In merito alla sentenza n. 4184/2012 della I Sez. Civ. della Cassazione – quella che prende atto di quanto sia «radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire “naturalistico”, della “esistenza” del matrimonio» e perciò afferma che «il diritto alla “vita familiare”» e ad «un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata» debba essere riconosciuto anche ai «componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto» – non ho molto da dire: da queste pagine ho più volte espresso la stessa opinione.
Certo, le unioni omosessuali continueranno a non produrre effetti giuridici nell’ordinamento italiano fino a quando il Parlamento non prenderà atto che esse hanno, al pari di quelle eterosessuali, il pieno diritto di formalizzarsi in «matrimonio», ma un muro è caduto e una realtà autoevidente, cocciutamente negata dagli ottusi e torvi guardiani della tradizione, trova il dovuto riconoscimento nella sede qualificata a produrre argomento giurisprudenziale: la coppia gay è famiglia.
Siamo in uno di quei momenti che ci consentono di avvertire più distintamente quel continuo fluire da società a giurisprudenza e da giurisprudenza a società che periodizza il progredire umano. Chi si sognerebbe, oggi, di definire «pubblico scandalo» il matrimonio celebrato con rito civile tra un uomo e una donna? Chi si sognerebbe, oggi, di non considerarlo valido al pari di quello celebrato con rito religioso? Nemmeno più la Chiesa cattolica, anche se nel Codice di Diritto Canonico si continua a leggere che «non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento» (Can. 1055 - §2), ma dove stanno più i vescovi come monsignor Pietro Fiordelli che diano del «pubblico peccatore» e della «pubblica peccatrice» a un uomo e a una donna che abbiano deciso di sposarsi in municipio invece che in chiesa? Non parlano, forse hanno addirittura disimparato a pensarlo. Le sentinelle della tradizione non custodiscono più il sacramento: si accontentano di fare la guardia ad un istituto sconsacrato. Difendono strenuamente ciò che possono difendere, ma indietreggiando.
Un esempio? Nel 2007 l’odierno presidente della Cei disse: «Nessuna condanna per le convivenze, ma è inaccettabile creare un nuovo soggetto di diritto pubblico». «Nessuna condanna per le convivenze»? E che cazzo di cattolico sei? Non glielo chiese nessuno. Era vistosamente indietreggiato sul piano della morale cattolica e tuttavia la posa era marziale, si faceva attenzione solo a quell’«è inaccettabile creare un nuovo soggetto di diritto pubblico»: sembrava la difesa di un sacramento, e invece era la difesa di un istituto, anche laddove fosse sconsacrato. Il continuo fluire da società a giurisprudenza e da giurisprudenza a società assicurava un «trattamento omogeneo» a ogni genere di convivenza, perfino da parte di Sua Eminenza: il «pubblico scandalo» da condannare non era più la convivenza fuori dal matrimonio celebrato con rito religioso, ma l’equiparazione legale della convivenza a un qualsiasi genere di matrimonio.
Un muro è caduto ed è interessante passare in rassegna i bernoccoli. Avvenire ce ne offre un ampio assortimento.
Potranno anche baciarsi in pubblico senza che qualche stronzo abbia da ridire?
Nessuna novità? Prima della sentenza della Cassazione, una coppia gay era già famiglia?
Ecco, brava Eugenia, lei sì che soffre bene.
E i neri si sono emancipati perché abbiamo avuto una perdita di valore dell’essenza della razza bianca in quanto tale.
Ahaha la sottolineatura all'ultimo commento è da incorniciare
RispondiEliminaQuoto pienamente...!
Elimina... e ci sono dei giorni in cui essere italiani crea meno imbarazzi.
RispondiEliminama l'han mai letta la bibbia? Perchè parte proprio con una bella dedica al libero arbitrio. E sono 2000 anni che provano a negarlo, imponendo la loro morale per legge. Fossi cattolico, mi incazzerei come una iena.
RispondiEliminae nel frattempo la bindi... la toia... la costa... dicono quello che dicono.
RispondiEliminatutte e tre del piddì.
sarà un caso?
che anche il piddì si sia infettato del virus cattolico, che dal 1870 in qua cerca in ogni modo di abbattere l'invasore che gli scippò il potere temporale (vedansi il primo e il secondo concordato, e soprattutto lo sciagurato inserimento del primo nella costituzione repubblicana)?
domanda retorica: tutto, nel nostro paese, è infettato dal cattolicesimo, perfino un rilevante numero di quegli omosessuali cattolici che si scavano da sé la fossa.
io, da omosessuale ateo, gli dico sempre che non c'è bisogno di essere cattolici per essere cristiani: ma si vede che gli è più difficile mollare il papa che rinunciare ai diritti più elementari.
Una cultura che valuta gli individui principalmente in base a criteri indipendenti dalla loro soggettività è quasi certamente una cultura in cui anche i presunti privilegiati sono mediamente svalutati rispetto al loro valore soggettivo, mentre altri, di scarso o infimo valore, sono esaltati.
RispondiEliminaCui prodest?
Io, personalmente, abolirei il matrimonio (così come è oggi inteso) anche per le coppie etero.
RispondiEliminaMotivo: un conto è l'aspetto contrattuale (regolazione d'una convivenza tra soggetti), un altro quello affettivo (pretesa di regolazione d'un fattore che sfugge a qualsiasi disciplina). Nel nostro (ma credo in quasi tutti quelli di matrice occidentale) ordinamento la confusione tra i due momenti è stata generata dalla valenza "metafisica" che s'è sempre voluta dare a una unione che, in effetti, dovrebbe essere inquadrata solo in un tipo contrattuale idoneo alla regolazione degli effetti e delle conseguenze di tale unione, sia essa tra etero, tra omo, tra bi, con la propria capra, o tra multipli dei precedenti.
E mi si perdoni se ho offeso la sensibilità di qualcuno.