci sia bisogno di altri esempi: li abbiamo sotto gli occhi da quando ai credenti è venuta la smania di «dialogare» nell’impossibilità di imporre la loro fede ai non credenti coi mezzi usati per secoli e secoli, da quando i non credenti hanno accettato il «dialogo» nel tentativo di cavarne qualcosa, nell’illusione di poterlo trovare. La vita del cardinale Carlo Maria Martini sta a dimostrarlo.
«Dialogava», Sua Eminenza, gli piaceva tanto. E bisogna essere onesti: concedeva, concedeva, concedeva anche più di quanto gli fosse concesso dalla dottrina, non di rado facendo soffrire ed adirare gli zeloti, che prima cominciarono a mormorare fosse un mezzo eretico, finendo per dirlo ad alta voce, anche a cadavere ancora caldo. Concedeva, intanto, ma il suo concedere era di un autorevole prelato che contava meno del due di picche, sicché sul suo concedere resta il dubbio fosse la declinazione di un garbo. Talvolta veniva il sospetto che fosse il «poliziotto buono» che fa coppia col «poliziotto cattivo», d’altronde era gesuita e si sa che «todo modo es bueno» per portare acqua al mulino.
[…]
Tu credi che Dio esista, che si sia incarnato in Cristo, che Pietro e i suoi successori ne siano i vicari in terra, perciò depositari di una verità che non possa essere messa in discussione senza mettere in discussione Dio stesso: una verità indiscutibile che vorresti fosse universalmente riconosciuta tale, e dalla quale discendono precetti e divieti che ritieni essenziali al fine di conquistare la vita eterna.
Io non credo nella vita eterna e penso che quei precetti e quei divieti siano solo un modo per ridurre gli uomini a gregge. Non credo che Dio esista, dunque neanche mi pongo il problema se Cristo sia davvero esistito o sia solo un mito. Leggo i vangeli e, accanto all’assurdo, all’inverosimile e al contraddittorio, ci trovo l’ambiguo e l’oscuro sui quali è stata costruita la dottrina alla quale ti dichiari obbediente, alla quale pretenderesti tutti fossero obbedienti, facendoti vanto dell’arrivare a diventare molesto, per poi far sfoggio di un odioso vittimismo se ti mandano a cagare. Ti osservo e ti trovo insopportabile, ipocrita fino all’osso, soprattutto pericoloso. Non c’è bisogno di chiederti cosa tu pensi di me, è noto che a uno come me guardi come a un’anima che vuol perdersi. Hai ragione, non voglio essere salvato. Abbiamo davvero poco da dirci, convieni? «Dialogare» su cosa?
A te interessa convertirmi, a me interessa tu non mi rompa il cazzo: vogliamo far finta di trovare tregua nel dissimulare quanto ci preme? Vogliamo chiamarlo «dialogo»? Disperando di potermi appiccicare la tua fede, ti accontenti di potermi convincere alla tua proverbiale ipocrisia? Devo far finta che almeno l’ipocrisia può essere un decente modus vivendi? Sì, è vero, siamo costretti a starci a fianco, ma questo non vuol dire che dobbiamo strusciarci. Sul da fare, fino a quando non si troverà modo di far prevalere la regola che la libertà di ciascuno ha solo limite in quella di tutti, inutile «dialogare»: basterà contarci. Poi sulla conta eventualmente storcerai il muso, farai carte false per vanificarne l’esito, strepiterai, minaccerai la vendetta del tuo Dio. Pazienza, attenderemo i secoli necessari a sentire la tua voce sempre più fioca. Duemila anni ti avranno illuso che non si spegnerà mai, ma – mi insegni – duemila anni sono un soffio. Meno di un soffio, nell’evoluzione della specie. Ci siamo liberati della coda, ci libereremo anche della tua superstizione.
[…]
Io e te non abbiamo niente da dirci, la vita del cardinale Carlo Maria Martini è la dimostrazione che non serve a niente. Ammesso pure tu avessi la stessa sua autorevolezza e lo stesso suo prestigio in seno alla tua Chiesa, ogni tua concessione varrebbe niente. E poi perché dovrei ritenere necessario che tu mi conceda quel che ritengo mio diritto? Che i preti si possano sposare, che anche le donne possano celebrare la messa, che i cattolici divorziati possano aver l’eucaristia – cazzi vostri. Ci metto il naso per il gusto di vedere come la bestia si contorce, tutto qui.
Come diceva quel tizio? A un protestante preferisco un cattolico, a un cattolico progressista preferisco un cattolico tradizionalista, a un tradizionalista che si controlla preferisco un tradizionalista sfrenato. La fede e la dottrina mi piacciono incontaminate dai compromessi con il mondo, così appaiono per ciò che sono veramente: la negazione del mondo, l’insanabile smania di mortificarlo.