giovedì 18 novembre 2010

Poi si vedrà




Il golpe costituzionale caro al pensiero perbenista, che è pronto a sovvertire le regole liberaldemocratiche perché ha in uggia lo stile di vita e la facies di Berlusconi, si definisce così: decretare l’esclusione del Cav. dalle liste elettorali e arrivare al voto solo dopo che un’alleanza costituzionale, da Fini a Vendola passando per Casini e Bersani, abbia ricostruito le condizioni per l’abbattimento del tiranno e l’esclusione del suo popolo dalle urne”

Giuliano Ferrara, Il Foglio, 18.11.2010


Di tanto in tanto, fin dal 2004, qualcuno pensa che l’Elefantino cerchi di smarcarsi dal Caimano. Quella di oggi è l’ennesima smentita: fino a quando Berlusconi regge, Ferrara gli sarà legato. Poi si vedrà.


Saviano è stato vittima di se stesso


“Sono un convinto anarchista. Mi sono formato su Errico Malatesta
e Michele Bakunin. Ma il meridionalismo di matrice liberale di
Giustino Fortunato e socialista di Rocco Scotellaro e Gaetano Salvemini
è all’origine del mio pensare politico. Ho una formazione strana.
Non sopporto la sinistra corretta, non sopporto il sinistrume
alla «noi siamo i sani, gli altri i corrotti e infami».
Anche nella scrittura o nel giornalismo detesto la figura del redentore
che attraverso la sua inchiesta e il suo editoriale stigmatizza il male
e si mostra come nuovo indicatore di giustizia”

Roberto Saviano, 28.8.2006 



Sarà mica infallibile? Bene, se concedete che anche Saviano possa commettere un errore, io direi che l’ha commesso. E ho una mezza idea sul perché gli sia potuto capitare. Ma andiamo con ordine.
A Vieni via con me (Raitre, 15.11.2010) Saviano espone una teoria: la Lega interloquisce con la ’ndrangheta. Ora, nessuno nega che la ’ndrangheta abbia profondamente radicato nelle “regioni verdi” e nessuno nega che qualche malavitoso calabrese possa aver avuto qualche favore da qualche amministratore leghista, tuttavia questo è poco per dimostrare l’esistenza di un sistema che abbia un dato strutturale nell’interlocuzione, almeno per come questa sarebbe da intendersi nella suggestione offertaci da Saviano. Pensare, poi, di poter avallare la teoria di una interlocuzione strutturale tra Lega e ’ndrangheta con quella frase di Gianfranco Miglio (che è del 1999, quando già s’era consumata da tempo la rottura tra Bossi e il professore) è di una ingenuità che mi lascia senza parole, e mi fa venire il sospetto che non sia affatto ingenua.
Perché è accaduto? Seguo Saviano da prima di Gomorra, da quando scriveva recensioni per Pulp Libri, e mi è sempre stato simpatico, quindi cercherò d’essere mite nel giudizio: non è di sinistra, ma si è trovato ad avere un pubblico di sinistra al quale pensa di dover dare delle garanzie di fedeltà. E questo, duole dirlo, comporta sempre dei rischi.
Sarà il caso di citare due articoli che possono spiegare perché Saviano si sia sentito obbligato a esagerare per fidelizzare quel “sinistrume alla «noi siamo i sani, gli altri i corrotti e infami»” che stigmatizzava nel 2006.

“Il sindaco di Treviso e segretario veneto del Carroccio Giampaolo Gobbo lancia sul Gazzettino la proposta di candidare lo scrittore Roberto Saviano con la Lega alle elezioni europee, in Campania o anche in un’altra circoscrizione: «In un Paese in cui dopo 60 anni ancora si parla di camorra e di mafia, in cui in tanti hanno pagato con la vita, Saviano ha lanciato un messaggio importante»” (la Repubblica, 2.4.2009).

“Tra Vincenzo Consolo e Roberto Saviano, scrittori meridionali, siciliano di Sant’Agata di Militello il settantasettenne autore del «Sorriso dell’ignoto marinaio», campano di Napoli il trentunenne autore di «Gomorra», il rapporto è stato intenso per anni sul piano professionale come umano. […] La mina tra i due esplode il 24 dicembre scorso, quando «Panorama» pubblica un’intervista a Saviano di Pietrangelo Buttafuoco. E, subito dopo, Consolo chiede indietro la sua introduzione, già consegnata, a un cofanetto Einaudi Stile libero, in uscita tra due mesi, con il dvd dello speciale di «Che tempo che fa», un’ora e mezza con Saviano princeps, andato in onda in novembre. È solo nei giorni scorsi che la questione diventa pubblica, quando «il Giornale» la tira fuori, adducendo la reazione di Consolo a sdegno per i nomi di intellettuali di destra che Saviano nell’intervista ha citato tra le sue letture. È vero? Chiediamo a Vincenzo Consolo. «Non aggiungo una parola. Tutto è dipeso da quell’intervista...» replica. Ma poi prosegue: «Un’intervista con Pietrangelo Buttafuoco, che è un fascista, facendo l’elogio del ministro Maroni...»” (l’Unità, 29.1.2010).

