lunedì 17 maggio 2010

L'aggravamento karmico


“La vita non è sopportabile oltre i limiti prescritti posti dalla salute del corpo e della mente, e invecchiare significa avvicinarsi sempre più, inesorabilmente, all’oltrepassamento di ogni sopportabilità di vivere”. Bella, come al solito, la lamentazione di Guido Ceronetti, stavolta sull’“invecchiamento smisurato”, su questo folle voler prolungare oltre il decente la vita che è solo un prolungare la vecchiaia, cosa di per se stessa indecente, per giunta provocando catastrofico “aggravamento karmico”. Sì, ma da che punto in poi? L’83enne non ha dubbi: “da ottantacinque anni”.

Guido Ceronetti è persona seria, non è come Mario Adinolfi che già da qualche anno ha smesso di chiedere dei trentenni alla guida del Pd, per chiedere dei quarantenni: Guido Ceronetti non ci deluderà, e tra due anni leverà disturbo al karma.

"Chi vive in questa zona, incluso noi, ha difficoltà a rendersi conto della situazione"



Puttanata per puttanata



Se ho capito bene, L’espresso ha chiesto ai suoi lettori “chi sarà tra cinque anni il leader del Pd” e la cosa ha generato tensione fra i candidati. Se non ho capito male, uno di questi ha prima criticato l’innocente giochino in quanto assai poco innocente, ma poi vi si è buttato subito a capofitto, giusto per dimostrare di non essere meno innocente, che da quelle parti deve essere sinonimo di fesso. Se ho capito bene, appena s’è scoperto che a costui il giochino piaceva, ma di brutto, è saltato il tavolo e si arrivati allo scambio di accuse fra i fan di questo, di quello, di quell’altro e di quell’altro ancora. Accuse cocentissime, perché si è arrivati al lancio della peggior accusa, quella di errore di ortografia: era scappato un turbolente al posto di turbolento.

Dimmi tu, caro il mio lettore, se non faccio bene nel frattempo a dedicarmi alla assai più seria puttanata di Fatima.

Ditemi se uno deve farsi trattare da coglione


“In relazione all’articolo apparso oggi su la Repubblica e riportante un’intervista asseritamente resa da mia moglie – dice – preciso di non condividerne il contenuto. In particolare, non è assolutamente conforme al vero la circostanza che io abbia deciso di non presentarmi dinanzi ai Pubblici ministeri di Perugia per non «creare problemi ai veri colpevoli» o a «persone molto più coinvolte di me»”.
Ditemi se uno deve farsi trattare da coglione in questo modo. Ha palesemente usato la moglie per mandare un elegante pizzino ai suoi compari (più o meno: “salvatemi il culo, sennò viene giù tutto”) e io dovrei bermi la pantomima.

Veniamo ai fatti. La moglie concede un’intervista a un giornale. Manco a un giornale qualsiasi, ma a la Repubblica. Dovremmo credere che in una situazione tanto delicata a casa Scajola non si sia concordato nulla su cosa dichiarare, e a chi? “Prego la stampa – dice – di non cercare di ottenere dichiarazioni dai miei familiari”: non faceva prima a pregare la moglie di non rilasciarne?
D’altra parte, non smentisce che la signora abbia davvero rilasciato quell’intervista, né che abbia davvero detto ciò che stamane riportava il giornale: si limita a dire che la moglie non ha detto il vero. “Preciso – aggiunge – che le uniche persone titolate a rilasciare dichiarazioni in merito alla nota vicenda siamo io e il mio legale”: non faceva prima a precisarlo alla signora?

Così intima e così poco addentro? Così poco prudente da inguaiare il marito con dichiarazioni tanto imbarazzanti da dover essere tempestivamente smentite? Poco attendibile anche quando avverte “attenzione perché mio marito è uno tosto”?

