Benedetto XVI partiva per il Regno Unito con qualche preoccupazione. È bastato che si rivelasse esagerata ed ecco che il viaggio pare un trionfo. In realtà è stata una trasferta scialba, sarà che nella cartellina portava discorsi cautamente anodini. Seguiamone a ritroso il corso.
Nel discorso tenuto alla cerimonia di congedo ricorda tutti gli incontri importanti che ha avuto in terra inglese, con la regina, coi membri del governo, con le camere del parlamento in assise congiunta, con le gerarchie della chiesa anglicana, coi rappresentanti delle altre comunità religiose nel Regno Unito e naturalmente col clero e coi laici cattolici: dimentica di citare solo l’incontro con le vittime degli abusi sessuali consumati dai suoi preti. La Sala Stampa Vaticana ha voluto darvi grande risalto, come se fosse una tappa importante del viaggio, ma adesso perché tornarci sopra? Si doveva fare? È stato fatto. Gli sia consentito risparmiarsi altro imbarazzo, perché è vero, e ai suoi l’ha detto, è roba che “mina seriamente la credibilità morale dei responsabili della Chiesa” e causa “profonde ferite nel rapporto di fiducia che dovrebbe esistere fra sacerdoti e popolo, fra sacerdoti e i loro Vescovi, come pure fra le autorità della Chiesa e la gente”: glissare è impossibile, ma è meglio non tornarci sopra se non quando è indispensabile.
Parliamo d’altro, allora, parliamo del santo novello, che “visse il proprio ministero sacerdotale in spirito di devozione filiale alla Madre di Dio” e va ad aggiungersi ai santi d’Inghilterra, per lo più “martiri”, ma evitiamo di rammentare che furono martirizzati dagli anglicani, insieme a migliaia di laici che tenevano più al papa che al re: non sarebbe carino verso gli anglicani, non sarebbe carino verso la regina, parliamo soprattutto dei santi che vissero prima dello scisma. E di san John Henry Newman, naturalmente.
“L’esistenza di Newman – dice – ci insegna che la passione per la verità, per l’onestà intellettuale e per la conversione genuina comportano un grande prezzo da pagare”, e questo è esatto, perché al di fresco convertito, contrario al dogma dell’infallibilità papale, costò non poco dover cambiare idea, però fu ricambiato con la porpora cardinalizia, e qui vediamo qui il suo “preciso realismo cristiano”, che spinge “non tanto ad accettare la verità come un atto puramente intellettuale, quanto piuttosto ad accoglierla mediante una dinamica spirituale che penetra sino alle più intime fibre del nostro essere”, facendoci diventare – quando va bene – un notabile della ditta.
Sorvoliamo sulle virtù del santo, almeno in questa sede, perché nel week end sono state enumerate tutte. Tutte tranne il suo grande amore per Ambrose StJohn, col quale il santo giacque a lungo insieme, almeno nella tomba. I malvagi laicisti hanno insinuato che i due fossero gay, ma non è vero, si trattava di purissimo affetto tra confratelli, d’una qualità tanto rara da poter essere considerata esemplare. Ma allora perché tacere proprio questa virtù? Boh.
Vibrante l’incontro con gli anziani dell’ospizio di St Peter, che ha esortato a “non aver paura di partecipare alle sofferenze di Cristo se Dio vuole che affrontiamo l’infermità”, ma ancora più vibrante quello con gli operatori addetti alla cura dell’infanzia violata: “È deplorevole – ha detto – che, in così marcato contrasto con la lunga tradizione della Chiesa di cura per i ragazzi, questi abbiano sofferto abusi e maltrattamenti ad opera di alcuni preti e religiosi”; ma ha aggiunto: “Occorre dare atto a ciò che è stato fatto: gli sforzi della Chiesa, in questo Paese e altrove, specialmente negli ultimi dieci anni per garantire la sicurezza dei fanciulli e dei giovani”. Dieci anni: giusto il necessario per potersi tirar fuori dalle manchevolezze della sua Congregazione in relazione alle segnalazioni che gli arrivavano dagli Usa e dalla Germania, ignorate fin quando possibile.