A mio parere, l’altra sera, Saviano è stato vittima di se stesso. Il pubblico è una bestia, non bisogna mai accontentarlo. Come lo accontenti, non sei più tu. E sbagli.


mercoledì 17 novembre 2010

"I did not mean to imply that Christianity or Judaism were better than Islam"




Muslims often ask me why I left Islam. What strikes me is that Muslims can’t seem to understand that renouncing Islam is a choice offered to everyone and that anyone has the right to do so. They believe anyone who leaves Islam is an agent or a spy for a Western State, namely the Jewish State, and that they get paid bundles of money by the governments of these countries and their secret services. They actually don’t get that people are free to think and believe in whatever suits them.
Before we begin, I would like to emphasize that by writing this article, I did not mean to imply that Christianity or Judaism were better than Islam, and the reader should not fool himself into thinking that I only reject Islam among religions, all of which are to me a bunch of mind-blowing legends and a pile of nonsense that compete with each other in terms of stupidity.
First of all, I had to remove the sacred envelope the Charia (Islamic jurisdiction) was shrouded in, so as to question, challenge and study it with the sharp eye of a truth seeker, not that of the bearded sheikhs who proceed to a massive brainwashing of their audience, promoting Islam as a religion of peace, brotherhood, mercy, justice and equality; a religion that saved women from a sad fate and granted them a better status, in addition to applying social justice. Here is a list of the reasons that led me to apostasy:

Is Islam a religion of tolerance? Islam is an authoritarian religion that does not respect the individuals’ freedom of choice, which is easily noticeable from its barbaric verdicts such as stoning the adulterous, pushing the homosexuals off a cliff and killing the apostates for daring to express a different viewpoint. Then there is the plight of other religions’ followers in the Muslim State. Islam urges its followers to fight the infidels until they convert or agree to pay a tax known as "Jizya" per capita in total submission.The sacred texts in Islam also encourage blatant war and conquest of new territories to spread the religion of Muhammad, instead of using peaceful means to convey the message, relying only on a rational argumentative scheme; something that Islam, like any other religion for that matter, evidently lacks. It is simply a terrible insult to human values and a proof of unprecedented dementia.
Is Islam a religion of human brotherhood? I was flabbergasted when I learnt the commandments of Islam regarding the alliance and disavowal and the aberrant division of the world into believers and unbelievers, with all the outrageous provisions this implies for the "Dhimmis" and the” Jizya "!
Is Islam a religion of equality? Islam presented the Quraysh tribe as “the chosen tribe” to rule over the human race. Muhammad did not grant a single political responsibility to a person that was not from his tribe. Islam has legitimized slavery, reinforced the gap between social classes and allowed stealing from the infidels, taking women in captivity (Sabaya) during wars and sexual abuse of women slaves (Ima’a). It has severely damaged the marital relationship with the laws of dowry (Mahr) and divorce, thus transforming the institution of marriage into a common transaction.
Is Islam a religion of social justice? Some of the most outrageous principles Islam has legislated are looting and robbery as well as the exploitation of the people oppressed by the taxation system of Al-Jizya. It acknowledged the social inequality by imposing the Zakat, in accordance with the following saying: “a grateful rich man is better than a patient poor man”.
Has Islam been fair to women? A woman in Islam has less reason and faith. She interrupts the prayer, just like donkeys and black dogs and is considered to be impure during menstruation. She is only entitled to half the inheritance of a man and her testimony in the court of justice also counts for half of that of a man. Islam put her under the guardianship of her husband and predicated the approval of God on obeying her husband. A man also has the right to correct his wife by beating her and / or deserting the marital bed if she refuses to submit to his will. She has no choice when it comes to satisfying his sexual desire whenever he feels like it, with no regard whatsoever of her feelings and desires. I am not a feminist and I am not one of those who defend women passionately against the countless forms of injustice they have suffered for centuries because of religion, but I have a mother, a sister and a lover and I cannot stand for them to be humiliated and stigmatized in this bone-chilling way, because they are my dearest and I love them too much to treat them with this flawed and nauseating manner which debunks undoubtedly the claim that Islam is a religion of equality and freedom!
Islam and the human creativity All forms of artistic expressions are banned in Islam: music, singing, dancing, painting, sculpture, acting, but also literature, poetry, philosophy and the use of logic! If you find this too hard to believe, I invite you to refer to the reliable Islamic sources as well as Muhammad’s quotes to make sure I do not exaggerate and am only stating the strict truth.
Islam and Science Islam is rich in allegories, starting with the myth of the Oracle (word of God communicated to Muhammad via the angel Gabriel), all the way through the so called Night Journey and Ascension ( Al-Isra’a & Al-Me’eraj) when Muhammad supposedly ascended into heaven on the back of a fantastic animal called "Burâaq" flying at the speed of light, to finish off with the dazzling tales of miracles that no one has witnessed and no civilization has enrolled in its historical archives nor mentioned facts that could back up these allegations.
Islam is therefore based on blind faith that grows and takes over people’s minds where there is irrationality and ignorance. If this ideology had assets of persuasion by appeal to reason and logic and has tackled every aspect of the human life as we ex-Muslims have been told ever since we can remember, why would it resort to incredible wacky stories to prove its accuracy and support its ideas? Isn’t that worthy of liars and impostors? Do not forget the glaring contradictions between the sacred texts and the basic scientific truths, such as the fact that the earth is fixed and that the sky is raised above the ground and held without pillars, and that meteoroids were made for the purpose of stoning demons who spy on humans from up above.
The Scientific Miracles in the Quran We ex-Muslims all know the absurdity, the forgery and the swindling of the sheikhs who claim the existence of scientific miracles in the Quran, and I find it legitimate to ask why these people fabricate one colossal lie after another around religion. The answer is simple: only a web of lies is able to perpetuate another lie. Islam could not hold for long in front of science that reveals its myths and its undeniable weaknesses one after another, such as the assertion that the earth is flat and that two people breastfed by the same woman become biological brothers. These people protect Islam and prevent it from wearing off and perishing by desperately trying to reconcile it with science using deception and distortion. If Islam were a divine religion and a message sent from the creator of the universe, would it be the laughingstock of the scientific sphere and a target of endless criticism?
The Islamic God He is a primitive, Bedouin and anthropomorphic God who draws his characters from the human world and experiences feelings of anger, revenge, resentment, superiority, etc. The image of God that has been depicted in the Islamic sacred texts pretty much reflect the human civilizations, like the majestic throne carried by the angels, on which he slumped when he finished the process of creation, which brings to mind the ritual of the Honga-Bonga perform with their head of their tribe. Worse still, some human actions, such as homosexual sex (in which even the Honga-Bonga do not meddle), can make this magnificent throne shake. Here is a transcendent hadith that caught my attention: "Any work done by the son of Adam concerns only himself, except fasting which is mine and I give its reward." The question that torments me is this: What pleasure the Almighty God may find in all these poor people worshipping him? What good would it do him?
The prophet of Islam and the Quran Muhammad was no different than barbaric thugs who slaughtered, robbed and raped women, there are many proofs in the Sunnah, I invite you to do your homework before accusing me of lying for the sole purpose of damaging the image of the prophet of Islam. He was a sex maniac, and went around all the laws he has enacted to appease his voracious desire. He has torn humanity and imprisoned the nation with backward and outdated Bedouin laws. He accomplished no miracle that could prove his prophecy; all he had was a book showing strong similarities with the poetry of his contemporaries, full of scientific errors and philosophical dilemmas.