«Froci, la natura e il mondo vi ripudierà»


“Udine – Non si placa la polemica sull’affissione dei 100 manifesti di Arcigay e Arcilesbica in città. E non è soltanto polemica sulle idee, sui contenuti, sull’opportunità dell’inizitiva, ma anche contrapposizione che definire di cattivo gusto è un eufemismo. Ieri mattina, in diverse parti della città sono comparsi alcuni adesivi incollati ai muri o alle colonnine dei parcometri con la scritta «Froci, la natura e il mondo vi ripudierà»” (Il Friuli, 17.5.2010).

Non si tratta di banale errore grammaticale: il verbo è coniugato per la terza persona singolare per suggerire un’identità tra natura e mondo. Si tratta di un errore di Weltanschauung.

Un po' di comprensione per il logorio del secondino, illuministi del cazzo!


“Quanto alle punizioni corporali [inflitte agli ospiti degli orfanotrofi gestiti dal clero cattolico], anche qui sarebbe opportuno distinguere, cercare di capire. Immaginare ad esempio quale logorio rappresenti fare ogni giorno il guardiano, il secondino, magari con tutto l’amore possibile, ma anche con tutta la miseria che ci portiamo addosso. Non sarebbe difficile capirlo, se solo si volesse. Se non vi fosse nella nostra cultura quell’odioso pregiudizio illuminista che ci porta a guardare sempre tutto con aria di sopracciò, e di superiorità”
Francesco Agnoli, Il Foglio, 15.5.2010

Fogne a cielo aperto


L’intenzione era quella di “comprare a Marino, nei Castelli romani, la villa principesca che era appartenuta a Carlo Ponti e Sofia Loren per farne la sede di una associazione massonica, ma il tutto si era rivelato una truffa […] Era giù di morale”, monsignor Franco Camaldo, ma Angelo Balducci lo tirò su “con un prestito di 280 mila euro a fondo perduto” (La Stampa, 17.5.2010).
Mica illazioni. Si tratta di quello che i due hanno congiuntamente dichiarato, qualche anno fa, quando il primo fu coinvolto nei traffici di Vittorio Emanuele di Savoia, poi rinviato a giudizio per associazione a delinquere, e il secondo  vi si trovò invischiato, proprio per la sua amicizia con Sua Eccellenza, nel giro che già faceva fruttare gli interessi di Diego Anemone, con “l’acquisto di case che avrebbe poi intestato ai politici, ai funzionari statali e a quei religiosi che lo avrebbero agevolato nella concessione degli appalti pubblici, ma anche nei lavori di ristrutturazione di interi stabili” (Corriere della Sera, 7.5.2010).

