Sono in tanti gli italiani a pensare sia legittimo che in Italia un musulmano possa liberamente professare il proprio credo, ma nello stesso a ritenere che le autorità preposte alla sicurezza nazionale abbiano pieno diritto di espellere un imam le cui prediche possano metterla a rischio. Costoro non dovrebbero faticare troppo a capire le ragioni delle autorità cinesi, che già da qualche tempo hanno concesso ai cattolici la pressoché piena libertà di culto, ma pretendono che i vescovi siano di loro gradimento, a garanzia che la loro predicazione non metta in discussione le prerogative delle Stato.
Il paragone sembrerà asimmetrico, comprendo, ma solo se si dà per scontato che le autorità cinesi siano tenute ad avere un’idea di sicurezza nazionale uguale a quella che hanno quelle italiane, il che non è, né si può pretendere, data l’elasticità di un concetto come quello di Stato laico, in Italia tanto lasco da non consentirci più neppure di avvertire come ingerenze clericali quelle che in Cina sarebbero considerate istigazioni alla sovversione. È che, a consentire anche in minima misura che la religione non resti cosa tutta privata, e possa avere quella rilevanza pubblica che essa immancabilmente pretende, la laicità diventa giocoforza principio estremamente duttile, e necessariamente si adatta alle misure che lo Stato si dà come opportune per metter freno all’irriducibile tentazione che ogni religione manifesta a eroderne le legittime prerogative. Quel che voglio dire è che, se si tiene conto dell’asimmetria di contesto tra Italia e Cina, il paragone ha la sua bella simmetria, tutt’è a saper vedere l’elemento che è in comune a un imam che nel chiuso di una moschea esorti a violare le leggi dello Stato che lo ospita e a un vescovo che dal suo pulpito, ma pure dalle pagine dei maggiori quotidiani nazionali, e dagli schermi di tutte le emittenti televisive, a giorni alterni tuoni contro questa o quella decisione del Parlamento, ponga veti a questa o quella scelta del Governo, scagli strali a questa o quella sentenza della Magistratura: un vescovo che facesse tutto questo in Cina non equivarrebbe ad un imam che in Italia pretendesse la sharia?
Regge ancor meglio, il paragone, a considerare che il vescovo è inserito in una struttura gerarchica che lo rende a pieno titolo esponente qualificato di una confessione religiosa, espressione di un mandato che lo fa pastore di un gregge che gli deve obbedienza come fattore imprenscindibile del credo, mentre invece l’imam raccoglie il credito che riesce a trovare, e trovarne tanto o poco non toglie e non aggiunge nulla al fatto che la sua rimane una personale lettura del Corano, che un altro imam può addirittura ritenere erronea. In altri termini, impacchettare un imam, metterlo su un aereo e rispedirlo da dove è venuto non è fare offesa ad Allah, a Maometto e a tutti i musulmani, mentre dire a un vescovo «Eccelle’, e mò ci hai rotto er cazzo» equivale pressappoco a ricrocifiggere Cristo.
Ecco perché, sebbene a nessun cattolico cinese sia oggi fatto divieto di professare la propria fede, di dichiararla apertamente, di andare a messa, di battezzare i propri figli, eccetera, la Chiesa di Roma sente comunque che in Cina sia violata la libertà di culto per il solo limite di non poter nominare vescovi che eventualmente possano risultare sgraditi alle autorità cinesi. Questo spiega perché in Cina ci siano due Chiese cattoliche che in nulla differiscono sul piano teologico e su quello dottrinario, ma che hanno inconciliabile momento di distinguo su una questione canonistica, che poi, nel fondo, è ecclesiologica: una, la più consistente sul piano numerico, accetta le condizioni poste dalle autorità cinesi e in cambio ne riceve il titolo di Chiesa cattolica ufficiale, mentre l’altra si considera perseguitata solo perché al Papa non si concede di poter scegliere i vescovi che vuole, e per vezzo si dice clandestina, anche se in realtà è da tempo che vive alla luce del sole e i suoi vescovi, graditi a Roma e sgraditi alle autorità cinesi, non sono neanche più fatti oggetto di restrizioni come fu in un passato neanche troppo lontano.
