Almeno
a quanto mi risulta, è Platone ad usare per la prima volta la metafora della
nave come società, e già lì (Repubblica, VI, 488-489) sono presenti tutti gli elementi
che la renderanno efficace in Giorgio Gaber (La nave – Far finta di essere
sani, 1973): le tempestose avversità e le placide bonacce, il porto tranquillo
come agognata meta, il sempre incombente pericolo di naufragio, e perfino un
cenno, ancorché implicito, a quel «siamo tutti sulla stessa barca» che in
sostanza è il monito a non discutere sulla rotta, tanto meno a sollevare dubbi
su chi sta al timone. Vero è che la metafora compare anche nel Vecchio Testamento
col racconto dell’arca che salva Noè e i suoi dal diluvio (Gen 6, 16 – 8, 18),
ma qui manca ancora degli elementi che consentano un congruo parallelismo con
una comunità umana organizzata in società. Metafora che non nasce col
cristianesimo, dunque, ma che col cristianesimo acquista la potenza del simbolo,
grazie all’episodio della tempesta che coglie Gesù e i suoi apostoli sul mare
di Galilea (Mt 8, 23-27). Da qui in poi, cymba o navis, l’immagine rimanda a
chi a bordo condivide una comune sorte, sulla quale si fonda un’identità di
mezzi e di fini: è il popolo di Dio, l’ecclesia, ma ha gli stessi problemi di
cui discutono Socrate e Adimanto.
Così strano che lo schianto
della Concordia sugli scogli dell’Isola del Giglio si sia offerto come allegoria
di un’Italia data in mano a un irresponsabile? Io non l’ho trovato affatto
strano, anzi, direi che l’evocazione fosse fin troppo scontata. Scontata, e
tuttavia nell’ordine delle cose. Dunque non ho trovato strano neppure che l’attenzione
alle operazioni di recupero del relitto evocassero quello che per Roberto
Saviano è «un impronunciabile sogno da subcosciente: se si raddrizza la nave,
simbolo di un paese alla deriva che lentamente affonda, c’è speranza magari che
si raddrizzi l'Italia e che torni a galleggiare». Semmai mi è parso strano che
definisse «morbosa» l’attenzione. Ma ancor più strano, francamente inspiegabile,
mi è parso il preventivo dar del «gonzo», da parte di Enrico Mentana, a
chiunque fosse raggiunto da quella fin troppo scontata evocazione. La metafora
sta lì da almeno ventiquattro secoli, passa per Gerusalemme, Atene e Roma fino arrivare
a noi senza perdere neanche un poco della sua potenza, e chi la coglie è «gonzo»?
Bah.
http://edue.wordpress.com/2013/09/17/heavy-rotation/
RispondiEliminaLe metafore sono figure retoriche.
EliminaTra le citazioni introduttive, non dimentichi Hieronymus Bosch.
RispondiEliminaCitazione più leggera, ma mirata sulla condizione specifica del nostro paese: "Titanic" di De Gregori.
RispondiEliminaA me è parsa un'operazione di riciclaggio discretamente riuscita.
RispondiEliminaMentana pensa alla metafora. Si accorge subito che è calzante, non c'è che dire, ma è davvero troppo scontata. Potrebbe buttarla ma, con un colpo di astuzia degno di una certa ammirazione, la ricicla in un tweet che gli vale la prima pagina delle testate on-line e un discreto numero di re-tweet.
Non male considerato il punto di partenza.
Infatti penso che il calcolo sia stato proprio quello.
EliminaSempre retorica rimane.
RispondiElimina6iorgio