Morto quando mortificato


“Le vicende a cui fa riferimento la terza parte del Segreto di Fatima sembrano ormai appartenere al passato”, diceva il cardinal Sodano, e il cardinal Ratzinger pareva concordare: “Nella misura in cui singoli eventi vengono rappresentati, essi ormai appartengono al passato”. Trovate tutto nel documento licenziato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel maggio del 2000, quando fu reso pubblico il contenuto della profezia che Giovanni Paolo II era sicuro si fosse realizzata nell’attentato da lui subito nel 1981: dopo aver attraversato una grande città mezza in rovina e dalle strade piene di cadaveri, giunto ai piedi di una croce in cima a una montagna, un papa veniva ucciso da un gruppo di soldati, insieme ai vescovi, ai preti e ai laici che l’avevano fin lì seguito. Wojtyla era sicuro che il valore e l’effetto di quella profezia fossero chiusi nel XX secolo: povero Sodano, povero Ratzinger, cosa avrebbero potuto obiettare?
E tuttavia, neanche sei mesi dopo, a chi gli faceva notare che, al contrario, la profezia sembrasse “aperta, in sviluppo ed in compimento futuro” (lettera di monsignor Paolo Maria Hnilica, 13.9.2000), Ratzinger rispondeva rettificando, quasi ritrattando: “Nel mio «Commento teologico» non intendevo attribuire esclusivamente al passato i contenuti del Segreto, in maniera semplicistica. Le grandi visioni hanno sempre una duplice dimensione: un significato immediato e vicino, ed un valore permanente. […] Scorgiamo nel Segreto di Fatima il martirologio del secolo scorso, nel quale si riflette però la persecuzione fino alla fine del mondo” (4.10.2000).
Così facendo, la profezia tornava riutilizzabile in futuro, meglio se integrata da quanto Lucia dos Santos aveva riportato nella sua Terza Memoria (visione di Giacinta), e che nella sequenza degli eventi rivelati andrebbe collocata prima dell’attraversamento della città semidistrutta: “Ho visto il Santo Padre in una casa molto grande, inginocchiato davanti a un tavolo, con le mani sul volto, in pianto. Fuori dalla casa c’era molta gente, alcuni tiravano sassi, altri imprecavano e dicevano molte parolacce” (pag. 124).
Come non cedere alla tentazione di riutilizzare la terza parte del Segreto di Fatima per intravvedere proprio Benedetto XVI in quel “vescovo vestito di bianco”? Quella descritta nella profezia sembra più simile alla Chiesa di Ratzinger che a quella di Wojtyla: “Rispetto al 2005 la fiducia nella Chiesa è scesa di 14 punti, mentre negli ultimi due anni il consenso verso Benedetto XVI si è ridotto di 9 punti percentuali” (Ilvo Diamanti, la Repubblica, 17.5.2010). Non fischiano ancora i sassi, ma quale profezia è leggibile fuor d’allegoria?

La profezia di un papa perseguitato e ucciso è ben antecedente a Fatima, la Chiesa ne ha prodotte molte analoghe, e sempre nei momenti in cui il primato di Pietro era messo in discussione.
Riforma protestante: “In quel tempo il Papa con i cardinali dovranno fuggire da Roma in circostanze tragiche per rifugiarsi in un luogo dove saranno sconosciuti. Il Papa morirà di una morte crudele nel suo esilio. Le sofferenze della Chiesa saranno molto più grandi che in ogni altro periodo della sua storia” (fra’ Giovanni di Cleftrock, intorno al 1600).
Rivoluzione francese: “La religione verrà perseguitata e i preti massacrati. Il Santo Padre sarà obbligato a lasciare Roma” (Beata Anna Maria Taigi, 1769-1837).
Napoleone Bonaparte: “Vedo il Santo Padre in grande angoscia. Egli vive in un palazzo diverso da quello di prima e vi ammette solo un numero limitato di amici a lui vicini. Temo che il Santo Padre soffrirà molte altre prove prima di morire. Vedo che la falsa chiesa delle tenebre sta facendo progressi, e vedo la tremenda influenza che essa ha sulla gente” (Beata Anna Caterina Emmerich, 1774-1824).
Porta Pia: Verso la fine del mondo i tiranni e la gente ostile improvvisamente deruberanno di tutte le loro proprietà i prelati e i religiosi della Chiesa e li affliggeranno e martirizzeranno dolorosamente. Quelli che li sottoporranno alle maggiori violenze verranno tenuti in grande stima. Il clero non può sfuggire a queste persecuzioni, ma a causa di esse tutti i servi della Chiesa saranno costretti a condurre una vita apostolica. In quel tempo il Papa con i cardinali dovranno fuggire da Roma in circostanze tragiche per rifugiarsi in un luogo dove saranno sconosciuti. Il Papa morirà di una morte crudele nel suo esilio. Le sofferenze della Chiesa saranno molto più grandi che in ogni altro periodo della sua storia” (Estatica di Tours, 1872).
Perfino un papa, Pio X, nel 1909 (otto anni prima di Fatima), angosciato dal liberalismo: “Ho visto uno dei miei successori che fuggiva scavalcando i corpi dei suoi fratelli. Egli troverà rifugio in incognito da qualche parte e dopo un breve periodo di isolamento morirà di morte violenta”.
Diciamo che la profezia di un papa perseguitato e ucciso è abituale passatempo nei momentacci neri. Il distillato del vittimismo di chi si sente morto quando mortificato.

