giovedì 26 febbraio 2015

Dedalo di specchi

Daniele Luttazzi non ha ancora pienamente elaborato il trauma della gogna che subì cinque anni fa, ma pare sia intenzionato a risolvere la cosa sublimando piuttosto che rimuovendo e poi fare i conti con una fastidiosa nevrosi, almeno questa sembra l’operazione che affida a Bloom (Edizione Il Fatto Quotidiano, 2015), plagio (che non può dirsi plagio) di un Omero che si riprende il suo Ulisse dal plagio (che non può dirsi plagio) di Joyce. Gioco di specchi, anche molto ben fatto, in cui ci si dovrebbe ritrovare, ma solo a patto di perdersi davvero, onestamente incapaci di dire dove finisca l’aedo e dove cominci il rapsodo. D’altronde neanche si è certi che Omero sia davvero esistito, tutto il nero su bianco l’avrà messo uno che ha spizzicato qui l’orecchiamento di un inno, lì il passaparola di un mito. Ora, se usiamo lo strumento che ci consente di parcheggiare l’auto in un dedalo di specchi senza sfiorarne neanche uno (e qui cito lo spot pubblicitario di una nota casa automobilistica, meglio dichiarare che la paternità della metafora non è mia), toccherebbe a Joyce riprendersi l’Omero di Daniele Luttazzi, e a Daniele Luttazzi toccherebbe stare zitto, senza lamentarsi d’essere stato plagiato. Il cerchio quadrerebbe e potremmo finalmente riavere quello che abbiamo perso cinque anni fa, che oggi è ancora perso in 105 pagine di note al testo e in 103 voci bibliografiche.  

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