mercoledì 7 marzo 2012

After-birth abortion

Un editoriale di Carlo Cardia (L’infanticidio nel deserto del nichilismo - Avvenire, 6.3.2012) mi dà occasione di dare finalmente una risposta a quanti mi hanno scritto, la scorsa settimana, per segnalarmi l’articolo di Alberto Giubilini e Francesca Minerva (After-birth abortion: why should the baby live? - Journal of Medical Ethics), che ha provocato pronte e vivaci proteste da parte di alcuni organi di stampa cattolici, giornale della Cei in testa. La tesi esposta nell’articolo, che oggi, dopo essere stato difeso dal direttore della rivista, è irreperibile sul sito della rivista (è scomparso anche l’abstract), è zoppa nella formulazione (“aborto post-natale” è contraddizione in termini) e nell’argomentazione (dirò perché): tutto, in pratica, poggia sull’assunto che il neonato non sia persona, come non lo è l’embrione, sicché le ragioni che giustificano l’aborto giustificherebbero anche l’infanticidio. Non c’è bisogno di essere volpini per capire che si tratta dello stesso argomentare di chi è contrario all’aborto, sempre, perché si tratterebbe di “infanticidio in utero” (altra contraddizione in termini).
In entrambi i casi siamo dinanzi a tizi che non riescono a scorgere nessun evento notevole nel nascere: per gli oltranzisti che sono contrari all’aborto la nascita sta già nel concepimento, per Giubilini e Minerva si nasce solo due, quattro o otto mesi dopo il parto. Superfluo dire che si tratta di due forzature inammissibili, almeno a mio parere.
Nel primo caso, infatti, l’ovocellula fecondata avrebbe già statuto di persona e dovrebbe essere considerata soggetto giuridico: voglia o no, una gravida sarebbe tenuta a portare a termine la gravidanza, anche se il frutto del concepimento è conseguenza di uno stupro, anche se la gestazione mette a rischio la sua salute fisica o psichica. Nel secondo caso, invece, il neonato non avrebbe alcun diritto: li maturerebbe tutti successivamente (i due autori dell’articolo non sono molto chiari sul quando). È evidente che in entrambi i casi si preferisca guardare un problema estremamente complesso da un lato solo.
Devo perciò deludere chi ha pensato che la tesi di Giubilini e Minerva fosse anche la mia. Per tutti, cito Giovanni Fontana, che mi ha scritto: “Credo tu sia d’accordo con l’articolo, al di là di una sostanziale rozzezza delle argomentazioni (comunque ben più sofisticate delle repliche avute dal grande pubblico), come lo sono io”. No, non sono affatto d’accordo con l’articolo. Le argomentazioni sono rozze, ma la tesi è palesemente insostenibile.
Agli altri – cito, tra tutti, Nicola Bergonzi, che mi ha fatto la cortesia di linkarmi tutto il necessario per questo post – dico che a mio parere il discrimine deve essere posto intorno all’epoca gestazionale oltre il quale il feto ha possibilità di vita autonoma (20-22 settimane). Non vorrei ripetermi: rimando alla polemica che si è consumata su queste pagine tra me e Francesco Maria Colombo, l’anno scorso.