Mansueto


“Sono pronto ad accettare consigli per un uso utile del web. Voi che siete sempre in rete, che consigli date a un vescovo?”. Sono certo che non vorrete far mancare i vostri suggerimenti a monsignor Mansueto Bianchi, che l’altrieri ha aperto un blog. Attenzione, qualcuno gli ha già suggerito di mettere in moderazione i commenti. 


domenica 16 maggio 2010

Quella cazzo di Mercedes




Bella, vero? È una decappottabile che la Mercedes Benz mise in vendita nel 1960. Hans Küng ne acquistò una uguale col denaro fruttatogli da un libro assai fortunato (The Council: Reform and Reunion, 1961), e con quella venne a Roma nel 1962, chiamato come consulente al Concilio Vaticano II.
Un giorno, Hans Küng ebbe la malaugurata idea di invitare un suo collega a fare un giro in auto. Più o meno della sua stessa età, anche lui tedesco, anche lui teologo, anche lui chiamato a Roma come consulente al Concilio, Joseph Ratzinger accettò. Vi offro una veduta dell’interno della vettura,



immaginate Küng alla guida, Ratzinger al suo fianco e tutto intorno Roma, bellissima come sempre a primavera. Ma per entrare meglio nella scena – tra poco vedremo che si tratta di una “scena primaria”, nella quale ogni dettaglio ha la sua importanza – vi offro pure un ritratto dei due all’epoca del fatto.


Bene, la rivalità professionale è cosa naturale e invidiare le fortune dei rivali è cosa umana. Una Mercedes rossa, poi, può ferire di brutto. Quasi per sillogismo, Joseph fa: “Hans, stai diventando troppo évident”.

La “scena primaria” ha la sua porca importanza nel tentativo di spiegare cosa porterà Ratzinger, da posizioni in tutto simili a quelle di Küng, a posizioni pressoché opposte. Da subito però anticipiamo che non mancherà di rifarsi della bruciante invidia di quel giorno: appena fatto papa, inviterà subito Küng a Castel Gandolfo, che a cilindrata batte ogni decappottabile.
Quella cazzo di Mercedes non smetterà più di torturare Ratzinger, per oltre quarant’anni. Possiamo esserne certi perché non ha mai smesso di raccontare quel giro in auto di tanti anni prima per sottolineare che fin da quel giorno in Küng era in embrione “the dissident theologian as international media star”: superfluo sottolineare, perché più che implicito, che in chi glielo rimproverava fin da allora fosse in embrione il “semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore” destinato alla guida di ben più prestigioso volante.

sabato 15 maggio 2010

O tempora o mores



Dove son più i bei tempi in cui l’ultimo avviso ti arrivava con la testa mozza di un cavallo? Oggi, ti mandano la coda di una allegoria.

venerdì 14 maggio 2010

Segnalazione

Del Mou di cui nessuno parla.

[...]


Prima della condanna definitiva a 5 anni e 4 mesi per associazione a delinquere e corruzione, anzi, assai prima della condanna in primo grado, quando era ancora indagato, Francesco De Lorenzo rigettava ogni accusa con un argomento che sembrava fortissimo: sono ricco, non ho bisogno di rubare. Oggi, Silvio Berlusconi pensa sia argomento riutilizzabile: “La gente è consapevole di quanto ho costruito da solo, prima di entrare in politica, sa che il mio spirito non può essere la ricerca di un arricchimento”.

Porco Giuda!