Conclusion I probably need to write a whole book to talk thoroughly and sufficiently about the reasons that led me to renounce Islam as a religion, but these few items listed are the most important things that intrigued me and pushed me to rethink the essence this hollow faith which, just like any other religion, a mythical ideology put at the service of politics.

Best Regards





martedì 16 novembre 2010

HD


La scelta dell’alta definizione era una “scelta obbligata” per la tv vaticana, sennò “l’immagine del Papa sarebbe gradualmente uscita dal mondo televisivo”, di qui la necessità di “un pullman per regia mobile del valore di 4,5 milioni di euro che permetterà di trasmettere le immagini del papa nel mondo in HD, già attrezzato per quelle in 3D”, così padre Federico Lombardi in conferenza stampa (Asca, 16.11.2010). Potremo seguire il Papa in massima nitidezza, riusciremo a distinguere anche il caratteristico semino di mela, che risaputamente non viene digerito.


Minaccia di agitazione nelle carceri


Non i detenuti. Nemmeno i secondini. A minacciare agitazione sono i direttori degli istituti penitenziari: il carcere è invivibile anche loro.


Son cose che si dicono


1. Ma davvero Silvio Berlusconi teme che a perdere Palazzo Chigi si ritroverebbe espropriato e in catene? Occorre rammentare ciò che Luciano Violante disse in una memorabile seduta della Camera, il 28 febbraio 2002: “L’onorevole Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, ma nel 1994, quando ci fu il cambio di governo – che non sarebbero state toccate le sue televisioni. E lo sa. Lo sa lui e l’onorevole Letta. Comunque, a parte questo, la questione è un’altra: voi ci avete accusato di regime – ripeto – nonostante noi non avessimo fatto [alcuna legge su] il conflitto di interessi, nonostante avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni [delle frequenze televisive], nonostante il fatturato di Mediaset sia aumentato di 25 volte durante il [periodo nel quale ha governato il] centrosinistra”. Con “nemici” del genere dovrebbe dormire tranquillo.
E tranquilli dovrebbero dormire i suoi “nemici” che temono un suo incattivimento da disperato: a un’altra sua vittoria elettorale non sarebbero incarcerati e torturati e forse neanche mandati al confino.  “Voglio vederlo mendicare in piazza del Duomo” (Massimo D’Alema, 1994) e “stavolta non faremo prigionieri” (Cesare Previti, 1996) son cose che si dicono, ma per lo più servono a gasare le proprie tifoserie. Quando la partita è aperta, le metafore della resa dei conti (la guerra civile, il golpe cruento, ecc.) sono usate sforzandosi di dare (più a propri tifosi che a quelli della squadra avversa) l’impressione di crederci: fra quanti conoscono bene le regole non scritte della politica italiana, chi ci crede davvero? Si dice “sangue e merda”, è vero, ma è un’altra metafora: siamo davanti a pezzetti di legno che si credono davvero Pedone, Torre, Alfiere, Re...
[Forse devo chiarire. Senza dubbio la partita è tutto – non giochi fidando su ciò che il vincitore ti concederà dopo che hai perso e, anche sapendo che le regole non scritte della politica italiana concedono al perdente condizioni a volte anche molto generose, giochi per vincere, sennò non è politica – dunque devi sforzarti di sentire il sapore del sangue e l’odore della merda (odore, non puzza, perché c’è chi lo trova gradevole). Ma le regole non scritte ti consentono di sentirti garantito fino a un certo punto: tanto garantito da consentirti di pensare di potere osare fino al limite oltre il quale prende il via l’ingovernabile escalation. E a volte il limite è oltrepassato, è vero, ma che abbiamo avuto di cruento in Italia dal 1945 in qua? Tutti i morti della stagione di Mani Pulite non superano quelli sulle strade in tre week end. E dunque vediamo se mi sono chiarito: intendevo dire che si vince e si perde molto, ma mai tutto, e soprattutto non è in gioco la vita. Eventualmente la sua qualità. E questo vale per i giocatori e per i tifosi, è vero, ma soprattutto per i tifosi.]
Il gioco può farsi più umano prendendo coscienza di questo doppio piano in cui “tutto” vuol dire solo “molto”? Per esempio, Angelo Mellone scrive che, “quando si comincia a ritirar fuori, per parlare della nostra condizione politica presente, date cruciali tipo il 25 aprile, il 25 luglio o l’8 settembre, mischiando il grano della tragedia con il loglio di schermaglie dove per fortuna i morti e i feriti sono simulazioni giornalistiche, succede che arriva la confusione” (Il Foglio, 16.11.2010): ha ragione? Senza dubbio, ma è confusione sentita necessaria non solo dai supposti partigiani, ma anche dai supposti repubblichini, che la riprendono e la rilanciano: non è il giornale sul quale scrive che ha parlato della caduta del Cav. come di un 25 luglio?


