martedì 1 giugno 2010

Eccesso di legittima difesa, niente di più



Ho fatto l’errore di pensare che potessi sottrarmi all’obbligo del temino in classe che la tragica vicenda nel mare a largo di Gaza ha posto alla blogosfera – su certi argomenti è praticamente impossibile tacere – col sottoscrivere un post di Stefano, per giunta aggiungendo “fino all’ultima virgola”. Mi pento, perché su un tema tanto delicato come quello dell’annoso conflitto israelo-palestinese è meglio che ogni avverbio ed ogni aggettivo siano scelti a propria misura, anche quando la propria posizione è sovrapponibile a quella del governo israeliano o a quella di Hamas. È che su questo tema non ho mai taciuto, e sempre in esplicito favore di Israele, per ragioni che non hanno niente a che vedere con un benevolo pregiudizio razziale e/o religioso, come pretestuosamente insinua Jabberwockita, che evidentemente non mi conosce (l’ebraismo mi sta sul cazzo non meno del cattolicesimo, penso che sia razzista considerare gli ebrei appartenenti ad una razza, almeno dal XVI secolo in poi): sono filo-israeliano perché vicino ad Israele con la ragione (storica) e la passione (politica).

Israele difende il suo diritto ad esistere, messo in discussione – fino ad essere negato – dai palestinesi e dai suoi sempre pessimi alleati. È stato così dal 1948, senza interruzioni: ce n’è abbastanza per spiegare qualche nervosismo e qualche eccesso di legittima difesa, anche destinato a rivelarsi – come stavolta – assai controproducente. Qualcosa è andato storto, senza dubbio, e forse si sarebbe potuto evitare. Di fatto – e qui torno al post di Stefano – c’è di sicuro quanto segue:

(1) “Erano giorni che le navi cercavano di attraccare a Gaza. Ieri sera, verso le dieci è stato comunicato loro che avrebbero potuto attraccare al porto di Ashdod, in Israele, dove avrebbero potuto scaricare gli aiuti umanitari che dicevano di trasportare, e da lì, sotto la sorveglianza israeliana ma alla presenza degli attivisti, le merci sarebbero state trasferite, via terra, a Gaza. Qual era il problema? Se l’intento dei “pacifisti” era di portare aiuti umanitari e sollievo agli abitanti di Gaza, questo sarebbe stato soddisfatto. E Israele avrebbe avuta garantita la propria sicurezza, potendo verificare se il carico era davvero in regola. La risposta è stata negativa, il che ha dimostrato che degli aiuti umanitari gliene importava ben poco”.
(2) “I «pacifisti» [erano] armati di spranghe, coltelli e (forse) anche armi, che non hanno esitato a usare contro i soldati che sbarcavano sulla nave”.
(3) “Il padre di Gilad Shalit - il giovane soldato di Tsahal da quattro anni prigioniero di Hamas - aveva proposto ai «pacifisti» delle navi una specie di scambio: lui e la sua famiglia li avrebbero sostenuti se loro, incontrando i leader di Hamas, li avessero convinti a permettere alla Croce Rossa di visitare il figlio. La risposta [è stata negativa]: ai «pacifisti» interessava solo rompere l’assedio”. È il caso di sottolineare che questo assedio segue il documentato rifornimento palestinese di materiale bellico da parte di Cina, Iran e spezzoni del movimento jihadista”.
(4) “L’accesso a Gaza è chiuso e controllato da Israele […] perché da quando, cinque anni fa, gli israeliani se ne sono ritirati e l’hanno lasciata alla gestione dei palestinesi, questi hanno scelto come governanti dei terroristi, [che] hanno usato il territorio (soprattutto dove era densamente popolato ed espressamente in mezzo alla loro stessa popolazione civile) per lanciare razzi mirati di proposito ai civili israeliani”.
Non faccio alcuna fatica ad ammettere che quella consumatasi nelle acque a largo di Gaza sia stata un’operazione tragicamente viziata da un eccesso di legittima difesa, e mi scuso con chi non riesce a vedere altro che vittime nei palestinesi, ma, a fronte di ogni apertura da parte di Israele, la risposta di chi li rappresenta e strumentalizza, li usa e li esaspera (sempre a fini diversi dall’unica possibile soluzione: due popoli e due stati), è sempre stata violenta, dalla Guerra dei sei giorni fino ad oggi. Tanto per tacere l’uso bellico che le autorità palestinesi fanno del popolo palestinese, a cominciare dai bambini e dalle donne. Nulla giustifica imbottire ragazzini di esplosivo per mandarli a morire in nome di Allah in un ristorante o in un bar di Jaffa Road: nessuna disperazione, solo una cieca e belluina pazzia. Nella quale ormai i palestinesi non sanno più trovare via d’uscita, drogati dall’illusione che la distruzione di Israele spiani la strada a chissà quale felicità.
Gli ebrei sono figli di quella terra, come i palestinesi, da millenni. Israele l’ha capito e spesso ha offerto ritirate in vista di una soluzione che ne tenesse conto, ma che non hanno mai incontrato la disponibilità palestinese a discutere, sicché a tutt’oggi – dopo essersi fatti usare da Egitto, Libia, Siria, Iraq, Iran e Al Qaida – ai palestinesi non resta che piangere.