“Cari fratelli e sorelle, «sta scritto […] nel libro dei Salmi: […] il suo incarico lo prenda un altro. Bisogna dunque che […] uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione» (At 1, 20-22). Così disse Pietro, leggendo ed interpretando la parola di Dio in mezzo ai suoi fratelli, radunati nel Cenacolo dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo. Fu scelto Mattia…”.
Sua Santità attacca l’omelia citando gli Atti degli Apostoli nel punto in cui c’è da scegliere un sostituto di Giuda, ma evita di citare il suo nome e i puntini sospensivi eliminano ogni collegamento – anche indiretto – all’apostolo traditore.
Poco oltre cita ancora Mattia, così “associato agli undici apostoli” (At 1, 26), ma senza spiegare che si tratta del 13°: non parliamo del 12°, per piacere, era un fetente, anzi, un porco (il famoso porco Giuda).
Siamo alla rimozione delle ragioni che spingono a colmare il posto lasciato vuoto. C’è bisogno di nuovi preti, ma evitiamo spiegazioni sul perché del buco: chi conosce gli Atti sa, per tutti gli altri è reclutamento ordinario.

Fare finta!


Piegatura in ottavo parallelo, intestazione della Segreteria della Camera dei Deputati, grafia che Gianfranco Fini non ha negato essere sua, ci è stato mostrato il particolare di un foglio sul quale abbiamo letto «fare pace? fare finta!»: un brevi manu a Walter Veltroni, s’è detto, ma “con buona pace di tutti i dietrologi – era la pronta smentita – [quanto scritto su quel foglio] si richiamava a un riferimento storico illustrato da Amato, che in quel momento stava parlando del ruolo della Comunità di Sant’Egidio nel difficile conflitto tra Serbia e Kosovo”.
Abbiamo un documento audiovideo di quell’incontro, possiamo verificare, e abbiamo due elementi a disposizione.

(1) L’intervento di Giuliano Amato.
Un commento come «fare pace? fare finta!» può avere un qualche senso, e in quale punto? Con tutta la buona volontà, non si capisce. Questo elemento a disposizione non chiarisce, anzi, confonde.

(2) Una presumibile traccia di quel foglio. E qui siamo più fortunati.
Il video apre su Fini: qui nessun foglio sporge dal taschino della sua giacca per tutto il tempo in cui è inquadrato in primo piano (00:00-08:33); né vi sporge alla fine dell’intervento dell’oratore che gli succede, Franco Frattini (come è evidente in 21:43-21:48); sporge, invece, alla fine dell’intervento del terzo oratore, Walter Veltroni (come evidente in 31:35-32:02).
Se quello che sporge dal taschino della giacca di Fini è proprio il foglio di cui stiamo parlando, «fare pace? fare finta!» non è stato scritto a commento di un richiamo storico illustrato da Amato, per il semplice fatto che fin lì Amato non aveva ancora parlato: era il quarto oratore.
Non ci resta che tenere d’occhio il taschino della giacca di Fini: se il foglio rimarrà lì fino alla fine, e il Presidente lo porterà via con sé, non può essere lo stesso foglio che sarà poi trovato sul tavolo, recuperato da un cronista.
Il foglio è ancora lì alla fine dell’intervento di Amato (47:53-48:02), e nelle inquadrature che riprendono Fini nel corso del quinto ed ultimo intervento (Marco Impagliazzo), ma non vi è più alla fine dell’incontro (01:00:39-01:01:03): è quello rimasto sul tavolo.
Non è stato scritto mentre parlava Amato, non era un appunto da portare via.

Radici



La spossatezza del commentatore


La pedofilia. Quella dei preti. Che poi neanche di quello si tratta, ma di abusi sessuali su minori commessi da preti. Bene, come vogliamo definire lo sdegno delle opinioni pubbliche dinanzi alla rivelazione di tanti episodi criminali del genere in tutto il mondo? “Barnum antipedofilo”, pensate possa andar bene? Volendo trascurare l’orrore del crimine per concentrarci solo sull’intensità dello sdegno – mettiamo caso che si voglia argomentare in difesa delle gerarchie ecclesiastiche che hanno coperto e favorito il crimine – può anche andar bene: l’immagine del circo (mediatico-giudiziario) torna utile.
Bene, ora leggiamo: “Psicopatologia shakespeariana del perverso barnum antipedofilo”, e scopriamo che a muovere questo circo è una perversione. Strano, vero? Uno avrebbe detto che in questione fosse la perversione dei preti: sbagliato, la perversione sta nello sdegno ad essa, per “proiezione”. La “proiezione” tramuta in sdegno il desiderio di stuprare bambini che sta nell’inconscio di quanti si sdegnano per lo stupro di tanti bambini: elegante, vero? E mica è tutto.
L’elegantone che suggerisce questa spiegazione psicoanalitica dello sdegno che sta grandinando addosso alle gerarchie ecclesiastiche, per spiegarci che è psicopatologia, risale da Freud a Shakespeare, come da bignamino alla voce Psicoanalisi (se aveva più spazio a disposizione ci metteva pure gli altri pre-freudiani: Sofocle, Nietzsche, Dostoevski…).