Ma veniamo all’editoriale di Carlo Cardia, il quale pensa di poter approfittare di un articolo infelice, ancor più infelicemente argomentato, per poter mettere in discussione il diritto di una donna di interrompere una gravidanza, quando questa metta a rischio la propria salute e quando il feto non è ancora in grado di vivere fuori dall’utero.
“Credo si debba riflettere ancora sul terreno di coltura che ha favorito l’affermazione di tesi che prima neanche affioravano nel pensiero umano (se non in segmenti di estremismo votati all’irrilevanza), e sulle loro conseguenze. Il terreno di coltura è quello proprio del nichilismo, nel quale l’uomo si trova per caso a vivere e vive seguendo il caso, perdendo coscienza della propria umanità. In questo deserto non esiste verità alcuna, che ci parli e ci interroghi, da ricercarsi con fatica e gioia, diventi criterio di comportamento che avvicina gli uomini, li rende solidali, li fa crescere insieme. Esistono solo opinioni, tante quante sono le persone, tutte burocraticamente eguali, e ogni gerarchia di valore e giudizio è azzerata. L’uomo è abbandonato a se stesso, la sua possibilità di dominio è dilatata fino a comprendervi ogni cosa, a cancellare il concetto di bene e di male, scendendo nel declivio che porta al male assoluto, da consumarsi anche nel privato. Il male è spogliato della sua tragicità, esposto come merce da prendere o lasciare, teoria da accettare o rifiutare, nel silenzio della coscienza”. Cazzate. La tesi esposta nell’articolo di Giubilini e Minerva era espressamente un esercizio di logica applicato alla morale. Non aveva alcuna pretesa di normare, né avanzava proposta in tal senso. [Uso l’imperfetto perché il Journal of Medical Ethics ha ritirato l’articolo, convincendosi infine che fosse indifendibile.]
Altrettanto assurda quanto quella di negare a una donna una gravidanza libera e responsabile, la tesi di Giubilini e Minerva almeno aveva l’attenuante di non porgersi al legislatore come istanza irrinunciabile, tentazione sempre irrefrenabile per i cattolici, che, potendo, manderebbero in galera pure chi si fa le seghe.
Ovviamente è chiaro che Cardia e Avvenire abbiano il diritto di pensare ciò che vogliono e di scriverlo, ma il fatto che la rivista abbia rinunciato allo stesso diritto non dimostra affatto che l’ovocellula fecondata sia persona, ma è questo che Cardia vuol farci intendere: “Il velo teorico che appanna questi concetti fa crescere la vertigine in chi li legge nella loro realtà corporea, e fa riflettere”. Pensando di aver trovato prova provata della sua tesi nella resipiscenza del Journal of Medical Ethics, Cardia esagera e inciampa: “Si pensa alle parole di Fëdor Dostoevskij sul male che si reca ai più piccoli, come alla colpa più grave che esista al mondo”, e così sembra non aver mai letto I fratelli Karamazov, dove per la sofferenza dei piccoli innocenti Ivan chiama Dio a imputato, che trova in Alyosha un avvocato difensore in grave difficoltà. “Inizia un cammino a ritroso nella storia, e si dà corpo a ipotesi che sembrano appartenere alla fantasia corrotta del marchese De Sade”, dimenticando il Dio che stermina gli innocenti primogeniti degli egiziani per fare un favore al suo popolo eletto e che chiede ad Abramo di sacrificargli Isacco. Conviene andare a ritroso?

10 commenti:

  1. Ti sarai sentito rispondere almeno una volta che neanche il neonato è capace di vita autonoma.

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    1. L'autonomia delle funzioni vitali è cosa ben diversa dall'autonomia in senso lato. Quando mi sono sentito rispondere che neanche il neonato è capace di vita autonoma, ho capito che mi trovavo davanti a chi voleva cambiare le carte in tavola e ho rinunciato al confronto. Una volta nato, chiunque può interessarsi di un bambino. Al di sotto del livello di autonomia delle funzioni vitali può interessarsene solo la madre biologica.

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    2. Pennac in "Ultime notizie dalla famiglia" oltrepassa letterariamente questa barriera, mettendo in scena un trapianto di feto; non mi sembra astruso pensare che la scienza intraprenderà questa strada facendo, come tante volte, diventare realtà quella che era solo una fantasia.
      Il punto è che l'autonomia delle funzioni non è un bastione impenetrabile : non resterà per molto ancora necessaria alla sopravvivenza del concepito; non è già oggi sufficiente la sua mancanza per porre fine alla sopravvivenza del nato.
      A volte a mischiare le carte si inventano giochi più divertenti, e non bisogna averne paura.

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    3. Ok, aggiorniamo la discussione a quando sarà.