Situazione insostenibile, capirete. E la Chiesa di Roma, infatti, non riesce più a sostenerla, perché lasciarla così com’è significherebbe di fatto creare le condizioni per una Chiesa autonoma da Roma, in tutto cattolica, tranne che quel tratto che l’apparenterebbe all’anglicanesimo, con un clero incardinato nella struttura dello Stato piuttosto che nella piramide gerarchica cui in cima siede il Papa. Con una crescita demografica che non accenna a mostrare battute d’arresto, ogni spiraglio dato alla libertà di professare una fede metterebbe in condizioni estremamente favorevoli la Chiesa cattolica ufficiale, che ne godrebbe enormemente nella competizione proselitaria: sarebbero poste le premesse per uno scisma, tremenda sciagura, alla quale è necessario mettere da subito riparo, fosse pure accettando qualche compromesso, che tuttavia non può mostrare segni di cedimento su una questione che è di principio, e di sommo principio.
È evidente che in gioco debba esser messo il meglio del meglio di quella bimillenaria ipocrisia di cui la Chiesa è stata ed è insuperabile maestra, e l’intervista che monsignor Giuseppe Wei Jingyi ha concesso a Vatican Insider per la firma di Gianni Valente è un saggio eccelso di quest’arte, sicché vale la pena di una lettura non superficiale.
Sua Eccellenza «è un esponente noto dell’area ecclesiale cinese cosiddetta clandestina» ed è chiamato a esprimere un parere sull’apertura di una linea di dialogo tra Pechino e Santa Sede di cui si è fatto promotore il cardinale John Tong, altrettanto noto esponente dell’area ecclesiale cinese cosiddetta ufficiale, ed è chiaro che a chiunque tornerebbe estremamente arduo conciliare la superiore esigenza di trovare una soluzione accettabile con le difficoltà poste dalle posizioni di partenza, apparentemente irriducibili. Nondimeno Sua Eccellenza ha dalla sua una formidabile risorsa: qualsiasi cosa il Papa deciderà al riguardo sarà senza dubbio il meglio, dunque nel dire ciò che pensa gli basta far presente che il Papa non potrà mai decidersi ad una soluzione che svenda il senso di tante sofferenze subite da lui e dal suo gregge, fedeli in tutto a Roma, a differenza di quel mezzo eretico d’un Tong, da sempre pappa e ciccia col regime di Pechino. Suppongo sia chiaro il filo sul quale Wei è chiamato a mostrare le sue doti di equilibrista e, vedrete, vi strapperà l’applauso.
È che l’ipocrisia di un chierico, quando il chierico è di pregio, ha una grazia e una naturalezza che l’ipocrisia di un laico non potrà mai aspirare neppure ad eguagliare.
Come vescovo cinese, cosa l’ha colpita maggiormente nell’intervento del cardinale John Tong sui possibili sviluppi delle relazioni tra Santa Sede, Chiesa in Cina e governo cinese riguardo alla nomina dei vescovi?
L’articolo di cardinale Tong sulla “Comunione della Chiesa in Cina con la Chiesa universale” mi ha impressionato per la sua novità. Quello che mi ha più impressionato è la luce che Tong ha ricevuto dal cielo, che lo ha illuminato e gli ha fatto guardare con nuovi occhi tutta la questione. Lui parte dal modo scelto da Dio per dialogare con l’uomo, e suggerisce di guardare con quello stesso sguardo anche il dialogo tra la Santa Sede e Pechino. Per questo lui riesce a prefigurare sviluppi così importanti e positivi.
[Il cardinale Tong è stato illuminato dal cielo, dunque è chiaro che prima non lo fosse.]
Il cardinale Tong scrive che «la Santa Sede ha l’autorità di stabilire la modalità più opportuna per la nomina dei vescovi in Cina», e che il Papa «ha l’autorità specifica di considerare le condizioni particolari della Chiesa nel Paese e stabilire leggi speciali, che però non violino i principi di fede e non distruggano la comunione ecclesiale». I vescovi cosiddetti “clandestini”, compreso lei, sono pronti a riconoscere questo fatto?