Vibrante l’incontro con gli anziani dell’ospizio di St Peter, che ha esortato a “non aver paura di partecipare alle sofferenze di Cristo se Dio vuole che affrontiamo l’infermità”, ma ancora più vibrante quello con gli operatori addetti alla cura dell’infanzia violata: “È deplorevole – ha detto – che, in così marcato contrasto con la lunga tradizione della Chiesa di cura per i ragazzi, questi abbiano sofferto abusi e maltrattamenti ad opera di alcuni preti e religiosi”; ma ha aggiunto: “Occorre dare atto a ciò che è stato fatto: gli sforzi della Chiesa, in questo Paese e altrove, specialmente negli ultimi dieci anni per garantire la sicurezza dei fanciulli e dei giovani”. Dieci anni: giusto il necessario per potersi tirar fuori dalle manchevolezze della sua Congregazione in relazione alle segnalazioni che gli arrivavano dagli Usa e dalla Germania, ignorate fin quando possibile.
Un invito al proselitismo, tanto garbato da risultare un po’ criptico, nell’omelia di sabato 18 settembre, cui è seguito un saluto ai fedeli del Galles, dove “purtroppo non mi è stato possibile recare durante questa visita”. Mancanza di tempo. O troppo recenti le vicende che lì hanno toccato monsignor Cormac Murphy O’Connor e monsignor Vincent Gerard Nichols: averli a fianco a Londra è una cosa, a Cardiff è un’altra.
Ma il pezzo forte è il discorso in Westminster Hall “sul giusto posto che il credo religioso mantiene nel processo politico”. “Le questioni di fondo che furono in gioco nel processo contro Tommaso Moro – dice – continuano a presentarsi, in termini sempre nuovi, con il mutare delle condizioni sociali. Ogni generazione, mentre cerca di promuovere il bene comune, deve chiedersi sempre di nuovo: quali sono le esigenze che i governi possono ragionevolmente imporre ai propri cittadini, e fin dove esse possono estendersi? A quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali?”. Tommaso Moro scelse il papa. In quali termini si pongono oggi le questioni di fondo che lo portarono ad essere decapitato per ordine del re? “Dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione”. Non è indispensabile una obbedienza formale al papa, ma può bastare una sostanziale concordanza su quei principi morali che il papa ritiene “oggettivi”. Infatti, “senza il correttivo fornito dalla religione, anche la ragione può cadere preda di distorsioni”: al moderno Tommaso Moro non è più richiesto il martirio per tenere il punto sulla “suprema giurisdizione della Chiesa”, ma di far propri i principi morali che la Chiesa ritiene “oggettivi”. Perciò “la religione per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione”: non accade così nei paesi in cui il codice penale fa propri i dettami della legge coranica?
Ma il pezzo forte è il discorso in Westminster Hall “sul giusto posto che il credo religioso mantiene nel processo politico”. “Le questioni di fondo che furono in gioco nel processo contro Tommaso Moro – dice – continuano a presentarsi, in termini sempre nuovi, con il mutare delle condizioni sociali. Ogni generazione, mentre cerca di promuovere il bene comune, deve chiedersi sempre di nuovo: quali sono le esigenze che i governi possono ragionevolmente imporre ai propri cittadini, e fin dove esse possono estendersi? A quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali?”. Tommaso Moro scelse il papa. In quali termini si pongono oggi le questioni di fondo che lo portarono ad essere decapitato per ordine del re? “Dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione”. Non è indispensabile una obbedienza formale al papa, ma può bastare una sostanziale concordanza su quei principi morali che il papa ritiene “oggettivi”. Infatti, “senza il correttivo fornito dalla religione, anche la ragione può cadere preda di distorsioni”: al moderno Tommaso Moro non è più richiesto il martirio per tenere il punto sulla “suprema giurisdizione della Chiesa”, ma di far propri i principi morali che la Chiesa ritiene “oggettivi”. Perciò “la religione per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione”: non accade così nei paesi in cui il codice penale fa propri i dettami della legge coranica?
