lunedì 28 marzo 2011
La Chiesa davanti a Gheddafi
Il magistero morale della Chiesa ritiene “giusta” la guerra quando siano “contemporaneamente” presenti alcune condizioni: (1) “che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo”; (2) “che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci”; (3) “che ci siano fondate condizioni di successo”; (4) “che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309). Ciò detto, non si capisce perché Sua Santità chieda – oggi, 27 marzo – che si sospendano le operazioni della Nato in Libia, dopo aver “invoc[at]o – non più tre settimane fa, all’Angelus – assistenza e soccorso per le popolazioni colpite”, quelle che Gheddafi andava massacrando.
Ora, noi sappiamo che “le azioni manifestamente contrarie al diritto delle genti e ai suoi principi universali, non diversamente dalle disposizioni che le impongono, sono crimini [e che] lo sterminio di un popolo, di una nazione o di una minoranza etnica deve essere condannato come peccato mortale” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2313), e dunque l’invocazione ci stava.
Noi sappiamo pure che l’uso della forza era da considerare “giusto”: (1) Gheddafi non ha esitato a uccidere migliaia di libici che si limitavano a chiedere democrazia e a minacciare di massacrarne altre migliaia, quando fosse riuscito a riprendere il controllo della situazione, fra quanti, nonostante il massacro, avevano continuato a chiederla; (2) ha inoltre rifiutato ogni altra soluzione della crisi che non fosse il pieno ripristino della sua dittatura: ha rifiutato un salvacondotto, quando era nei guai, e si è negato ad ogni trattativa, quando rimontava sugli insorti; (3) almeno fino ad ora – siamo tutti nelle mani di Dio – le operazioni della Nato danno ragionevole certezza di poter raggiungere (anche solo indirettamente) il fine di rendere inoffensivo il dittatore; (4) l’uso della forza da parte della Nato non ha finora provocato mali e disordini più gravi del male da eliminare, né promette di provocarne. E dunque: come portare assistenza e soccorso agli insorti?
La scorsa settimana, sempre all’Angelus, diceva: “Le preoccupanti notizie che giungevano dalla Libia hanno suscitato anche in me viva trepidazione e timori. Ne avevo fatto particolare preghiera al Signore durante la settimana degli Esercizi Spirituali”. Ma il Signore – sia detto col massimo rispetto – manco per il cazzo. E allora Sua Santità rivolgeva “un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l’incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l’accesso ai soccorsi umanitari”. Sì, ma come? Di là, il “peccato mortale” dello “sterminio di un popolo” in atto e, di qua, i soccorritori che non hanno altra scelta se non la distruzione degli strumenti di quello sterminio: che cazzo mi significa l’odierno “cessate il fuoco” di Sua Santità?
“Chiedo a Dio che un orizzonte di pace e di concordia sorga al più presto sulla Libia e sull’intera regione nord africana”, diceva la scorsa settimana. Se lo immaginava con Gheddafi al potere? Gheddafi non è disposto a rinunciarci: o potere o morte. Che facciamo? Lo lasciamo dov’è? Chiudiamo un occhio sulle migliaia di libici che ha massacrato, rimandandolo – quando sarà –al giudizio del Signore? Può darsi sia davvero questo l’orizzonte gradito a Benedetto XVI. Infatti, ora che gli insorti sembrano rimontare e Gheddafi è di nuovo nei guai, Sua Santità dice “urgente l’esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l’azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le Parti coinvolte, nella ricerca di soluzioni pacifiche e durature”.
Ognuno dovrebbe fare il suo mestiere: ai teologi le loro pippe, ai politici la ricerca di soluzioni pacifiche e durature. Certo, in culo al principio della laicità dello stato, i politici possono ispirarsi al magistero morale della Chiesa. E tuttavia, Catechismo della Chiesa Cattolica alla mano, come si possono prendere per buone le pippe di Benedetto XVI?
