Paolo Garbet mi fa: “Nel 99% dei casi mi trovo d’accordo con tutto quello che lei scrive, ma quando parla di Di Pietro non la seguo più. In un paese devastato da corruzione e illegalità, e definitivamente seppellito da un debito pubblico che in parte è causato proprio dalla corruzione, c’è un solo politico che ha il coraggio di dire: chi delinque deve andare in galera. D’accordo, non sarà il massimo come eloquenza o leadership, ma perché stroncarlo in questo modo?”.
Ottimo argomento per un post, ma bisogna rettificare due o tre cosette. Mai rimproverato a Di Pietro deficit di eloquenza, perché quello è il suo deficit più scusabile, mentre ne ha uno che mi è sempre parso incolmabile, e su quello – quasi solo su quello – ho sempre appuntato le mie critiche (stroncature mi pare termine esagerato): il deficit di quella cultura che riconosce garanzie all’indagato, all’imputato e al condannato.
Ciò che mi dà un fastidio davvero insopportabile in Di Pietro – da sempre, fin dal 1992 – è la sua insofferenza ai limiti che l’indagine deve rispettare per non degenerare in tortura (fisica e psicologica), ai limiti che sono posti alla pubblica accusa in quella sostanza che fa la forma della procedura (penso che siano meglio dieci colpevoli in libertà che un solo innocente in carcere), ai limiti che devono essere posti alla pena perché non si esaurisca in vendetta, funzione che peraltro non le è nemmeno riconosciuta (dovrebbe essere finalizza al recupero del condannato, diteglielo).
Non mi si fraintenda: credo nella necessità di combattere la corruzione e l’illegalità, e credo nella necessità della certezza della pena, tutt’è capire a quale prezzo, e ritengo che quello chiesto da Di Pietro costi un di più che serve a reclutare consenso.
Qui mi torna utile l’osservazione che mi fa un lettore che si firma incubomigliore: “Di Pietro, a mio parere, veste i panni di un semplice notaio, più che di un giustizialista. Il problema è che da noi pure il notaio diventa un barbaro forcaiolo se dall’altra parte la menzogna è imperativo. La metafora, l’iperbole e l’esagerazione e le loro eco fanno poi parte sicuramente del costume politico in generale, e del personaggio più in particolare, ma esse non sono da essere confuse con la sostanza”.
La sostanza sarebbe che gli arresti domiciliari equivalgono alla libertà per i passati in giudicato all’ultimo anno di detenzione? Era una proposta fatta per rendere un poco più decenti le nostre carceri sovraffollate: quale retroterra culturale la rigetta perché gli arresti domiciliari equivarrebbero allo sconto di un anno sulla pena?
Ma naturalmente non si tratta solo della cultura del diritto. Di Pietro non mi piace perché è speculare a Berlusconi. Come lui, è il suo partito e – insieme – ne è il proprietario, sicché come Berlusconi esagera nel mostrarsi padrone di sé, ma ne ha tutto il diritto. Troppo per chi, come me, ha orrore dei partiti come momento di promanazione carismatica e/o patrimoniale. (Insieme a Berlusconi e a Di Pietro metto pure Pannella e Bossi.)
D’altra materia rispetto a quelle usate da Berlusconi, ma le sue metafore, le sue iperboli e le sue esagerazioni hanno in comune a quelle la cifra populista, sentimentalista, con irrimediabile vocazione plebiscitaria, negazione più che esplicita di quell’apatia e dello scetticismo che dovrebbero fare la neutra laicità (in senso lato) dello spazio liberaldemocratico.
Sull’Italia dei Valori non vorrei dire troppo, mi fido di quello che ho letto su un numero di MicroMega di qualche tempo fa. (Non mi risulta che MicroMega sia rivista ostile a Di Pietro, ma l’affresco del suo partito era di merda: in mezzo a tanta brava gente, certi figuri di pessima fama, e pessimissima pure. Partito tutt’altro che adamantino, e mi pare che Di Pietro l’abbia pure ammesso, almeno in parte. E non parlo di Sergio De Gregorio, ma di roba recentissima. A naso, ho il sospetto che ce ne sia di molt’altra, per ora sommersa. Ma non vorrei che questo sospetto mi stigmatizzasse come dietrologo, forcaiolo e giustizialista, tanto meno come irrispettoso dell’onore di tutti e di ciascuno: diciamo che parlo del tutt’insieme.)
In ultimo, come fa l’antisemita che vanta di avere molti amici ebrei, vorrei dire la mia figlia maggiore vota IdV e che alle ultime regionali ho curato la campagna elettorale di un candidato dell’IdV in Campania, a gratis. Testi assai vibranti, ho scimmiottato Travaglio.