2. Ma davvero i “nemici” di Berlusconi temono un suo terribile colpo di coda? Davvero pensano che Berlusconi tema di finire appeso a Piazzale Loreto? Tutt’al più ad Antigua, a scoprire finalmente un vero amore per l’Italia. Che è “molto”, ma non “tutto”. Ciò che rende spietati i repubblichini è sapere che per loro è in gioco “tutto”, ma a Salò c’erano solo i fascisti fessi ed esagitati (non a caso era fascismo cosiddetto sociale), che non sapevano che in Italia arriva sempre un’amnistia. Qui una peristalsi sta per rivoluzione, un borborigma è già un tumulto, la purga non è mai radicale: si affrontano i mal di pancia come vittime della storia e l’uscita dalla vita politica a 74 anni viene sentito drammatico come un licenziamento a 45 anni. La stabilità sociale si fonda su una instabilità equamente sostenibile, a prezzo di non buttare via mai niente.
[Forse è il caso di chiarire. In questo continuo rimescolamento di trionfi e batoste, e di pianti e sberleffi, tutto rimane e non cambia mai niente. Il sistema è soggetto a bradisismo, non a terremoto: emerge qui, affonda lì, ma la superficie sulla quale si consumano le guerre civili è sempre lo stessa e su di essa sono radicati i caratteri nazionali, umori e posture che si addensano in fazioni. Ora, “si fa ancora l’errore di considerare il berlusconismo un fatto politico o solo politico, [...] quando invece è un fenomeno sociale, televisivo, calcistico, imprenditoriale, simbolico, radicato nell’immaginario italiano a partire dagli anni Ottanta. [...] La sua componente politica è solo una faccia e, forse, non quella principale. Il Cav. interpreta e trasfigura una tipologia di italiano, una variante diffusa di arcitalianità che nessun ipotetico verdetto elettorale può certo cancellare nello spazio di qualche mese”. E non si può dare torto a Mellone.]
E allora vogliamo spiegarlo bene a Berlusconi che un Violante si trova sempre? Mantieni la calma, Silvio, non osare oltre il limite, evita l’ingovernabile escalation e, come consiglia Giuliano Ferrara, “niente schiamazzi”: si è detto 25 luglio, non Piazzale Loreto, e dopo il 25 luglio c’è ancora un bel pezzo di avventura. E dunque tradimento è parola grossa, anzi “parola losca”: meglio evitarla, può evocare un carattere italiano.

Sentiti Fini e Bersani...



... sarei più di destra che di sinistra.


Corrispondenze

Caro Luigi,
volevo sottoporti una piccola riflessione, vedi tu se può andare per «Scrivi, Malvino ti risponde», in ogni caso tengo particolarmente a una tua risposta. Abbi pazienza per la lunga introduzione, poi arriviamo al problema.
Come sai, sono impegnato nella stesura di un volume sul cinema italiano post-neorealismo che, anche se è post- come dice il titolo stesso, deve continuamente riandare al concetto stesso di neorealismo, definirlo in positivo e in negativo, monitorare le differenziazioni all’interno del neorealismo stesso, comprenderne le logiche interne, riperiodizzare la storia del cinema italiano etc. Ci vorrebbero migliaia di pagine per elencare le interpretazioni date al neorealismo: movimento, scuola, attitudine morale, esperienza del reale, ricontestualizzazione di miti etc. Come sai, una delle posizioni più interessanti e di moda nell’ambiente accademico - anche perché consente di evitare elegantemente alcuni aspetti del problema - è quello di rifarsi a Deleuze e al suo considerare il neorealismo nel quadro della storia dell’immagine.
La teoria di Deleuze, espressa nei volumi Cinema I e II, nei quali costruisce una complessa tassonomia degli autori inquadrando la sua teoria da Bergson e Pearce, è nota: nel passaggio da immagine-movimento hollywoodiana, fatta di azione-reazione, nessi logici e concatenazioni oggettive di vario tipo (pensiamo alle scene di inseguimento), il neorealismo è rivoluzionario in quanto istituisce l’immagine-tempo, fatta di divagazioni, reazioni mancate, allucinazioni, vagabondaggi senza meta, scomparse immotivate, attese continue - fino alla famosa definizione degli spazi qualunque, gli any-spaces-whatever della traduzione inglese che lo rendono cinema del veggente più che dell’attante. Il neorealismo rompe lo «schema senso-motorio», che Deleuze mutua da Piaget. Citando da Deleuze: “Il neorealismo si definisce quindi per questa crescita di situazioni puramente ottiche (e sonore, benché ai suoi inizi non esistesse il suono sincrono), che si distinguono sostanzialmente dalle situazioni senso-motorie dell’immagine-azione del vecchio realismo. Lo spettatore si è sempre trovato di fronte a «descrizioni», a immagini-sonore, a immagini-ottiche e sonore, ma il problema era che il personaggio reagiva alle situazioni e lo spettatore identificandosi con questi, percepiva un immagine senso-motoria. […] [Il personaggio] ha un bel muoversi, correre, agitarsi, la situazione nella quale si trova supera da ogni parte le sue capacità motorie e gli fa vedere e sentire quel che non può più essere teoricamente giustificato da una risposta o da un’azione. Più che reagire, il personaggio registra, più che essere impegnato in un’azione, è consegnato a una visione, che insegue o da cui è inseguito”. Oppure, ricordando Rocco e i suoi fratelli e in particolare la scena iniziale della stazione, Deleuze insiste sul fatto che i personaggi siano costretti a reagire allo spazio entro il quale sono sistemati, perché gli spazi dell’inquadratura assumono un significato indipendente. Tornando al punto di prima, Deleuze fornisce l’assist a chi scrive di neorealismo dicendo che anche Fellini, Antonioni e Visconti sono neorealisti, in quanto perfezionano lo stesso tipo di immagine-tempo: ciò consente a chi vuole definire il neorealismo di scavalcare stilemi, accorgimenti formali, incrostazioni marxiste etc. e indagare semplicemente l’evoluzione dell’immagine, che straborda e non riesce più a contenere la realtà circostante.
Deleuze esamina abbondantemente Rossellini come inventore di questo tipo di immagine-tempo, Rossellini che educa alla pazienza e alla «pedagogia dell’attesa» (Luisetti, 2007). In particolare, in Europa ’51 la tragedia della morte del figlio cambia radicalmente Ingrid Bergman, che nel film impara a vedere abbandonando “la funzione pratica di una padrona di casa capace di mettere in ordine esseri e cose, per passare attraverso tutti gli stadi di una visione interiore, afflizione, compassione, amore, felicità, accettazione, perfino nell’ospedale psichiatrico dove la si rinchiude al termine di un nuovo processo alla Giovanna D’Arco”. Poi, riguardo a Stromboli, Rossellini dirà: “Ogni soluzione nasce dall’attesa. È l’attesa che fa vivere, l’attesa che scatena la realtà, l’attesa che - dopo la preparazione - dà la liberazione. Prenda ad esempio l’episodio della tonnara, in Stromboli. È un episodio che nasce dall’attesa. Si viene creando, nello spettatore, una curiosità per ciò che dovrà succedere: poi è l’esplosione della mattanza dei tonni. L’attesa è la forza di ogni avvenimento della nostra vita: e così anche per il cinema”. La speculazione di Deleuze sembra abbastanza persuasiva, arrivando sino al Fellini di come immagine-cristallo, nella quale convivono zone di indiscernibilità, tempi stratificati, personaggi scissi, campi in cortocircuito.
Veniamo ora al problema. Deleuze chiama questo tipo di cinema come il cinema che abbandona lo «schema senso-motorio» hollywoodiano, la narrazione organica, i prolungamenti motori, il riordino delle parti, la fine dei film come risoluzione. Nella tipica maniera degli accademici, tra cui sono anch’io, come già fu il nefasto proliferare di saggi sulla fase specchio di Lacan, questo ha anche dato luogo a una serie di articoli più o meno interessanti che teorizzano che la frequente presenza di bambini nel cinema neorealista sia proprio la spia di questo cambiamento degli schemi senso-motori, per la quale la difficile situazione post-bellica, in cui tutto si deve riscrivere, passa per la presenza rigenerante dell’infanzia (vedi anche il Romoletto di Roma città aperta, che ricontestualizza il mito romanico dei fascisti - da mito tecnicizzato a mito genuino, secondo Kerenyi - come mito che rifonda la Roma non più fascista). In breve: l’incertezza/sviluppo incompleto nei bambini di questi fantomatici schemi senso-motori confermerebbe la teoria di Deleuze, dato che sono così presenti nel cinema neorealista.
Ora, io ti chiedo: da medico e da esperto di questi temi, nonostante l’edificio concettuale di Deleuze sia persuasivo in tanti aspetti e Cinema I e II siano indubbiamente libri importantissimi, non ti sembra una forzatura questa degli «schemi senso-motori» (per cui Deleuze è già stato attaccato, per esempio da Guido Marenco, il quale dice che in Piaget tali schemi sono oggettivi, quindi da rompere c’è poco)? Una cosa di un filosofo elegante che non ha mai fatto un corso di fisica e fisiologia del corpo umano? Senza andare a frescacce antiche come le monadi leibniziane o più giù ancora verso i cieli aristotelici, non ti sembra l’ennesima invasione di campo di un filosofo che anziché stare nel suo vuole pure riscrivere il Dna? Vorrei sapere cosa ne pensi.
Scusa ancora per la lunga lettera ma certi passaggi sono fondamentali, e anzi avrò di certo lasciato fuori qualcosa.