Non volevo convincere nessuno, non m’illudo d’esserci riuscito nemmeno per puro caso, e mi scuso se avverbi e aggettivi possano essere sembrati duri: non volevano esserlo, ma non potevano non correre questo rischio.

Bonus


La Regione Lombardia mette a disposizione di ogni donna che presenti richiesta di interruzione di gravidanza, se spinta a questa decisione da ragioni di natura economica, un bonus di 4.500 euro, affinché ci ripensi. Prim’ancora che odiosamente paternalistica, è iniziativa cretina: destinata a dare scarsi risultati, come tutte le operazioni di ingegneria demografica calibrate su modelli ideologici, e buona solo ad aprire un capitolato di spesa sociale parassitaria, come mi accingo a dimostrare.
Già in premessa è posta una questione delicata: la legge 194 non indica alcun limite sotto il quale l’interruzione di gravidanza è autorizzata e sopra il quale, invece, è negata. E questo senza tener conto del fatto che ragioni di natura economica e ragioni di natura psicologica sono a tal punto inestricabili nella decisione di abortire – come peraltro dimostrano le statistiche – che solo un idiota può pensare di separarle, prima, e di banalizzarle, poi. E dunque ogni donna non abbiente potrà dirsi indigente al fine di portare avanti una gravidanza, a meno che la Regione Lombardia non voglia arbitrariamente emendare la legge 194 introducendo un redditometro ad hoc. Che peraltro sarebbe discriminatorio – fatalmente discriminatorio – per quell’embrione che si trovasse per sua sfortuna nell’utero di una donna con quel tanto di euro in più da non essere considerata indigente dalla Regione Lombardia, ma da se stessa – con avallo dell’assistente sociale – sì. Né possiamo ritenere credibile che l’assistente sociale e lo psicologo chiamati a dare un parere in merito alle ragioni che portano la gravida a chiedere l’interruzione di gravidanza possano parametrare le loro considerazioni sulla base di una circolare regionale.
Ce n’è di che chiedere il bonus di 4.500 euro anche – direi soprattutto – se non si ha intenzione di interrompere la gravidanza: qualora venga negata l’erogazione perché le condizioni economiche della richiedente siano migliori di quelle che la Regione Lombardia ritiene degne del sostegno, l’embrione avrebbe la sorte segnata, per colpa della madre snaturata, forse, ma certamente per il tetto posto da Roberto Formigoni, fottuto co-assassino.
Un’iniziativa come quella decisa dalla Regione Lombardia apre la via a una variazione sul tema delle “false invalidità”. Auguri al signor Governatore che, in preda al delirio di onnipotenza di chi si crede grande architetto della società, non si chiede perché una donna povera può decidere di non abortire anche senza bonus ed una meno povera di lei, anche se non di troppo, può decidere di interrompere la gravidanza anche se le viene offerto un bonus.