Siete stanchi? Se sì, fermatevi: la domanda che chiude il primo paragrafo di questo post stia lì a domanda retorica. Se invece avete ancora un poco di pazienza, andiamo avanti e ascoltiamo le voci di due ratzingeriani che più ratzingeriani non si può, entrambi in favore del “cessate il fuoco”: Giorgio Vittadini e Antonio Socci.
Giorgio Vittadini dice che “l’operazione militare in Libia è la logica espressione di una politica neocoloniale che ormai domina le dinamiche internazionali dell’Occidente”. Il colonialismo è stata l’altra faccia dell’evangelizzazione dei popoli, ma ora è cacca: non c’è più un Papa a dare il placet, e dunque no al colonialismo. Fin qui, fila. Ma “l’operazione militare in Libia è la logica espressione di una politica neocoloniale”? L’intervento umanitario è un “pretesto”, come dice Vittadini, o è quanto aveva chiesto proprio il papa, tre settimane fa? Siamo ancora alla stessa domanda: come fermare Gheddafi?
Ecco, per chi si arrovellasse su questo punto, diciamo subito che per Vittadini la domanda è impropria: Gheddafi non va necessariamente fermato. Vittadini chiede: “Quale è l’alternativa a un regime? Instaurare un sistema politico basato su elezioni multipartitiche, che precondizioni chiede? È possibile imporre la democrazia con la violenza?”.
Meglio la violenza della dittatura? Questa non è una domanda retorica, perché Vittadini pensa proprio che sia meglio quella. Lamenta, infatti, che “con la giustificazione di interventi umanitari Belgrado e la Serbia furono bombardati in modo indiscriminato portando alla caduta di Milosevic. Si ricomincia con Gheddafi: si e’ invocato un intervento per emergenza umanitaria per poi verificare in questi giorni che Francia e Gran Bretagna, con l’acquiescenza del pensiero debole Obama-Clinton e di altri, stanno conducendo, non un’operazione umanitaria, ma una vera e propria guerra per rovesciare il regime a spese della popolazione libica”. Di quale popolazione libica? Certo non di quella che chiede la democrazia. Deve trattarsi della popolazione che Gheddafi sta armando per difendere la dittatura.
Vittadini si dice di portatore della “linea della Santa Sede”, e Socci pure. “Nel caso della «guerra libica» – dice – sono in tanti ad aver mestato nel torbido, magari fomentando le rivolte per poi poter intervenire militarmente e mettere le mani sul petrolio libico”. Qui c’è qualcosa di più che il sospetto: le rivolte in favore della democrazia non erano spontanee – probabilmente perché non potevano esserlo – perché fomentate da avidi petrolieri.
Non è ipotesi da scartare: può darsi che sia stato proprio un petroliere a dare la benzina all’ambulante tunisino che si è dato fuoco scatenando la rivolta che ha abbattuto il regime di Ben Alì.
Qui sono stanco io, e mi fermo. Dovessi continuare, avrei solo parolacce.
domenica 27 marzo 2011
“Per ragioni di principio”
“Siamo assolutamente contrari a qualsiasi intervento armato in Libia”, scrive (Il Fatto Quotidiano, 19.3.2011); e aggiunge: “Per ragioni di principio”. Ora, non sarebbe ingiusto impiccare Massimo Fini a quanto scrisse nel suo cazzutissimo Elogio della guerra, che è del 1989, quando, con la fine della Guerra Fredda, molti pensavano che la Storia fosse giunta alla sua fine (Francis Fukuyama lo avrebbe teorizzato di lì a tre anni, nel 1992), e già qualcuno provava nostalgia – fra questi, appunto, Massimo Fini – per la nostra plurimillenaria abitudine a sgozzarci; io proverei a impiccarlo a ciò che scrisse nel 1999, nella prefazione alla riedizione di quel libro.