***


Pensavo che il nostro carteggio dovesse rimanesse privato, caro ***, e perciò non ho postato i passati scambi di opinione. Il lettore che se li è persi e arriva solo qui a metterci naso si farà delle idee sbagliate e dunque sarà il caso di chiarire – in breve – a cosa ti possano essere servite fin qui le mie personalissime impressioni su De Sica, Pasolini, Visconti, ecc., sennò il lettore penserà che sei pazzo a chiederle a me. (Anche per questo ti lascio nell’anonimato.)
Una di queste volte – correggimi se ricordo male – hai detto che a un accademico come te potevano tornare utili delle chiavi di lettura di un impreparato. Bene, non ne ho le prove, ma io credo che Gilles Deleuze si sia trovato ad essere interpellato sul cinema in virtù di una analoga impreparazione, finendo per trovarvisi invischiato, e fino al punto da prendersi tanto sul serio da farsi prendere sul serio. Penso che accadde dopo il suo libro su Bacon (La logica della sensazione, 1981) che infatti è pieno di quelle suggestioni che andranno a maturare in Cinema I e II: fu lì che qualcuno (Herve Guibert) ebbe l’idea di interpellarlo sulle relazioni tra l’ecran e le cerveau, e da lì noi stiamo pigliando l’argomento, secondo me superfetando sullo stesso errore. Mi spiego. Un filosofo (Deleuze) potrà eventualmente fornire a un fotografo (Guibert) dei modelli che questi potrà eventualmente ritenere interessanti come chiavi di lettura dell’immagine rappresentata su una pellicola, ma la cosa sarà sempre invasione di campo di uno che non vuol stare nel suo: il suo germinerà in quel campo, ma non sempre con esito felice. È questo – penso – il caso degli schemi senso-motori che ha il suo embrione in Portrait du philosophe en spectateur (conversazione con Guibert – Le Monde, 6.10.1983 [la trovi in Divenire molteplice, Ed. Ombre corte 1996]) e, oplà, Cinema 1 è fatto. Ora, a ben vedere, tu mi chiedi un modello di lettura medico (suppongo neurofisiologico) che smentisca l’ipotesi di Deleuze sulla “frequente presenza di bambini nel cinema neorealista [come] spia di [un] cambiamento degli schemi senso-motori”. Capisci perché penso che tu stia superfetando sullo stesso errore che ipotizzi nel fondo della questione posta? Cosciente del pericolo? Bene, non sum dignus e passo a dirti la mia.
Quando Rossellini riempiva di bambini le sue scene, l’infanzia non era un simbolo, ma una presenza, ineludibile nel carotaggio sociologico e psicologico del contesto sullo sfondo: i bambini erano dovunque, in Italia, e ancora non si erano ricavati la nicchia che si andrà formando da Marcellino pane e vino (Ladislao Vajda, 1955). Non così a Hollywood, e qui non c’è bisogno che ti stenda l’elenco. Tutto qui, niente di più.
(A parte, Deleuze usa strumenti affascinanti, ma niente di più.) 


lunedì 15 novembre 2010

[...]




