La rinuncia di Benedetto XVI ha dato l’occasione di formulare le più svariate ipotesi su quale potesse esserne il vero motivo a quanti è parso che quello dichiarato dal diretto interessato fosse falso. Così ne abbiamo sentite tante, alcune ai limiti del verosimile, ma quella più cretina in assoluto è senza dubbio quella offertaci da Marco Pannella:
In pratica, Benedetto XVI avrebbe dato corpo al passo evangelico nel quale Gesù raccomanda ai suoi apostoli:
«Non procuratevi né oro, né argento...» (Mt 10, 9-10), che poi sarebbe quello riportato nel fotomontaggio che fa da fondale nello stanzone al terzo piano di Via di Torre Argentina, opera di un garzone della scuola di Oliviero Toscani.
Se sta lì,
c’è un motivo. Da sempre, al pari dei cattolici che lo hanno frainteso, Marco Pannella è convinto che il Concilio Vaticano II sia stato tradito dalle alte gerarchie ecclesiastiche, che avrebbero sviato la Chiesa dal sentiero sul quale l’aveva messa Giovanni XXIII, per ricondurla nel solco della bimillenaria tradizione simoniaca che sempre ha soffocato, però senza mai spegnerla del tutto, la purezza del messaggio evangelico, che sarebbe tutto spirituale. Siamo dinanzi al «problema millenario» cui fa cenno Marco Pannella, quello che vede contrapposti, in ambito cristiano, quanti sostengono che la fede non debba cedere alle tentazioni del potere mondano e quanti invece ritengono che l’incarnazione comporti necessariamente il saper stare al mondo, meglio se comodamente calzati. «Problema millenario» che peraltro si traduce nella contrapposizione, in ambito ecclesiologico, tra quanti sostengono che tra cattolicesimo e democrazia non vi sia alcuna incompatibilità, e nemmeno tra cattolicesimo e liberalismo, e chi invece ritiene che, se Cristo si è detto pastore, il suo popolo non può essere che gregge obbediente ai suoi apostoli, che da lui hanno avuto mandato di mungerlo e tosarlo.
Con le dimissioni di Benedetto XVI siamo davvero a questo? La Chiesa rinuncia a «duemila anni di averi»? Vedremo vescovi e cardinali a piedi nudi come monaci tibetani? O almeno è questo che il vecchio Ratzinger pensa sia il da farsi? E allora, di grazia, perché ha deciso di abdicare? Il Codice di Diritto Canonico recita che il Sommo Pontefice è «supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici» (Can. 1273) e che ha «potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente» (Can. 331): bastava un motu proprio e in due minuti si liberava del fardello. Un motu proprio, in realtà, è atteso, ma pare servirà soltanto a snellire le procedure per l’elezione del prossimo Papa: il vecchio Ratzinger si ritira, ma non vuole esser causa del minimo intoppo nello scorrere della successione da monarca a monarca.
Ma poi, tra gli ultimi discorsi tenuti da Benedetto XVI, non vi è anche quello in cui è ribadita la condanna dell’ermeneutica del Concilio Vaticano II che è cara, tra gli altri, anche a Marco Pannella? Aveva già annunciato la rinuncia e diceva: «C’era il Concilio dei Padri, il vero Concilio, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato quello dei media, non quello dei Padri. […] Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire. […] Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie» (Incontro con i parroci e il clero di Roma, 14.2.2013).
Questo sarebbe il Pietro di cui parla Marco Pannella? E allora che cazzo dice? Soprattutto, perché lo dice? La risposta è di una semplicità disarmante. Marco Pannella ha guidato i suoi nel più nero fallimento politico e, ora che il mugugnare di sempre è diventato un coro di critiche sempre più rumorose, tenta di tenerli buoni consolandoli: si va a morire, ma le profezie si avverano, dunque si muoia in allegria.
Con le dimissioni di Benedetto XVI siamo davvero a questo? La Chiesa rinuncia a «duemila anni di averi»? Vedremo vescovi e cardinali a piedi nudi come monaci tibetani? O almeno è questo che il vecchio Ratzinger pensa sia il da farsi? E allora, di grazia, perché ha deciso di abdicare? Il Codice di Diritto Canonico recita che il Sommo Pontefice è «supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici» (Can. 1273) e che ha «potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente» (Can. 331): bastava un motu proprio e in due minuti si liberava del fardello. Un motu proprio, in realtà, è atteso, ma pare servirà soltanto a snellire le procedure per l’elezione del prossimo Papa: il vecchio Ratzinger si ritira, ma non vuole esser causa del minimo intoppo nello scorrere della successione da monarca a monarca.
Ma poi, tra gli ultimi discorsi tenuti da Benedetto XVI, non vi è anche quello in cui è ribadita la condanna dell’ermeneutica del Concilio Vaticano II che è cara, tra gli altri, anche a Marco Pannella? Aveva già annunciato la rinuncia e diceva: «C’era il Concilio dei Padri, il vero Concilio, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato quello dei media, non quello dei Padri. […] Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire. […] Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie» (Incontro con i parroci e il clero di Roma, 14.2.2013).
Questo sarebbe il Pietro di cui parla Marco Pannella? E allora che cazzo dice? Soprattutto, perché lo dice? La risposta è di una semplicità disarmante. Marco Pannella ha guidato i suoi nel più nero fallimento politico e, ora che il mugugnare di sempre è diventato un coro di critiche sempre più rumorose, tenta di tenerli buoni consolandoli: si va a morire, ma le profezie si avverano, dunque si muoia in allegria.