Ci sono articoli che ti lasciano senza parole, perché le ultime sono inservibili, suonano come insulto. Riproduco qui sotto quello di cui è capace Ruggero Guarini. Fate voi, a me ha spossato.

giovedì 13 maggio 2010

C'è sempre chi sa far più di te


Neanche il tempo di dire che D’Alema è la peggior sciagura del Pd, e Veltroni riappare per farti venire dei dubbi.

Tridimensionale!




Detto con simpatia, Berlicche è uno stronzetto di cui consiglio la lettura a chiunque abbia l’hobby della demistificazione, a mo’ di stretching.
Vi viene voglia di smontare a pezzettini la questione del Filioque? Un post di Berlicche vi preparerà il muscolo. Esempio?
Vi è venuta voglia di mettere un po’ di ordine fra tutte le puttanate raccontate da chi ritiene autentica la Sindone? Basterebbe il piccolo saggio di Luigi Garlaschelli sull’ultimo numero di MicroMega, ma se proprio avete la fissa del fai-da-te e volete affrontare qualche quintale di cartaceo, scaldatevi con questo post di Berlicche.

“Cari amici laicisti, […] io sono cattolico e la mia fede non poggia su quel telo; se saltasse fuori che [la Sindone] è stata fatta nel Medioevo, come sostenete, ne prenderei nota e basta. Però, se fosse stata realizzata da qualche ignoto protoscienziato del 1300, allora quello che vorrei veramente è il brevetto”.
Troverete questo rivoltare la frittata in quasi tutti quelli che sono stati in difficoltà con le prove materiali: se la Sindone è un falso, dimmi come è stata falsificata; se non sai dirmelo, tutte le evidenze contrarie alla sua autenticità perdono sostanza; e allora sono autorizzato pure ad appoggiarci la mia fede, ma giusto un pochino, e tu mi devi lasciar fare, senza darmi del cretino.

“Una procedura per imprimere un’immagine su un telo che non usa pigmenti”, dice Berlicche, come se non fosse possibile.
“Con una nitidezza di particolari impressionante”, dice, “e con informazioni tridimensionali!”, esclama. E qui lo stretching arriva all’estensione che potremmo definire autodimostrativa: Berlicche lo sa che, se la maschera di Agamennone sta alla faccia di Agamennone, la faccia di Cristo sulla Sindone sta al muso di un levriero afgano?

A gentile richiesta, due parole su Di Pietro


Paolo Garbet mi fa: “Nel 99% dei casi mi trovo d’accordo con tutto quello che lei scrive, ma quando parla di Di Pietro non la seguo più. In un paese devastato da corruzione e illegalità, e definitivamente seppellito da un debito pubblico che in parte è causato proprio dalla corruzione, c’è un solo politico che ha il coraggio di dire: chi delinque deve andare in galera. D’accordo, non sarà il massimo come eloquenza o leadership, ma perché stroncarlo in questo modo?”.
Ottimo argomento per un post, ma bisogna rettificare due o tre cosette. Mai rimproverato a Di Pietro deficit di eloquenza, perché quello è il suo deficit più scusabile, mentre ne ha uno che mi è sempre parso incolmabile, e su quello – quasi solo su quello – ho sempre appuntato le mie critiche (stroncature mi pare termine esagerato): il deficit di quella cultura che riconosce garanzie all’indagato, all’imputato e al condannato.