Cioè, uno sì



[Dal palco di Bastia Umbra, il 6 novembre, Enzo Raisi rammentava il “fango mediatico” caduto nel corso dell’estate addosso a Gianfranco Fini, alla sua famiglia e ai finiani; e rivelava: “Alle volte, scherzando coi colleghi, dicevamo: «A te ancora non ti hanno toccato, vuol dire che non conti nulla»”. Era modestia e la modestia va premiata: avrei per lui uno schizzetto di fango.]

Neanche chi continua a nutrire dubbi sulla genuinità dell’antiberlusconismo dei finiani può negare loro il merito di aver denunciato con pienezza di argomento il culto della personalità che fa del Pdl lo specchio delle brame di Berlusconi, e di averlo fatto ben prima del definitivo strappo. Sarà poco, ma è onesto convenire su un dato di fatto: scorrendo la lista dei deputati e dei senatori che hanno lasciato il Pdl per seguire Fini, non se ne trova uno che abbia mai troppo esagerato in prove di fanatica devozione alla persona di Berlusconi. Cioè, uno sì, ma uno solo: Enzo Raisi. Che cazzo ci faceva, Enzo Raisi, almeno fino al 22 aprile, nella lista dei “rappresentanti istituzionali aderenti al Comitato per la candidatura di Silvio Berlusconi al Premio Nobel per la Pace 2010”? Davvero lo riteneva degno di un così alto riconoscimento? Se sì, come ha potuto abbandonarlo? Se no, perché ha firmato?


Definitivo: il global warming è una bufala.



Definitivo: il global warming è una bufala. La prova – inoppugnabile – dall’Illinois:
“Representative John Shimkus insists we shouldn’t concerned about the planet being destroyed because God promised Noah it wouldn’t happen again after the great flood. Speaking before a House Energy Subcommittee on Energy and Environment hearing in March, 2009, Shimkus quoted Chapter 8, Verse 22 of the Book of Genesis. He said: «As long as the earth endures, seed time and harvest, cold and heat, summer and winter, day and night, will never cease». The Illinois Republican continued: «I believe that is the infallible word of God, and that’s the way it is going to be for his creation. The earth will end only when God declares its time to be over. Man will not destroy this earth. This earth will not be destroyed by a flood»” (Daily Mail, 10.11.2010).
Diamo tempo a Il Foglio di intervistare Shimkus e avremo i dettagli.

domenica 14 novembre 2010

Barbarismi


Pare che Ginevra Elkann avesse posto una condizione all’intervista (“aveva pregato la conduttrice di non fare alcun riferimento a sua madre Margherita Agnelli sull’azione legale circa l’eredità”) e che Daria Bignardi abbia prima accettato e poi violato il patto (“non ha resistito e verso la fine dell’intervista ci ha provato”), così rivela Enrico Arosio per L’espresso (46/LVI – pag. 26).
Era legittimo porre quella condizione? Penso lo fosse. Penso che l’intervistato possa porre tutte le condizioni che vuole, spetta all’intervistatore decidere se l’intervista abbia ancora un senso, nel caso le accetti. Una volta accettate queste condizioni, è legittimo che violi il patto? Non penso. Penso che sia una grave scorrettezza, qui tanto più grave se si tiene conto che l’intervista era in diretta televisiva. Forse è esagerato parlare di agguato, ma neanche troppo.
La Elkann avrebbe potuto lamentarsene al momento, forse sarebbe stato meglio, ma chi può rimproverarle di averlo fatto solo il giorno dopo? “Lo ha raccontato con una punta di indignazione alla serata Gucci sulla terrazza dell’Hilton a Roma il 30 ottobre” e ciascuno ha il diritto di lamentarsi dove, come e quando gli pare. Resta da considerare il comportamento della Bignardi.
La settimana prima, il 22 ottobre, aveva intervistato Ignazio La Russa. Avrebbe potuto chiedergli per quali meriti il figlio siede da luglio nel Consiglio direttivo dell’Aci, ma non gliel’ha chiesto. Ho pensato fosse ingenuo stupirsene e ho insinuato (qui) che l’intervista fosse stata concessa a condizione di tacere su quel punto. Sbagliavo, perché la Bignardi non si sarebbe fatta scrupolo di violare l’accordo. È evidente che nemmeno fosse a conoscenza delle accuse di nepotismo mosse nelle ultime settimane al signor ministro, ma non ha a disposizione un’attrezzatissima redazione? Oppure che pensasse fossero tanto infondate da non essere neppure degne di un commento da parte dell’interessato, e qui sarebbe interessante sapere perché.


Corrispondenze


In risposta a M.R. che mi chiede ragione
del mio silenzio sulle persecuzioni che i cristiani
subiscono in molte parti del mondo.


I cristiani sono perseguitati in alcuni paesi, per lo più dalle popolazioni indigene di altra fede (islamica, indù, animista) o dagli apparati repressivi di regimi dittatoriali (Cina, Vietnam, Corea del Nord). Di fronte alla persecuzione religiosa esistono di massima tre opzioni per il perseguitato: convertirsi alla fede dei persecutori (per finta o per davvero); fuggire in un paese tollerante e ospitale; restare dove si è, disposti al martirio. L’attuale posizione della Chiesa al riguardo può sintetizzarsi in alcuni recenti interventi di Benedetto XVI.
In generale, “il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo […] Il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere, del mondo; una persona libera, che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. In una parola, il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio” (1). Certo, il martirio non è un obbligo, e “molti dei vostri amici cristiani sono emigrati, nella speranza di trovare altrove maggiore sicurezza e migliori prospettive”, voi però “abbiate il coraggio di essere fedeli a Cristo e di rimanere qui” (2).
Così, ai cattolici che vivono in paesi nei quali non sono perseguitati non è richiesto il martirio, ma Gesù ci domanda la fedeltà nelle piccole cose, il raccoglimento interiore, la partecipazione interiore, la nostra fede e lo sforzo di mantenere presente questo tesoro nella vita di ogni giorno” (3). Altro discorso per i cattolici che vivono in paesi nei quali per la loro fede sono a rischio di essere uccisi: “Siano dei testimoni consapevoli che testimoniare la verità può portare ad essere perseguitati” (4), accettino il rischio, non cerchino di salvare la pelle fuggendo o rinunciando a dar segno della loro fede.
Bene, gentile M.R., a chi dovrei venire in soccorso con la mia solidarietà? Difendendolo da chi?




