Recupero da una cartella un ritaglio della Domenica de Il Sole-24 Ore del 3 luglio dell’anno scorso: raccontando del suo ritorno a Napoli dopo trent’anni, Roberto Napoletano offriva brani di una conversazione avuta con l’avvocato Gerardo Marotta, fondatore e presidente dell’Istituto italiano per gli studi filosofici. Una frase è sottolineata: «Finché abbiamo potuto, abbiamo fatto con le nostre forze, ho venduto le proprietà di famiglia, ma non possono continuare a tagliare tutto, stanno tagliando la scienza di base, si “mangiano” il futuro». A poco più di un anno di distanza le forze sono arrivate al limite ultimo e per i 300.000 volumi della biblioteca dell’Istituto arriva il momento del trasloco forzato. In un deposito. A Casoria, pare.
Parlo raramente e malvolentieri della città in cui vivo, ma oggi farò un’eccezione: senza dilungarmi troppo, dico che la schifo profondamente. E rimando a quanto ho scritto alcune settimane prima che in edicola uscisse quel numero de Il Sole-24 Ore. Eravamo tra il primo turno delle elezioni comunali e il ballottaggio che avrebbe portato Luigi De Magistris a Palazzo San Giacomo: «Io non credo sia possibile fare di Napoli una città vivibile senza raderla al suolo e ricostruirla daccapo, però facendola abitare da norvegesi. Nessun sindaco potrà far molto, anche volendo, poverino. Questa città ha la borghesia più vile e pusillanime d’Italia, che ha quella più vile e pusillanime d’Europa, e ha popolo che è fiero d’essere plebe, e non si salva niente, sicché il nuovo ha sempre il peso di un movimento di viscere».
Beh, proprio quanto sta per accadere alla biblioteca dell’Istituto italiano per gli studi filosofici mi consente di aggiungere che, come prevedevo, il ventre elettorale ha dato prova di se stesso: Giggino si rivela una loffa (dial., dal ted. Luft).
Se non l’avete vista, non riuscirete mai a intuire cosa sia quella biblioteca.
Se non l’avete vista, non riuscirete mai a intuire cosa sia quella biblioteca.
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