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  2. Bel post.

    Tuttavia, l'articolo è ancora disponibile, è stato semplicemente spostato. Ne esiste anche una traduzione italiana fatta da, nientemeno, la rivista Tempi.

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    1. Ti ringrazio per la segnalazione. Mi precipito a verificare quanto sia fedele la traduzione fatta dai ciellini.

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  3. Beh, in molti hanno scorto il backfire antiabortista del concetto, mi sembra una cosa abbastanza immediata. Però non è che giacché un argomento va contro ad alcune battaglie in cui si crede, esso possa essere dismesso. Quindi la questione (il cui prodest), ai fini di un'onesta discussione, mi pare irrilevante.

    Evidenzi bene la chiave centrale, ovvero la contesa con i "tizi che non riescono a scorgere nessun evento notevole nel nascere". Mi sembra però che tu non motivi perché l'evento del nascere (anzi, non quello del nascere, ma "l'essere trascorse di 20-22 settimane") rappresenti un fatto non tanto notevole quanto dirimente. In altre parole, l'unico fatto rilevante, quello che – a un ignorante sul tema (nessuna retorica), io – potrebbe sembrare manicheismo, qualifica semplicemente: omicidio sì/omicidio no.

    Ti chiedo, ancora una volta specificando la mia ignoranza sul tema (e anche una mia sostanziale ignavia, a dispetto della frase che riporti): non vi è davvero una gradualità fra omicidio e nulla?

    Un aborto alla 25esima settimana è equiparabile all'omicidio di un ventenne? È così strano da affermare per chi, come me (e immagino te), riconosce la diversa gravità perfino fra l'omicidio di un 80enne e quello di un ventenne (altra questione, naturalmente, è se vogliamo vivere in una società in cui questi due omicidî non siano equiparati, ma non è questo il punto qui).

    Avrai capito, mi sembra quasi che con la sostanziale rigidità che ne traspare "deontologizzi", se ha senso usare questo termine, un'area che ammette invece un'inevitabile gradualità.

    Per questo mi sembrava inoppugnabile la tesi centrale dell'articolo, la gradualità, e da lì si dovesse discutere quali conseguenze se ne dovessero trarre: in un senso o nell'altro.

    Infine contesto che il Journal of Ethics abbia rigettato l'articolo in quanto indifendibile nella sostanza, questi sono argomenti dibattutissimi nei dipartimenti di etica e bioetica, e le stesse argomentazioni vengono portate avanti (e confutate) da almeno trent'anni. Può essere, invece, che sia stata la forma – le aporie e la scompostezza del modo di argomentare – a portare a questo rifiuto.

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    1. Ripeto quello che ho scritto in risposta ad un commento qui sopra: "L'autonomia delle funzioni vitali è cosa ben diversa dall'autonomia in senso lato... Una volta nato - qui aggiungo: se nato dopo un'epoca oltre alla quale riesce a sopravvivere fuori dall'utero - chiunque può interessarsi di un bambino. Al di sotto del livello di autonomia delle funzioni vitali può interessarsene solo la madre biologica", e qui aggiungo: che non può essere costretta, contro la sua volontà, a prezzo della sua salute fisica o psichica, di sacrificarsi in favore di un soggetto che è pur sempre "altro da sé". Il limite che è posto, dunque, non è arbitrario: nessun feto ha capacità di vita autonoma (leggi: autonomia delle funzioni vitali) prima della 20a settimana gestazionale. A presto, fammi sapere della tua venuta a Napoli.

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  4. Come possono intelligenza e cultura accompagnarsi all'assunzione di mitologie a fatti ? e, ancora più incredibilmente, a fondamenta assolute della morale ?  disconoscendo la sostanza culturale di questa (determinata in origine da utilità e competizione memetica e puntellata in seguito da cogenza estetica e funzione identitaria).

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    1. Possono, possono, sennò non saremmo ancora nei ceppi della superstizione e dell'ignoranza.

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