 

venerdì 12 novembre 2010

Arvo Pärt, Fratres, 1992




Le guerre civili


“Io non ho creato il fascismo:
l’ho tratto dall’inconscio degli italiani
 
 
È evidente che almeno il finale de Il caimano gli sia piaciuto molto, perché da Seul ci fa sapere: “Se vogliono sovvertire il voto popolare, sono disposto a portare la gente in piazza, a costo – è l’iperbole che usa nel suo ragionamento – di arrivare alla guerra civile” (il Giornale, 12.11.2010). Nanni Moretti immaginava che alla guerra civile si arrivasse dopo una condanna penale, ma si sa che i giacobini sono sognatori e che le toghe rosse sono mezze seghe. Anche stavolta pare che a farlo cadere possa essere solo un suo alleato: nel 1994 se ne incaricò Bossi, oggi pare tocchi a Fini. Ma poi non ha importanza chi, piuttosto perché.
Nel 2006 gli italiani furono chiamati alle urne per esprimere un parere su quella revisione della Costituzione voluta dalla maggioranza di centrodestra che avrebbe affidato maggiori poteri al Presidente del Consiglio (scioglimento delle Camere, revoca di ministri, ecc.), per adeguarne il profilo formale a quanto materialmente gli era dovuto dall’essere eletto in modo pressoché diretto, grazie a un maggioritario che aveva esaltato al massimo il ruolo del leader della coalizione vincente. Non era necessario il quorum, ma votò più del 50% degli aventi diritto e la proposta di un premeriato (anche solo un po’ più) forte fu bocciata, con il 61,32% di no.
La stella di Silvio Berlusconi è cominciata a calare da quel punto, quando gli è venuto meno il consenso che gli sarebbe stato necessario per neutralizzare quanto nella Costituzione sta ad impedire che una democrazia parlamentare prenda una deriva autoritaria e populista, e la straordinaria vittoria elettorale che conseguì nel 2008 lo ha fatto impazzire del tutto, accelerandone la caduta. Come si spiega che gli italiani sono disposti a darmi tanto sul piano materiale – devessersi chiesto –  e niente su quello formale? Io sono come loro e loro desiderano essere me – devessersi risposto – ma fanno ancora qualche resistenza ad ammetterlo. Da quel punto in poi ha sbagliato tutto, perché si è convinto che bastasse insistere col mettere in drammatica evidenza la contraddizione tra regola scritta e forza del consenso. E pare essere ancora convinto che questa sia la sola via che ha a disposizione: tutto o niente, costi quel che costi, anche la guerra civile.

Ma ci vuole una faccia


Il Tempio di Venere riapre al pubblico dopo un restauro durato 26 anni e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali non manca di darvi un gran rilievo, con levidente secondo fine di smorzare le polemiche intorno al crollo della Domus Gladatoria di Pompei: dopo aver sentito Sandro Bondi discolparsi di un disastro che nessuno dei suoi predecessori ha provveduto ad impedire (10 novembre), lo sentiamo prendersi il merito di un restauro voluto 26 anni fa (11 novembre).


I soliti vecchi trucchetti


Mattia Ferraresi ci aveva già parlato dell’opera prima di Tom Rachman (Gli imperfezionisti – Il Saggiatore, 2010), sempre su Il Foglio, lo scorso 19 giugno, però lì non ammiccava affatto a quelle che ieri ci offriva come sorprendenti analogie tra il giornale descritto nel libro, The Paper, “quotidiano internazionale che viene prodotto a Roma”, e quello per il quale scrive in qualità di corrispondente da Washington. Dev’essere capitato che Giuliano Ferrara le abbia intuite nel passo in cui The Paper era descritto come “regno dell’approssimazione, dove l’arte della verità non se ne sta sospesa in un iperuranio senza legami, ma galleggia come può nella corrente delle passioni umane”. Poco importa che, interpellato sul punto, Rachman neghi d’essersi ispirato a Il Foglio (“The Paper è un prodotto della mia immaginazione”), perché il titolo del pezzo di ieri era Noi, gli imperfezionisti, dove – a piacere – il noi può significare tutto: “noi de Il Foglio”, ma anche “noi giornalisti”, perfino “noi tutti(“esseri umani imperfetti come tutti gli altri”). Il sofisma sta nel diluire la disonestà di alcuni nell’ampio spettro morale che va dall’assoluta onestà all’assoluta disonestà. Chi può dirsi assolutamente onesto? Siamo tutti un po’ disonesti, e che facciamo, condanniamo tutti? Stiamo lì a millesimare chi lo sia un tot in più o in meno? E dove poniamo il limite? Non sarebbe posto comunque arbitrariamente? Tutti assolti, via. Se proprio vogliamo condannare qualcuno, condanniamo chi si dichiara onesto: a ben vedere, è l’unico vero disonesto.

giovedì 11 novembre 2010

Il tempo è immobile





Postilla Da notare che il Fini del 1992 vuole la elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Repubblica, ma non del Presidente del Consiglio.