Esercitando la propria autorità in queste cose, il Papa e la Santa Sede di certo non contraddicono la fede e non danneggiano la comunione e l’unità della Chiesa. I fedeli cinesi che vivono in Cina, clandestini o ufficiali, tutti sono cattolici. E i cattolici sono fedeli alla Sede apostolica. È per rimanere fedele alla Sede apostolica di Roma che io ho accettato di diventare un vescovo clandestino! Come potrei adesso non accettare ciò che viene indicato dalla Santa Sede? È per confessare esplicitamente la nostra fedeltà al Papa e alla Sede apostolica che siamo diventati una comunità clandestina, cioè non registrata ufficialmente presso gli apparati civili. E allora, come potremmo adesso rifiutare ciò che viene dal Papa e dalla Santa Sede?
[Guardi, caro Valente, che a cambiare idea è stato Tong, non io. È lui che apre alla possibilità che vengano finalmente riconosciute le prerogative della Santa Sede sulla scelta dei vescovi, non io che le ho sempre avute ben presenti.]
Nel suo lungo saggio, il cardinale Tong scrive: «Alcuni sono preoccupati che le trattative tra la Cina e il Vaticano abbiano come conseguenza l’abbandono dei vescovi non ufficiali». Lei, che è un vescovo non riconosciuto dal governo, cosa ne pensa?
Mi domando: quali possono essere le prerogative legittime delle comunità clandestine che rischiano di essere contraddette o frustrate nelle trattative tra la Cina e la Santa Sede? Esiste il Diritto canonico e il Diritto civile, ma da ambedue i punti di vista, il dialogo tra la Santa Sede e il governo cinese non sacrificherà nessuna istanza legittima delle comunità clandestine. Riguardo alle preoccupazioni che nel negoziato la Sede apostolica possa dimenticare i vescovi in prigione, esse appaiono del tutto prive di fondamento. Come può la Chiesa, che è madre, dimenticare i propri figli che confessano anche a prezzo di sofferenze la sua fede? È impossibile, perché è impossibile che lo Spirito Santo abbandoni la Chiesa.
[Ma, dico, vuol scherzare? Si apre il dialogo sulla legittimità della nomina dei vescovi da parte della Santa Sede e noi, che sul punto siamo sempre stati fedeli a Roma sebbene il prezzo fosse la persecuzione, dovremmo temere di essere sacrificati nelle trattative?]
Il cardinale Tong scrive che la Santa Sede, con l’accordo in discussione, vuole favorire la piena comunione della Chiesa in Cina, e immagina una Conferenza episcopale che comprenda tutti i vescovi in comunione con il Papa, dopo che si saranno risolti i casi di vescovi illegittimi e scomunicati. Potrebbero esserci resistenze nelle comunità cinesi, dopo tanti decenni di divisione?
La Chiesa di Dio che cammina nella storia è fatta di peccatori. Se prende forma una Conferenza episcopale cinese in comunione con il Papa, tutti questi vescovi saranno persone convertite per camminare insieme verso il Regno di Dio. Questa visione, questa prospettiva è bellissima. È quello che noi speriamo di vedere da tanto tempo, quello per cui preghiamo da tanto tempo. La comunità dei fedeli cinesi non avrà obiezioni. Ma speriamo anche che questo sia accompagnato da frutti di conversione in tutti noi. È un tempo in cui tutti dobbiamo guardare alla condizione concreta del Figliol Prodigo narrata nel Vangelo, quel figlio che era stato lontano per anni e per vivere era finito a accudire i maiali. Si può immaginare che puzzasse di maiale anche lui, e che quindi, tornando a casa, si sarà lavato appena possibile, perché nessuno vuole rimanere vicino a persone che puzzano. Non vogliamo vedere il Figliol Prodigo che dopo essere stato abbracciato dal padre ritorna a trafficare coi maiali, a rivoltarsi nel loro fango, e non chiede di essere liberato dalla sporcizia e dal cattivo odore. Se qualcuno si comporta così, e ritorna nel fango, vuol dire che non ha nessuna identità, nessun senso d’appartenenza, e tutti fuggiranno lontano da lui.