"Gli ebrei piacciono solo quando sono vittime"



Stefano mi risparmia la fatica di un post: sottoscrivo il suo fino all’ultima virgola.

Christian Rocca lascia Il Foglio




lunedì 31 maggio 2010

Prototype 6




Sicofante, mai




“Se è stato in nome di Forza Italia e della discesa in politica di Berlusconi
che sono state messe le bombe del 1993, perché la mafia e il partito
del capo del governo convergevano nello stesso progetto eversivo,
lo si dica apertamente, assumendosene la responsabilità,
e lo si statuisca con prove; altrimenti si consideri ufficialmente
un calunniatore, un sicofante e un criminale chi sparge questi veleni per l’aria”
Giuliano Ferrara (Il Foglio, 31.5.2010)


Chiamato a deporre al processo d’appello che vede Marcello Dell’Utri imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, il 4 dicembre 2009, Gaspare Spatuzza si è trattenuto a lungo, apparentemente senza una ragione, sull’ordine ricevuto da Giuseppe Graviano nel 1993: installare alcuni cartelloni pubblicitari in località Brancaccio. Nessuno ha chiesto a Spatuzza cosa pubblicizzassero quei 6x3, nemmeno quando ha detto che pochi mesi dopo, nel 1994, per ordine dello stesso Graviano, ebbe l’ordine di rimuoverli, avendo cura di fare sparire anche i basamenti in cemento, come a cancellare ogni traccia della loro pregressa installazione.
Su questa incomprensibile leggerezza del procuratore generale, Antonino Gatto, e del presidente della corte d’appello, Claudio Dell’Acqua, ho già espresso il mio stupore, in un post nel quale ho avanzato l’ipotesi che su quei 6x3 ci fosse il “Fozza, Itaia!” che serviva a testare il marchio che di lì a poco sarebbe stato il nome di un partito. E concludevo: “Ma è possibile che a nessuno interessi cosa cazzo pubblicizzassero quei cartelloni per i quali si muove in prima persona un capomandamento?”.

Ecco, dovessi spiegare la mia posizione sulle illazioni – le chiamo illazioni, vedete? – che collegano Silvio Berlusconi alla mafia e alla stagione degli attentati del 1993, la farei dipendere dalla risposta di Gaspare Spatuzza alla domanda che non gli è stata fatta, previo riscontro naturalmente. Perché non ci sono dubbi sul fatto che l’operazione “Fozza, Itaia!” sia stata un ballon d’essai che l’équipe di esperti assoldata da Silvio Berlusconi lanciò per sondare il mercato dei consensi, peraltro senza badare a spese (11.300 poster murali, 11.000 cartelloni su tram e autobus, 3.000 pannelli nelle stazioni di servizio), come quando la partita è grossa.
Se la mafia si prestò a reggere il filo di quel ballon, il collegamento tra Berlusconi e gli attentati del 1993 è in quel filo, e Carlo Azeglio Ciampi e Pietro Grasso avrebbero ragione. Ma io non so cosa pubblicizzassero quei cartelloni pubblicitari che per la mafia era importantissimo piazzare a Brancaccio, prima, e importantissimo fare sparire, poi. Sicché al momento sospendo ogni giudizio: non reggerei al “sicofante” che mi appiopperebbe Ferrara.


Nota
Al post che ho linkato tenevo tanto, ma non se lo cagò nessuno. Dovevo aspettare Polisblog, cui esprimo commossa gratitudine.

Siamo onesti, via, non tutti i preti sono pedofili



Ci sono pure quelli che gli abusi sessuali preferiscono compierli su donne in coma o affette da patologie psichiatriche.