Direi che “per ragioni di principio” la guerra meritasse ancora il suo elogio. E tuttavia il principio scricchiolava, perché la prefazione concludeva in questo modo:
Non ci si raccapezza, vero? Chissà che cosa vorrà dire mai, oggi, “principio”.
sabato 26 marzo 2011
venerdì 25 marzo 2011
Auditel
Da due settimane, intorno alle 20.30, Raiuno accusa un calo dello share che farebbe seriamente impensierire il proprietario della rete, se si trattasse di un privato. Si tratta di telespettatori che in buona parte ritornano su Raiuno, ma solo quando sono sicuri che Qui Radio Londra è terminata, e si è iniziato con poco meno di un milione, ma ormai si supera il milione e mezzo. Una analisi più dettagliata rivela una linea di tendenza che forse è ancora presto per considerare stabilizzata, ma che al momento non pare subire inversione: se la scorsa settimana si cambiava canale nel corso della trasmissione, adesso si evita anche la sigla di testa e si lascia Raiuno durante il blocco pubblicitario che segue la fine del Tg1. Se i numeri non ingannano, siamo passati dal “sentiamo questo che ha da dire” al “mamma mia, che palle”.
A chi gli chiede un commento sui dati di ascolto di Qui Radio Londra, Giuliano Ferrara risponde: “Non li ho nemmeno guardati”. Dell’Auditel può sbattersene, gli si può credere. Se si trattasse di una emittente privata, la trasmissione sarebbe in pericolo, ma la Rai è un servizio pubblico che non può appiattirsi sulla logica del profitto. Giuliano Ferrara lo sa e stavolta non scende in polemica sulle miserabili questioni di un milione di telespettatori in più o in meno.
Non come quando Radio Londra andava in onda su Canale 5 e i dati Auditel provavano, a suo parere, una correlazione tra quantità e qualità: “Sono furibondo perché anche oggi un quotidiano ha diffuso dati di ascolto del mio programma che falsano i dati diffusi dall’Auditel... Mi si possono muovere tutte le critiche possibili, ma non si possono falsificare i dati di ascolto”.
Non come quando a decidere le sorti de Il Professore fu la previsione di un flop: “Dopo che Berlusconi ebbe visionato le prime 3-4 prove del programma tirò un calcio tremendo nel televisore, fracassandolo... Mi disse: «Le proibisco di fare cose di questo genere, una trasmissione così non potrà mai fare più del 3% di share»”.
Ma nemmeno come quando conduceva Il Testimone su Raidue, emittente del servizio pubblico che allora era tenuta ad appiattirsi alle logiche del clientelismo craxiano, che era il suo solo profitto: “Un incredibile ritardo dell’Auditel priva stranamente gli organi di informazione e lopinione pubblica di un dato di ascolto impressionante: è un risultato di cui possono, se lo vogliono, tenere conto quei critici che hanno mostrato una particolare malevolenza nei confronti di un programma televisivo che registra, con questa media di spettatori, un vero e proprio record”.
Non si capisce più se i dati di ascolto siano importanti o no. Diciamo che ieri lo erano e oggi no.
A chi gli chiede un commento sui dati di ascolto di Qui Radio Londra, Giuliano Ferrara risponde: “Non li ho nemmeno guardati”. Dell’Auditel può sbattersene, gli si può credere. Se si trattasse di una emittente privata, la trasmissione sarebbe in pericolo, ma la Rai è un servizio pubblico che non può appiattirsi sulla logica del profitto. Giuliano Ferrara lo sa e stavolta non scende in polemica sulle miserabili questioni di un milione di telespettatori in più o in meno.
Non come quando Radio Londra andava in onda su Canale 5 e i dati Auditel provavano, a suo parere, una correlazione tra quantità e qualità: “Sono furibondo perché anche oggi un quotidiano ha diffuso dati di ascolto del mio programma che falsano i dati diffusi dall’Auditel... Mi si possono muovere tutte le critiche possibili, ma non si possono falsificare i dati di ascolto”.
Non come quando a decidere le sorti de Il Professore fu la previsione di un flop: “Dopo che Berlusconi ebbe visionato le prime 3-4 prove del programma tirò un calcio tremendo nel televisore, fracassandolo... Mi disse: «Le proibisco di fare cose di questo genere, una trasmissione così non potrà mai fare più del 3% di share»”.
