Ci
sono «ostacoli insormontabili» alla costruzione di quel «partito
riformista di sinistra» che il buon Mantellini potrebbe votare senza
essere costretto a «turarsi il naso in nome del meno peggio»,
indovinate quali.
Un attimo, però. Chiariamo. Mantellini parla da
«elettore del Pd» («L’elettore del Pd che sarei io»), quindi è
evidente che per «partito riformista di sinistra» intenda qualcosa
che sta oltre il Pd: un partito ancora da venire, insomma. E dunque:
quali sono questi «ostacoli insormontabili» che Mantellini vede
frapposti tra il Pd così com’è, quello cui comunque ci risulta abbia
dato il voto, non sappiamo se turandosi il naso o meno, e il «partito
riformista di sinistra» che voterebbe, certo di non doversi veder costretto a
turarselo?
Aspettate, non vi precipitate subito a dare una risposta,
ché poi a sapere quella esatta ci rimanete male e ve la prendete con
me perché non ho saputo esporvi a dovere i termini della questione,
che sembra semplice, ma in realtà non lo è affatto.
Procediamo
senza fretta, cominciando col chiarire cosa debba intendersi con
«riformista» e «di sinistra», ovviamente per Mantellini. E
chiariamolo facendo degli esempi, perché si tratta di concetti
diventati così vaghi che ultimamente dentro ci si trova di tutto, perfino l’idea che la crescita del paese tragga
formidabile impulso dall’abolizione dell’art. 18 e che tocchi ai
contribuenti pagare i debiti che De Benedetti non ha pagato al Monte
dei Paschi di Siena.
«Riformista», per Mantellini, significa per
esempio «prendere
atto della necessità di riformare la scuola pensando agli studenti
prima che agli insegnanti»;
e poi «prendere
atto dello strapotere politico di alcuni grossi apparati sindacali
che hanno infiltrato ogni angolo della macchina decisionale del paese
e provare a metterci rimedio, per esempio iniziando faticosamente a
premiare il merito più che l’appartenenza»;
ancora, significa «investire
sui giovani che sono la vera classe povera italiana e
contemporaneamente la nostra unica speranza»;
e poi «sposare
un’idea di innovazione che non riguardi la Salerno-Reggio Calabria
o peggio i ponti di Messina ma le autostrade informatiche e in
generale gli ambiti digitali»;
ultimo esempio di cosa significhi «riformista», «tenere
distanti i propri mediocri amichetti dalle poltrone delle partecipate
o delle fondazioni bancarie».
Esempi «banalissimi»,
dice Mantellini, ma solo perché lui è la modestia fatta persona. Di
fatto, si tratta di riforme sulle quali faccio fatica a immaginare
possano esserci obiezioni, tant’è
che sono nel programma di ogni partito, compreso il Pd, che le
promette a ogni tornata elettorale. In quanto ad attuarle quando sta
al governo, beh, quello è un altro paio di maniche.
Si prenda a
esempio – esempio banalissimo, qui provo ad essere modesto anch’io
– il governo Renzi. Tanto per dire, la cosiddetta Buona Scuola:
scontenta gli insegnanti, ma per caso avete visto fiumane di studenti
in festa? E il cosiddetto Jobs Act: avete registrato tutto ’sto travolgente entusiasmo fra i
giovani? Non parliamo, poi, della priorità che le autostrade
informatiche hanno avuto rispetto al ponte sullo Stretto di Messina,
d’altronde una cosa è fare il romantico coi polli della Leopolda e
un’altra è farlo venir duro a quelli della Impregilo. Cali un velo
pietoso, infine, sugli scoronconcoli
e le ciamporgne che il braggadocio ha da subito provveduto a
sistemare nei punti chiave di partito, parlamento, governo, sottogoverno, stato e parastato:
peggio delle cavallette, peggio della peronospora.
A stretto rigor di
logica c’è da supporre che Mantellini non debba aver trovato molto
«riformista» il governo Renzi, ma più in là del supporlo non ci è
consentito andare, perché negli ultimi tre anni non è che lo si sia
sentito lamentarsi troppo. Dev’essere stato il governo Gentiloni ad
avergli fatto scattare la molla, va’ a capire.
E «di sinistra»?
Come dovrebbe essere, per Mantellini, un partito «di
sinistra»?
Cosa dovrebbe avere a cuore un partito «di
sinistra»?
È presto detto: «i
diritti civili dei singoli cittadini, le libertà individuali, la
solidarietà verso gli altri».
Un «di
sinistra»
che vi suona strano? Sarà perché tanta attenzione all’individuo
non è mai stata fra le peculiarità della sinistra, sempre più
attenta ai bisogni della collettività. Però direi che «solidarietà
verso gli altri» dissolve ogni perplessità.
Come dite? Trovate che sia locuzione troppo vaga, tant’è che la si trova pure nel programma di Casapound e nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa? Consentitemi di dirvi che siete
in errore: è che ultimamente la
sinistra non gode di ottima reputazione, e a mostrare troppa
confidenza col suo tradizionale idioletto si corre il rischio di essere additati
in società come pericolosissimi socialdemocratici, il che a dei flagiziosi della risma d’un
Gilioli o un Civati, che si sparano in vena un Piketty a colazione e
uno a cena, questo potrà non far né caldo né freddo, e infatti
eccoli lì, un giorno sì e l’altro
pure, a esibirsi come viziosi del welfare più spinto, mentre Mantellini non
è della stessa pasta, questo è tutto: «di
sinistra» pure lui, ma meno incline a strepitarlo ai quattro venti con parole troppo forti come – chessò – redistribuzione. Mera questione di galateo.
Ecco,
vi ho dato l’aiutino, ora potete rispondere: quali sono gli
«ostacoli
insormontabili» che impediscono al Pd diventare il «partito
riformista di sinistra» che piacerebbe tanto a Mantellini?
C’è rimanere a bocca aperta: (1) la minoranza del Pd, altrimenti detta «sinistra interna», e (2) quanti «da Fassina a Vendola» stanno a sinistra del Pd, dall’esterno. Sinistre che probabilmente Mantellini ritiene abusive, perciò naturalmente antagoniste della sinistra vera. Ma poi ci sono pure (3) «Alfano,
Berlusconi e tutto il berlusconismo di ritorno da Verdini a certi
residui millimetrici di Scelta Civica», che onestamente si fa fatica a capire come possano essere di ostacolo alla costruzione di un partito «di sinistra»: basterebbe scaricarli, dunque l’ostacolo non sono loro, ma chi se li è caricati e ancora non li scarica. Così per (4) la
«quota
di attuale classe dirigente del PD mantenuta in sella per interesse o
per esigenze di forza maggiore il cui esempio più rilevante è
Vincenzo De Luca»: chi la mantiene in sella?
Sembrerebbe che Mantellini abbia una tremenda difficoltà nel realizzare che l’ostacolo più grosso posto alla costruzione del «partito riformista di sinistra» che da elettore del Pd vorrebbe votare è Renzi. O sarà che l’ha capito, ma l’ostacolo sta nel riuscire a dirlo. E questi, al momento, paiono i veri «ostacoli insormontabili».