Ciò che mi dà un fastidio davvero insopportabile in Di Pietro – da sempre, fin dal 1992 – è la sua insofferenza ai limiti che l’indagine deve rispettare per non degenerare in tortura (fisica e psicologica), ai limiti che sono posti alla pubblica accusa in quella sostanza che fa la forma della procedura (penso che siano meglio dieci colpevoli in libertà che un solo innocente in carcere), ai limiti che devono essere posti alla pena perché non si esaurisca in vendetta, funzione che peraltro non le è nemmeno riconosciuta (dovrebbe essere finalizza al recupero del condannato, diteglielo).
Non mi si fraintenda: credo nella necessità di combattere la corruzione e l’illegalità, e credo nella necessità della certezza della pena, tutt’è capire a quale prezzo, e ritengo che quello chiesto da Di Pietro costi un di più che serve a reclutare consenso.

Qui mi torna utile l’osservazione che mi fa un lettore che si firma incubomigliore: “Di Pietro, a mio parere, veste i panni di un semplice notaio, più che di un giustizialista. Il problema è che da noi pure il notaio diventa un barbaro forcaiolo se dall’altra parte la menzogna è imperativo. La metafora, l’iperbole e l’esagerazione e le loro eco fanno poi parte sicuramente del costume politico in generale, e del personaggio più in particolare, ma esse non sono da essere confuse con la sostanza”.
La sostanza sarebbe che gli arresti domiciliari equivalgono alla libertà per i passati in giudicato all’ultimo anno di detenzione? Era una proposta fatta per rendere un poco più decenti le nostre carceri sovraffollate: quale retroterra culturale la rigetta perché gli arresti domiciliari equivarrebbero allo sconto di un anno sulla pena?

Ma naturalmente non si tratta solo della cultura del diritto. Di Pietro non mi piace perché è speculare a Berlusconi. Come lui, è il suo partito e – insieme – ne è il proprietario, sicché come Berlusconi esagera nel mostrarsi padrone di sé, ma ne ha tutto il diritto. Troppo per chi, come me, ha orrore dei partiti come momento di promanazione carismatica e/o patrimoniale. (Insieme a Berlusconi e a Di Pietro metto pure Pannella e Bossi.)
D’altra materia rispetto a quelle usate da Berlusconi, ma le sue metafore, le sue iperboli e le sue esagerazioni hanno in comune a quelle la cifra populista, sentimentalista, con irrimediabile vocazione plebiscitaria, negazione più che esplicita di quell’apatia e dello scetticismo che dovrebbero fare la neutra laicità (in senso lato) dello spazio liberaldemocratico.

Sull’Italia dei Valori non vorrei dire troppo, mi fido di quello che ho letto su un numero di MicroMega di qualche tempo fa. (Non mi risulta che MicroMega sia rivista ostile a Di Pietro, ma l’affresco del suo partito era di merda: in mezzo a tanta brava gente, certi figuri di pessima fama, e pessimissima pure. Partito tutt’altro che adamantino, e mi pare che Di Pietro l’abbia pure ammesso, almeno in parte. E non parlo di Sergio De Gregorio, ma di roba recentissima. A naso, ho il sospetto che ce ne sia di molt’altra, per ora sommersa. Ma non vorrei che questo sospetto mi stigmatizzasse come dietrologo, forcaiolo e giustizialista, tanto meno come irrispettoso dell’onore di tutti e di ciascuno: diciamo che parlo del tutt’insieme.)

In ultimo, come fa l’antisemita che vanta di avere molti amici ebrei, vorrei dire la mia figlia maggiore vota IdV e che alle ultime regionali ho curato la campagna elettorale di un candidato dell’IdV in Campania, a gratis. Testi assai vibranti, ho scimmiottato Travaglio.