E io perciò li schifo, i vaticanisti italiani


In articolo a firma di Maria Antonietta Calabrò (Corriere della Sera, 28.5.2010) erano riportati alcuni brani del diario del cardinale Celso Costantini, presentato due giorni fa a Roma: Ai margini della guerra (1938-1947), Marcianum Press 2010 (pagg. 638, € 50,00). Una frase più di tutte è parsa degna di attenzione, almeno al titolista: “Per noi Hitler è l’Anticristo”. Scritta il 19 aprile 1940, la frase è in realtà un po’ diversa: “Per noi Hitler è un persecutore della religione, è l’Anticristo”. Naturalmente non lo era nel 1933, sennò la Chiesa non vi sarebbe andata a Concordato, e dunque quando lo è diventato? Quando si è rivelato “persecutore della religione”.
La formula è corretta, perché Hitler non fu persecutore di tutte le confessioni religiose, anzi, verso il protestantesimo fu assai morbido, ricambiato fino alla fine dei suoi giorni: “la religione”, per il Costantini, è quella per antonomasia, l’unica vera, la sua, quella cattolica. La sua frase, dunque, non rivela affatto un giudizio della Chiesa sulla figura di Hitler complessivamente intesa, e l’evocazione dell’Anticristo è fuorviante se non si tiene presente che la Chiesa di Roma sarebbe il Cristo vivente.
Bene, ma quand’è che Hitler diventa l’Anticristo? Quando brucia il Parlamento? Quando fa fuori oppositori esterni ed interni al suo partito? Quando comincia a eliminare ebrei, zingari, omosessuali, ecc.? No, fin lì non lo è ancora, e infatti il Cristo vivente ha poco o niente da ridire: come cominciano a toccargli i privilegi in terra di Germania, voilà, Hitler comincia a diventare l’Anticristo. E tuttavia i nazisti non saranno mai scomunicati.

Possiamo ritenere che il “noi” del Costantini riguardi davvero la Chiesa di Roma e il papato di Pio XII, ma non era necessario chiarire il resto? Per Andrea Tornielli, no.
Accade questo: Benedetto XVI fa un cenno al diario del Costantini (Angelus, 30.5.2010) come ennesima testimonianza dell’“l’immensa opera compiuta dalla Santa Sede in quegli anni drammatici [sottinteso: per volere di quel santo di Pio XII] per favorire la pace e soccorrere tutti i bisognosi [sottinteso: pure degli ebrei]; e il vaticanista di casa Berlusconi dà conto di questo cenno, avallando gli autorevoli sottintesi con quella frase e chiosando: “Questa era dunque la percezione che Pio XII e i suoi più stretti collaboratori avevano del Führer di Berlino”.
Quando e perché maturò questa percezione? Andrea Tornielli non lo scrive. E io perciò li schifo, i vaticanisti italiani.

Dovendo giocoforza avallare, a Tornielli tornava utile solo quella frase, e solo quella ha usato, rinunciando ad ogni rilievo critico, come un garzone di Sala Stampa Vaticana. Sotto gli occhi, per esempio, aveva fra i virgolettati: “Ho visto la fotografia di torme di ebrei che dopo aver scavato la fossa sono stati uccisi alla rinfusa e gettati nelle fosse: c’erano donne, vecchi, bambini, uomini”. Nel diario del Costantini la pagina è alla data 20.4.1943, alcuni mesi prima che le Ss rastrellassero il Ghetto di Roma, sotto gli occhi di Pio XII, che evidentemente sapeva la fine che avrebbero avuto quei deportati. Perché delle due una: o il “noi” del Costantini comprende Pio XII o non lo comprende. Per Tornielli lo comprende, ma questa frase non gli pare degna di rilievo, men che meno di riflessione critica sul silenzio del Pacelli.
Tornielli non ci informa, ci rifila le pappine predigerite spacciate dalla propaganda vaticana. D’altra parte, poverino, non è altro che un vaticanista italiano, ha tre figli e deve pur campare.