[Senta, le cose stanno a questo modo: noi non ci siamo mai allontanati dalla casa paterna, sono Tong e i suoi ad averlo fatto, e ben venga che vi ritornino, ma tocca a loro fare penitenza e promettere di non tornare ad essere più fedeli a Pechino che a Roma. Non mi faccia esser più duro, ho da mantenere un tono pio, sennò mi si rovina l’aureola.]
Ha sentito qualcosa sui contenuti delle trattative tra Santa Sede e Governo cinese?
Noi non conosciamo i particolari, ma sappiamo che stanno lavorando, i lavori procedono, e quindi vuol dire che le cose vanno avanti. Non serve mettere fretta, perché è bene che si lavori con calma. Ma nello stesso tempo, noi speriamo che si arrivi presto a un risultato concreto, che sia buono per tutti. E prima arriva, meglio è.
[Passi alla prossima domanda, questa è imbarazzante.]
Secondo alcuni commentatori, il dialogo è illusorio e addirittura nocivo se prima non si elimina il peso dell’Associazione patriottica. Le cose stanno così?
Quando due realtà cominciano a trattare devono essere libere di parlare su tutto. Anche sull’Associazione patriottica. Ma senza porre pre-condizioni. Noi dobbiamo dire quello che pensiamo, anche dare suggerimenti, ma il Papa deve sentire soprattutto il nostro totale sostegno, e che ci fidiamo di lui. Non dobbiamo essere noi a pretendere di condizionarlo, a dire quello che deve o non deve fare, o addirittura pretendere di imporgli le nostre idee. Nel Vangelo, Gesù ha affidato a Pietro il compito di confermare nella fede i suoi fratelli. Lo stesso Gesù assiste il Papa in questo compito. E noi non dobbiamo avere la pretesa di insegnargli come si fa.
[Tutto il contendere è sempre stato sul fatto che noi eravamo fedeli a Roma e loro no. Veda un po’ lei se, nel cercare di trovare un accordo, sia possibile cambiare le carte in tavola al punto da penalizzare ulteriormente noi per accontentare loro. Se lo fa, il Papa dà segno di non essere assistito dallo Spirito Santo. Lo scriva, così glielo riferiscono.]
Ma se uno, in coscienza, ha dei dubbi?
Il criterio da seguire non sono le proprie opinioni, ma il Vangelo e la fede degli Apostoli. Nessuno può credere che le sue idee siano superiori alle parole di Gesù. E Gesù, nel Vangelo, ci ha detto anche di fidarci di Pietro, dell’Apostolo che lo aveva tradito e che Lui ha perdonato, perché Pietro lo sostiene Lui stesso. Certo, bisogna seguire la verità che percepiamo nella nostra coscienza. Ma è la fede che illumina la nostra coscienza, e non viceversa.
[Dubbi, un cazzo. Il Papa dimostra di essere un buon pastore solo se riporta la pecorella smarrita nell’ovile.]
Quali sono le grandi opportunità e anche le insidie più pericolose che Lei vede, come pastore, nel presente e nel futuro della Chiesa in Cina?
In questo tempo, nella società cinese si avverte che c’è bisogno di punti di riferimento morali, perché la corruzione rovina e distrugge tutto. Quindi si percepisce una aspirazione diffusa al bene, a fare le cose rispettando gli altri e il bene comune. E in questo modo, secondo me, si diffonde anche un clima favorevole allo spirito del Vangelo. Vediamo che possiamo collaborare. La società cinese si aspetta da noi cristiani un contributo positivo e costruttivo. Il rischio è che non approfittiamo di questa circostanza favorevole, perché siamo presi e ci perdiamo in altre cose. Sarebbe come una rinuncia a annunciare il Vangelo, in un momento in cui tanti potrebbero accoglierlo con gioia.
[Guardi, qui in Cina il boom economico ha scatenato un bel po’ di istinti. Ci offriamo al regime come instrumentun regni per aiutarlo a contenerli, facciamo questo da secoli. E ora il regime può accettare le nostre richieste, è diventato un prezzo che può pagare senza troppo peso in cambio di ciò che promettiamo.]