Paese che vai, religione che trovi: i principi morali che la religione indigena contempla come “oggettivi” dovrebbero ispirare la politica e il processo legislativo indigeni. In caso contrario? Si avrebbe quella “marginalizzazione della religione” che è ormai avanzata nell’occidente che fu cristiano: tutti i suoi guai dipenderebbero da questa marginalizzazione, come dimostrerebbe il fatto che tutto andava a meraviglia quando il papa vi dettava legge, salvo guerre di religioni. Sarà perché ne è stato a lungo devastato che l’occidente ha imboccato la via della laicità dello Stato? Potrebbe essere, ma in fondo i guai iniziarono con la Riforma e con il rifiuto dell’autorità papale in campo religioso e civile: i tempi sono cambiati e il papa non pretende che gli si obbedisca senza discutere, ma che si discuta un poco, giusto il necessario, e che ci si trovi d’accordo con lui, perché a non trovarcisi lo Stato diventa ideologico, la società si ammala e le gerani appassiscono.
È quello che in realtà accade da quando c’è chi sostiene che “la voce della religione andrebbe messa a tacere, o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata”, come a dire che l’oggettività non esiste. “Questi sono segni preoccupanti dell’incapacità di tenere nel giusto conto non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica. Vorrei pertanto invitare tutti voi, ciascuno nelle rispettive sfere di influenza, a cercare vie per promuovere ed incoraggiare il dialogo tra fede e ragione ad ogni livello della vita nazionale”: si comincia a dialogare, poi, dando per scontato che i “principi morali oggettivi” sono quelli che indica il magistero petrino, o si arriva alla concordia tra Stato e Chiesa o la Chiesa piagnucola, maledice e sabota.
Roba da pigliarlo a calci in culo, ma il diritto internazionale lo protegge in quanto capo di Stato estero: noli tangere!
Sulle cose dette agli anglicani e ai membri delle altre confessioni religiose c’è poco da dire: un Benedetto XVI felpatissimo, non una citazione dalla Dominus Iesus o dalla Veritatis splendor, anzi, tanto appeasement. Un po’ meno nei discorsi al mondo dell’educazione: agli insegnanti, per esempio, si può rammentare con orgoglio “il grande lavoro missionario della Chiesa in terre lontane”, ai musulmani girerebbero le palle. Idem per lo stretching del primo giorno: alla regina, un pensiero sulle antichissime radici cristiane dell’Inghilterra, tacendo educatamente sullo scisma anglicano; al gregge raccolto a Glasgow, un dolente richiamo alla riforma del parlamento scozzese del 1560.
Sulle cose dette agli anglicani e ai membri delle altre confessioni religiose c’è poco da dire: un Benedetto XVI felpatissimo, non una citazione dalla Dominus Iesus o dalla Veritatis splendor, anzi, tanto appeasement. Un po’ meno nei discorsi al mondo dell’educazione: agli insegnanti, per esempio, si può rammentare con orgoglio “il grande lavoro missionario della Chiesa in terre lontane”, ai musulmani girerebbero le palle. Idem per lo stretching del primo giorno: alla regina, un pensiero sulle antichissime radici cristiane dell’Inghilterra, tacendo educatamente sullo scisma anglicano; al gregge raccolto a Glasgow, un dolente richiamo alla riforma del parlamento scozzese del 1560.
Ma il meglio, come sempre, in volo, all’andata: l’alta quota lo libera. Scongiuri di prammatica (“La Gran Bretagna ha una sua propria storia di anticattolicesimo, questo è ovvio, ma è anche un Paese di una grande storia di tolleranza”). Mani avanti sul sospetto che stia andando a dragare (“Un vero e fecondo ecumenismo”, ma cattolici e anglicani “non sono più concorrenti”) e sulle contestazioni che lo attendono per la gestione del clero pedofilo (“Queste rivelazioni sono state per me uno choc”, non sapeva niente, non ha colpe). E sulle voci incontrollate che potrebbe anche essere arrestato appena atterrerà: “Sono molto grato a Sua Maestà la Regina Elisabetta II, che ha voluto dare a questa visita il rango di una visita di Stato”.