A parte
Il cardinale Celso Costantini aveva una cosa in comune con l’Anticristo: l’avversione per l’“arte degenerata”. In un saggio dal titolo Fede e arte, pubblicato dalla Rivista Internazionale di Arte Sacra (V/1955, pagg. 130-160), si intratteneva sulle “cause dell’epidemia lebbrosa dell’arte moderna”, colpevole di “disintegrare la natura esterna dandoci delle visioni soggettivistiche, deformatrici del vero e riflettenti i truculenti fantasmi d’una fantasia esaltata”, e così lamentava: “Oggidì assistiamo a un ricorso di decadenza, l’arte bamboleggia falsamente rifacendo l’arte rude dei popoli delle caverne”; e però coltivando una speranza: “La moda del deforme passerà come passano tutte le mode”.
Nel saggio, che sembra scritto da un Goebbels appena un po’ sedato col bromuro, il Costantini si chiedeva: “Quale virus, quale infezione ha ridotto a questo stato patologico l’arte? Quali sono le profonde cause per le quali l’arte moderna rinnega i canoni eterni e universali della bellezza?”. Qui Sua Eminenza volava alto tra filosofia e psicologia, ma solo per arrivare alla causa delle cause: “la mancanza di mecenati”. E scriveva: “Un tempo la Chiesa e i Principi erano i grandi e intelligenti mecenati delle arti. I Principi volevano un’arte, che celebrasse la loro potenza, e gli ecclesiastici promovevano un’arte che contribuisse allo splendore e all’efficacia del culto. Le rivoluzioni hanno impoverito le chiese, gli Ordini religiosi e le confraternite e hanno detronizzato i Principi. Il mecenatismo è ora rappresentato dai Governi e, in piccola parte, dalla ricca borghesia. Ma i Governi, legati alla rotazione dei partiti, non hanno un proprio programma artistico; secondano le correnti del giorno col presupposto d’incoraggiare l’arte e di raccogliere anche i documenti dell’arte patologica”.
“Arte patologica”: gli assistenti dell’Anticristo avrebbero detto “entartete Kunst”.

domenica 30 maggio 2010

Un club di svagati


La Fondazione «Il Vittoriale degli Italiani» di Gardone Riviera (Brescia) non percepisce più alcun finanziamento statale dal 1° gennaio 2010, come fa notare Giordano Bruno Guerri, che ne è presidente: “Ho intrapreso la strada della privatizzazione anni fa e l’ho portata a termine l’anno scorso” *. Ciò nonostante, la Fondazione risulta nell’elenco dei 232 enti culturali che subirebbero consistenti tagli del finanziamento pubblico qualora fosse promulgata la manovra finanziaria attualmente al vaglio del Quirinale, almeno stando alla lista diffusa ieri da ansa.it (n° 150) *.
Questo potrebbe spiegare l’errore in cui è incorso il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, che nel dirsi contrario alla drastica misura, della quale ha peraltro dichiarato di non saper nulla (si è lamentato di sentirsi “esautorato”), ha precisato: “Penso che molti enti debbano essere soppressi, tuttavia ci sono degli enti e delle istituzioni, cito il Centro sperimentale di cinematografia e il Vittoriale…” *. All’oscuro della lista preparata dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, avrà scorso l’elenco pubblicato da ansa.it, lì vi ha trovato il Vittoriale e… Così si spiega il granchio?

Non quadra. La manovra è stata approvata dal Consiglio dei ministri, era lì che Bondi avrebbe dovuto manifestare il suo dissenso. C’è una sola spiegazione: ha dato il suo parere favorevole senza neanche aver letto l’elenco.
A questo punto, però, l’attenzione si sposta sulla lista stilata da Tremonti. È la stessa diffusa da ansa.it? Include il Vittoriale? E come poteva includerla se lo stesso governo ha approvato fin dal giugno 2009 il decreto che formalizzava la privatizzazione della Fondazione *? Tremonti non ne era a conoscenza? Se l’elenco che ha stilato è quello diffuso da ansa.it, no, non ne era a conoscenza.
Non è un governo, è un club di svagati.