Code


Giorni fa, litigando con Jimmomo, gli ho mosso un insulto che mi aspettavo lo irritasse molto, e invece niente: gli ho detto che argomentava con “rozzezza polemica”. L’avesse detto a me, sarei andato a Roma, l’avrei aspettato sotto casa e l’avrei sfregiato col vetriolo: lui, niente. Ci sono rimasto malissimo, perché ero sicuro che “rozzo” fosse peggio che “stronzo”: quando polemizzi in modo stronzo, ti rimane sempre modo di poter abbellire l’argomento, e l’argomento rimane disonesto, ma può avere un qualche interesse, almeno di natura estetica; quando lo fai in modo rozzo, l’argomento non è solo disonesto, ma è pure sciatto e brutto. Insomma, con “rozzezza polemica” mi aspettavo che Jimmomo mi s’imbestialisse. Ripeto: zero.
Ora accade un fatto nuovo che mi consente di tornare sul punto, ma prima di spiegare la faccenda, voglio precisare che ho piena percezione del ridicolo al quale mi espongo nel traslare ai massimi sistemi una buffa lite tra due cosi di nome Jimmomo e Malvino: sembra roba da cartone animato, lo concedo, ma non v’è mai capitato di trovarvi di fronte ai massimi sistemi in uno scambio di battute tra Silvestro e Titti, Orazio e Clarabella, Ginko e Altea? Quindi fate i buoni e sorvolate sul fatto che la questione fosse posta in risibile contesto: concentratevi sui principi in oggetto.

“A Cucchi neanche l’avvocato – avevo scritto – e a Ruby addirittura l’igienista dentale”. Jimmomo obiettava: “Nel caso di Cucchi è stata violata la legge, nel caso di Ruby no (e a dirlo è Bruti Liberati)”. Ora, a parte il fatto che la legge si viola non solo negando un diritto a X ma anche eccedendo nel concederlo nel modo e nella forma del privilegio a Y, c’è da dire – e lo dicevo – che Bruti Liberati si limitava a escludere violazioni di legge nell’affidare la minore alla Minetti, ma non si era espresso – non volesse, non potesse o non dovesse – su una telefonata partita dalla Presidenza del Consiglio e da ritenersi abuso potere nel suo intento di coartare il parere autonomo e indipendente del magistrato chiamato a disporre nel caso. In pratica, Bruti Liberati non si era espresso negando l’abuso di potere, ma così Jimmomo gli voleva far dire. Rozzo, molto rozzo.
Bene, il fatto nuovo è che il sostituto procuratore dei minori del caso in oggetto, la dottoressa Annamaria Fiorillo, smentisce di aver mai disposto quanto – almeno secondo Bruti Liberati – sarebbe stato eventualmente lecito: non avrebbe mai dato l’ok all’affidamento di Ruby all’igienista dentale del premier. (Uso il condizionale con schietto intento ironico: chi meglio della dottoressa Fiorillo può sapere che cosa ha disposto?)
Saremmo di fronte a un altro illecito, oltre l’abuso di potere: la sospensione del legittimo potere del magistrato nel decidere a chi affidare la minore. E pare che avesse disposto per l’affidamento ad una delle cinque strutture zonali adibite allo scopo. E pare che tutte e cinque quella sera avessero disponibilità di almeno un posto. Ma la notizia non arriva a Jimmomo o, se gli arriva, non la ritiene degna di commento: oggi si diletta in retroscena di Palazzo e in macroeconomia.

Si potrebbe anche chiudere un occhio sull’uso strumentale che Jimmomo faceva delle parziali e infondate affermazioni di Bruti Liberati (Libero e il Giornale ne hanno fatto un uso simile), ma uno qui si aspetterebbe due paroline di commento alle dichiarazioni della dottoressa Fiorillo, almeno, chessò, un “c’è contraddizione col tombale giudizio di Bruti Liberati”: lui, niente. Una grande tristezza. 


Postilla Dimenticavo di citare Capezzone: lo cito sempre quando parlo di Jimmomo (me lo ha fatto notare lui) e non voglio venir meno all’abitudine. Ieri sera, al tg4 di Emilio Fede, il povero Daniele era più cupo del solito: le agenzie battevano la notizia della raccolta di firme alla quale Bersani aveva dato il via in Parlamento per una mozione di sfiducia del governo. Procedura lecita? Carta alla mano, senza dubbio. Ma per il referente politico di Jimmomo si trattava di mezzo golpe. Stronzaggine o rozzezza?



mercoledì 10 novembre 2010

Senza titolo



 
Formamentis, Alterlucas, Gregorj ded.

Sono depresso, trovo insignificante scrivere, faccio fatica a leggere i giornali, non guardo la tv, non vado al cinema, ho provato a strimpellare un poco al piano e a preparare intingoli, ma senza giovamento, e ho messo pure dei sacchetti di lavanda qui e lì, dicono che la lavanda tiri su: niente, sto giù, riesco a sbrigare solo gli affari correnti, i doveri perché sono doveri, e poc’altro. Passo il tempo che rimane a contemplare il niente, senza aver nulla da ridirne, tanto meno da scriverne, e per chi è sempre stato grafomane – sempre, anche nei momenti più brutti – è davvero strano, perché mi capita per la prima volta: è la prima volta che la depressione – se così posso chiamarla – mi deprime la scrittura.
Mai stato così, devo dire. È sempre stata la scrittura a tirarmi fuori da momenti come questi, è sempre stato un film o uno spartito di Clementi a farmi passare tutto, adesso no.

Ma forse depressione è termine improprio, perché non avverto alcun sintomo psichico o organico di quelli che fanno da corteo a ciò che comunemente è detta depressione. Diciamo che si tratta di qualcosa che tocca ciò che Jung chiamava animus: ho in animo la comprensione dell’inutilità del tutto, della totale mancanza di un senso nelle cose, nei fatti e soprattutto nelle persone: avverto l’annichilente insulsaggine del tutto, né io mi salvo, anzi sto al centro di questa apocalisse. Un angelo (anche qui valga quanto in Jung) mi ha dato da mangiare pagine di un libricino allucinogeno e rimango – termine improprio, dicevamo – depresso. Tutto mi appare insulso e inutile, e non posso farci niente.
Questa volta non riuscirò a salvare il mondo dalla catastrofe finale, e mi spiace, ma devo dire: solo fino a un certo punto.