martedì 17 settembre 2013

Bah


Almeno a quanto mi risulta, è Platone ad usare per la prima volta la metafora della nave come società, e già lì (Repubblica, VI, 488-489) sono presenti tutti gli elementi che la renderanno efficace in Giorgio Gaber (La nave – Far finta di essere sani, 1973): le tempestose avversità e le placide bonacce, il porto tranquillo come agognata meta, il sempre incombente pericolo di naufragio, e perfino un cenno, ancorché implicito, a quel «siamo tutti sulla stessa barca» che in sostanza è il monito a non discutere sulla rotta, tanto meno a sollevare dubbi su chi sta al timone. Vero è che la metafora compare anche nel Vecchio Testamento col racconto dell’arca che salva Noè e i suoi dal diluvio (Gen 6, 16 – 8, 18), ma qui manca ancora degli elementi che consentano un congruo parallelismo con una comunità umana organizzata in società. Metafora che non nasce col cristianesimo, dunque, ma che col cristianesimo acquista la potenza del simbolo, grazie all’episodio della tempesta che coglie Gesù e i suoi apostoli sul mare di Galilea (Mt 8, 23-27). Da qui in poi, cymba o navis, l’immagine rimanda a chi a bordo condivide una comune sorte, sulla quale si fonda un’identità di mezzi e di fini: è il popolo di Dio, l’ecclesia, ma ha gli stessi problemi di cui discutono Socrate e Adimanto.
Così strano che lo schianto della Concordia sugli scogli dell’Isola del Giglio si sia offerto come allegoria di un’Italia data in mano a un irresponsabile? Io non l’ho trovato affatto strano, anzi, direi che l’evocazione fosse fin troppo scontata. Scontata, e tuttavia nell’ordine delle cose. Dunque non ho trovato strano neppure che l’attenzione alle operazioni di recupero del relitto evocassero quello che per Roberto Saviano è «un impronunciabile sogno da subcosciente: se si raddrizza la nave, simbolo di un paese alla deriva che lentamente affonda, c’è speranza magari che si raddrizzi l'Italia e che torni a galleggiare». Semmai mi è parso strano che definisse «morbosa» l’attenzione. Ma ancor più strano, francamente inspiegabile, mi è parso il preventivo dar del «gonzo», da parte di Enrico Mentana, a chiunque fosse raggiunto da quella fin troppo scontata evocazione. La metafora sta lì da almeno ventiquattro secoli, passa per Gerusalemme, Atene e Roma fino arrivare a noi senza perdere neanche un poco della sua potenza, e chi la coglie è «gonzo»? Bah.

7 commenti:

  1. http://edue.wordpress.com/2013/09/17/heavy-rotation/

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  2. Tra le citazioni introduttive, non dimentichi Hieronymus Bosch.

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  3. Citazione più leggera, ma mirata sulla condizione specifica del nostro paese: "Titanic" di De Gregori.

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  4. A me è parsa un'operazione di riciclaggio discretamente riuscita.

    Mentana pensa alla metafora. Si accorge subito che è calzante, non c'è che dire, ma è davvero troppo scontata. Potrebbe buttarla ma, con un colpo di astuzia degno di una certa ammirazione, la ricicla in un tweet che gli vale la prima pagina delle testate on-line e un discreto numero di re-tweet.
    Non male considerato il punto di partenza.

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    1. Infatti penso che il calcolo sia stato proprio quello.

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  5. Sempre retorica rimane.


    6iorgio

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