Un enorme tritacarne


Non c’era bisogno di conferma, ma eccola, ci è offerta dal promotore di giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor Charles Scicluna, che dal pulpito, bel bello, se ne viene con l’augurio di morte – naturalmente per il loro bene – ai preti che hanno commesso abusi sessuali su minori.
La prima versione della Crimen sollicitationis è del 1922, ma prima chi sognava di accusare un prete di violenza su un minore? Formalmente protetti per decenni, sostanzialmente autorizzati a perpetrare i loro crimini di diocesi in diocesi, praticamente inesistenti, da un giorno all’altro i preti pedofili sono diventati un problema. Malati nell’anima e nella mente, dapprima, e cioè bisognosi di cure umane e di misericordia divina.
Denunciarli? Macché, di nuovo pareva esserci soltanto il venir meno del favoreggiamento: la Chiesa prometteva di non insabbiare più e consentiva alla giustizia civile di fare il suo corso, bastava fosse chiaro che un prete pedofilo è più pedofilo che prete, e che quindi ogni risarcimento non spettasse alla Santa Sede.
Ora non basta più, c’è quasi il pastorale invito al suicidio, insieme a un bel lavarsene le mani: “Se il mio amico, il mio compagno, la persona a me cara è per me occasione di peccato, è per me un inciampo nel mio peregrinare io non ho altra scelta secondo il criterio del Signore se non di tagliare questo legame”. Traduzione: fino a quando posso coprire lo scandalo, la persona a me cara mi rimane cara; quando non posso più, perché il suo peccato rende evidente la mia complicità, me ne disfo; anzi, sarebbe assai carino se la persona a me cara volesse dimostrarsi tanto carina da evitarmi questo fastidio.
Ed ecco che la macina al collo, fino a ieri invocata solo dai laicisti più giustizialisti, diventa la soluzione ottimale pure per le alte gerarchie vaticane. Prevedo molti collaboratori di giustizia fra i preti pedofili, è quello che normalmente avviene quando un’organizzazione criminale nega ogni sorta di aiuto ai suoi affiliati che si son venuti a trovar guai con la legge.

Non c’era bisogno di conferma, dicevo, la Chiesa cattolica ha un unico fine, sempre lo stesso, da sempre: sopravvivere a qualsiasi costo. Stavolta il costo è la parte più imbarazzante del suo clero, che quanto pare deve essere sacrificata. Un sacrificio che non è poi molto diverso da quello che si paga con la parte più prestigiosa del suo clero, quei martiri della fede mandati a far proseliti in partibus infidelium.
Un enorme tritacarne, la Chiesa cattolica, e ogni genere di carne le torna buona per cagare potere.

sabato 29 maggio 2010

Appunti dei quali potrei fare a meno sulla tv della quale potrei fare a meno


Lo Speciale Omnibus su Walter Tobagi andato in onda ieri sera su La7 era una replica, lo scopro solo dopo, su Wikipedia, alla voce «Antonello Piroso», dove arrivo mosso da una curiosità di cui dirò più avanti: “L’1 settembre 2008 – leggo – La7 ha trasmesso «Dove eravamo rimasti?», in memoria di Enzo Tortora, monologo di 90 minuti in cui Piroso ha ripercorso la vicenda giudiziarie del noto presentatore […] Il 4 settembre 2009 ha replicato il modello della trasmissione raccontando in due ore e mezza la vicenda di Walter Tobagi”.
Ho visto la replica della seconda puntata di un serial, dunque, la replica della replica di un modulo, e d’altra parte “Piroso diventa giornalista – leggo – dopo aver fatto diverse esperienze come animatore nei villaggi-vacanza”, il che mi dà una qualche ragione del fastidio che ho avvertito in più punti nel corso della trasmissione: mi è sembrato che Piroso intrattenesse.
Ecco perché la mia attenzione su di lui era sempre scivolata via, come acqua sull’unto, tutte le volte che lo incrociavo in tv o sulla carta stampata, lo capisco solo adesso: mi dava lo stesso genere di fastidio, al quale ieri sera mi sono voluto sottoporre giusto perché prima o poi doveva accadere. E con questo ho soddisfatto la mia curiosità.