Sempre il cardinale Tong, alcuni mesi fa, aveva ribadito l’opportunità di “cinesizzare” la Chiesa in Cina, così che essa non sia mai più percepita come un fattore di colonizzazione religiosa. È un processo insidioso?
Ma già Matteo Ricci non ha portato in Cina il “Vangelo italiano” o il “Vangelo francese”. Ha portato il Vangelo. E ha percorso la via cinese per farlo arrivare ai cinesi.
[Tong sa bene che tra Pechino e Roma, prima o poi, una soluzione si troverà. Cerca di fare il furbetto per ritagliarsi una posizione di privilegio, questo è tutto. Figurarsi se dovevamo aspettare lui per la lezioncina sull’inculturazione del cattolicesimo, ma ci faccia il piacere.]
Le omelie e i discorsi di Papa Francesco continuano a essere facilmente accessibili, in terra cinese?
Certo. Vengono pubblicati su tanti siti internet, e passano da persona a persona. Stiamo seguendo passo passo tutti i suggerimenti legati all’Anno Santo della Misericordia. Su internet vedo anche che tanti cinesi vengono a trovare il Papa alle udienze generali, a Roma, e lo incontrano a piazza San Pietro. Lui li saluta spesso. Rispetto al passato, per i cinesi è diventato più facile arrivare a Roma e vedere o addirittura salutare il Papa. C’è una vicinanza visibile con il Vescovo di Roma, che prima non c’era. Le cose sono cambiate e continuano a cambiare.
[Ma certo, sono finiti i tempi dell’ateismo di Stato e per noi cattolici, mi consenta di citare Mao, grande è la confusione, ottima è l’opportunità.]
Potrà evolvere anche il ruolo dell’Associazione patriottica?
Personalmente, spero che col tempo essa diventi una cosa del passato. Perché tanti hanno un brutto ricordo del ruolo avuto da essa, in tante situazioni. La cosa importante è trovare vie nuove per aiutare i cattolici anche a manifestare il proprio amore per la Patria.
[Ormai ha fatto il suo tempo, ora ci penseremo noi.]
Avrà seguito la vicenda di Thaddeus Ma Daqin, vescovo di Shanghai, e del sua intervento sul ruolo positivo dell’Associazione patriottica. Alcuni lo hanno etichettato come un voltagabbana, un traditore.
Nessuno si può permettere di giudicare, diffamare e bastonare gli altri come traditori. Nessuno ha diritto di farlo, e chi lo fa fa una cosa molto cattiva. Cosa ne sappiamo noi di quello che c’è nel cuore di Thaddeus Ma Daqin, dopo l’esperienza che ha vissuto, e dopo che gli è stato impedito per quattro anni di fare il vescovo?
[Quell’uomo è un verme, ma non è bello dirlo.]
Lei riesce a immaginare meglio di noi quello che è passato nel cuore del vescovo Ma.
Non ho avuto le sue stesse esperienze. Ma la solitudine sì, e anche il fatto di essere portato in un posto o in un altro. In quelle circostanze, non sei mai solo: sei davanti a Dio, e quello che pensi e fai, lo pensi e lo fai davanti a Dio. Magari i fedeli non li vedi, magari altri ti hanno tradito, ma sei sempre davanti a Dio. E questo vale di più. Preghiamo per Ma Daqin con rispetto, senza permetterci di giudicare il cuore degli altri.
[Guardi che anch’io ne ho passate di brutte, ma non ho ceduto.]
Padre Lombardi, allora direttore della Sala stampa della Santa Sede, aveva detto che il Papa prega per Ma Daqin e per tutti i cinesi.
Il Papa è un padre, guarda e giudica le cose con occhio di padre. Il vescovo Ma Daqin è un uomo che prega, il Papa lo sa e ha fiducia in lui. Per un padre, la cosa più importante è mostrare il suo amore per i propri figli.
[Ma certo, per chi pregare, se non per i peccatori?]