In ogni caso, tra le tante cose dette da Piroso, quasi tutte piegate alle esigenze del mediocre intrattenimento, ce n’è una falsa: una foto di Caterina Rosenzweig fu mostrata a Canale 5, in una commemorazione della stessa cara salma, quella volta tenuta da Claudio Martelli. Non vorrei sbagliare, fu nel 2004. 

Questa parvenza di vita non lo merita

Dichiarata o meno, occasionale o ricorrente, la tentazione di chiudere il blog è di ogni blogger, e quando non sia per cause di forza maggiore, stanchezza o noia, può anche solo “per vedere di nascosto l’effetto che fa”, che è fra le più comuni fantasie umane, e che quindi non è da biasimare: chi non ha mai fantasticato sui propri funerali? Un po’ di narcisismo e un po’ di sadismo sono elementi essenziali di quell’umano desiderio di saggiare il mondo per vedere quanto sia rattristato nel sentirsi orfano della nostra esistenza.
Certo, c’è chi si suiciderebbe periodicamente, potendo, ma per fortuna non si può: già al secondo suicidio c’è chi sarebbe scettico e reagirebbe con quella irritante indifferenza che ammazza il narcisista e deprime il sadico. Senza contare che, già al primo suicidio, lo stronzo che se n’esce con un “meno male”, si trova sempre.
Ecco perché ritengo che al blogger che voglia chiudere il blog “per vedere di nascosto l’effetto che fa” convenga farlo quando è disposto a chiuderlo davvero, mettendo una croce sulla sua identità (reale o virtuale che sia), scomparendo per sempre. Fino ad allora, tacere circa l’intenzione, anche se questa fosse in relazione a cause di forza maggiore, stanchezza o noia. Ma il peggio del peggio, caro ***, giacché me lo chiedi, è il minacciare di chiudere il tuo blog e poi non farlo.

P.S.: Sta’ tranquillo sei vedrai il copia-incolla di questa email da me: ti copro d’asterischi.


Ansa, 28.5.2010: "Pedofilia: Bagnasco, in Italia possibili coperture di abusi".

Ma va’?

venerdì 28 maggio 2010

Ghino’s rap

Un superbo Ghino.

Con l'8xmille alla Chiesa cattolica avete fatto tanto, per i soliti


Per il 2010, l’8xmille porta alla Chiesa cattolica 1.067.032.535 euro, e la Cei rende noto che 450.000.000 saranno destinati alle esigenze di culto, 357.000.000 al sostentamento del clero e solo 230.000.000 (un quinto del totale) a “interventi caritativi”, mentre 30.000.000 vengono accantonati.

Il Mussolini che Dell'Utri dà da bere a Berlusconi





Lasciamo la plebe di sinistra a strepitare tutto il suo sdegno screziandolo di amarissimo sarcasmo, e la plebe di destra a godersi il suo idolo che cita “un grande e potente dittatore, cioè Benito Mussolini”, sottoscrivendo. Cerchiamo di ragionare sgombrando il campo dai pregiudizi di chi vuole Silvio Berlusconi eterna vittima di maliziosi fraintendimenti e di chi lo dà per pazzo fottuto o finissimo criminale: entriamo nel merito.
La frase di Benito Mussolini che ha citato al vertice dell’Ocse sarebbe – ha detto – “nei suoi diari”, che “ho letto recentemente”. Di grazia, quali diari? Tutti i diari finora dichiarati di Mussolini sono stati indubitabilmente dimostrati falsi. Quale di questi falsi contiene la frase citata (se dal falso è stata citata in modo fedele)?
Impossibile dirlo con certezza, ma è molto probabile che si tratti dei falsi diari di Mussolini di cui Marcello Dell’Utri disse di essere in possesso nel 2007: indubitabilmente dimostrati falsi, da subito, perché contenenti nomi errati, errori grammaticali, discordanze cronologiche e – soprattutto – interi brani molto, troppo somiglianti a passi di articoli pubblicati sui quotidiani dell’epoca. Uno per tutti, cito Luciano Canfora (Tutti gli errori di un falsarioCorriere della Sera, 16.2.2007).
Dell’Utri non replicò e i diari non furono pubblicati come aveva annunciato, anzi, per qualche tempo non vi fece più cenno. Fino a qualche mese fa, quando ne parlò in una conferenza a margine di una Sagra del Risotto (Isola della Scala, 29.9.2009) e, ancora, due o tre settimane fa, in un’intervista concessa a El Mundo, come se quelle agende, che ha sempre dichiarato di aver acquistato dal figlio di un partigiano, fossero autentiche. Come tali le avrà date a bere a Berlusconi, e Berlusconi se l’è bevute.
Qui, se volete, potete lasciarvi andare a qualche battutina, ma io andrei avanti.

La caratteristica dei falsi diari di Mussolini che Dell’Utri ripropone come veri è quella di presentarci un dittatore buono, molto socialista, per nulla antisemita, abbastanza anticlericale, discretamente simpatico e – soprattutto – assai poco dittatore. La frase citata da Berlusconi starebbe a meraviglia in tale contesto: “Dicono che ho potere, ma io non ho nessun potere, forse ce l’hanno i gerarchi, ma non io. Io posso solo decidere se far andare il mio cavallo a destra o a sinistra, ma nient’altro”. Qui, però, bisogna lasciar cadere la questione della dimostrata falsità dei diari e cercare di spiegarci perché la frase in oggetto l’abbia tanto colpito.
Penso che la ragione sia autoevidente: “colui che era considerato come un grande e potente dittatore” in realtà non lo era, o comunque non si sentiva affatto tale (il che perorebbe attenuante in sede di giudizio storico). Il Mussolini in cui Berlusconi si specchia non si sentiva padrone del carro, ma solo cocchiere.
Nonostante tutto – folle plaudenti e controllo di ogni apparato dello stato – questo Mussolini, in cui a ragione Dell’Utri pensa che Berlusconi possa e voglia specchiarsi, è un buon diavolo: i suoi errori – se ve ne sono stati – hanno semmai avuto origine nel non aver potuto avere il pieno controllo sugli eventi. Insomma, Berlusconi torna a sognare il presidenzialismo come proprietà del paese, e siamo al prolungamento del decisionismo aziendale in politica.
Fin qui niente di nuovo. Il fatto è che mai specchio fu scelto così male: Mussolini ridusse da subito i suoi ministri e gli alti gerarchi del regime a semplici esecutori della sua volontà, al punto da ritenere inutili perfino le riunioni del Gran Consiglio, che sospese del tutto il 7 dicembre 1939, e per quasi quattro anni, fino alla fatale e ultima seduta del 25 luglio 1943.

giovedì 27 maggio 2010

Quasi un Saviano


Il passato di Sua Eminenza è diventato un poco imbarazzante, ultimamente. Ma non per colpa sua, poverino. È che sul suo curriculum ha la presidenza del Comitato organizzatore del Giubileo del 2000, che fece la fortuna mondana dei Bertolaso e dei Balducci: anche se sulla sua rettitudine c’è scommetterci, si sa, il mondo è cattivo e ci mette niente a tirarti dentro. Idem per quel piacere fatto a Lunardi in via dei Prefetti, nel 2004, perché un’azione buona fatta un ministro viene subito fraintesa. Idem per lo spoiling che potrebbe venirgli dal cardinale Sodano, di cui avrebbe dovuto prendere il posto alla Segreteria di Stato, e che lo fece presidente del Comitato, e che a quei tempi era un vero e proprio vicepadreterno, ma che oggi è un pochino in disgrazia (un nipote troppo disinvolto negli affari, legami troppo stretti con padre Maciel, bordate dal cardinale Schoenberg, ecc.) Insomma, il cardinale Crescenzio Sepe ha uno stramaledetto bisogno di far capire al mondo che con tutta questa gentaglia non c’entra niente – incrociati per caso, scurdammoce ’o passato – perché di suo è un paladino della legalità, e voilà, quasi un Saviano.

[...]

«Ci si devono abituare»

Per Alfio, che me lo segnala, è “un atto di estrema e vigliacca malvagità”. Concordo, ma non mi scandalizzo quanto lui.