Ma nemmeno come quando conduceva Il Testimone su Raidue, emittente del servizio pubblico che allora era tenuta ad appiattirsi alle logiche del clientelismo craxiano, che era il suo solo profitto: “Un incredibile ritardo dell’Auditel priva stranamente gli organi di informazione e lopinione pubblica di un dato di ascolto impressionante: è un risultato di cui possono, se lo vogliono, tenere conto quei critici che hanno mostrato una particolare malevolenza nei confronti di un programma televisivo che registra, con questa media di spettatori, un vero e proprio record”.
Non si capisce più se i dati di ascolto siano importanti o no. Diciamo che ieri lo erano e oggi no.
Il post prende spunto da una breve di giornalettismo.com. I dati raccolti nella tabella sono estratti dagli aggiornamenti quotidiani di primaonline.it relativi alle ultime due settimane, ad esclusione di venerdì 25 marzo.
Il peggio, al meglio
Bruno Vespa si fa mediatore tra Ahmed Jibril, rappresentante del Consiglio nazionale transitorio, e Khaled Kaim, viceministro degli Affari esteri, e non si capisce bene con quale delega del Parlamento o del Governo, ma nella tela che vanamente cerca di tessere tra i due, in collegamento diretto rispettivamente da Bengasi e da Tripoli, c’è più Berlusconi che in Berlusconi.
Puntata di Porta a porta che vi invito a recuperare, perché riassume al meglio tutto il peggio di cui finora siamo stati capaci in politica estera, con l’evidenza di una ferma intenzione di mantenerci in quel solco, come opzione connaturata a carattere e tradizione: per i rapporti intrattenuti con Gheddafi dovremmo andare a nasconderci dalla vergogna e invece riteniamo di poterli vantare come un merito, per accreditarci come garanti di una uscita politica dalla crisi.
giovedì 24 marzo 2011
Avvenire, 24.3.2011
“Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale” (Catechismo, 2384) e tuttavia, se hai gli occhi viola, puoi pure divorziare sette volte ché passa per inquietudine.
Giù le mani dalla mia vacca!
Come si concilia il mezzo miliardo di vecchie lire che Calisto Tanzi dice di aver dato a Giuliano Ferrara brevi manu ai tempi in cui innaffiava di denaro chi gli lisciasse la reputazione e il liberismo che ispirerebbe la politica economica del Governo? In una sinergia di quelle già sperimentate col caso Alitalia, qui in difesa dello yogurt di bandiera.
mercoledì 23 marzo 2011
Senza carità né misericordia
Su L’Osservatore Romano di domani troverete un articolo di Luca Possati, che dà il meglio di sé nella ricerca di rinascenze cristiane nel pop post-moderno, e il meglio del meglio lo dà quando pensa di averle trovate, come quella volta – ne ho già scritto – che gli parve che «Homer e Bart sono cattolici». In quell’occasione non gli andò benissimo: il produttore esecutivo di The Simpson smentì seccamente, e l’autore del saggio di cui l’articolo era una recensione si affrettò a precisare: “Non ho mai detto che Homer e Bart siano cattolici”.
Non gli va bene neanche domani: un’altra recensione (Antonio Spadaro, Etica hacker e visione cristiana, La Civiltà Cattolica), un’altra figura di merda. Vai sul sito dello Spadaro e leggi: “Luca Possati su L’Osservatore Romano capovolge il significato del mio articolo su etica hacker e visione cristiana”.
Può darsi che io sia troppo severo, ma penso che la prima figura di merda sia tutta di chi firma l’articolo, ma la seconda vada equamente divisa col direttore che continua a pubblicarlo, e che la terza, nel caso, vada tutta intera all’editore che non licenzia il direttore. Ma è regola senza carità né misericordia, che invece sono i pilastri sui quali poggia la carriera di ogni avanzo di sagrestia.
martedì 22 marzo 2011
Mendelssohn
La puntata di Qui Radio Londra andata in onda stasera meriterebbe mezza dozzina di post: uno sull’uso strumentale del caso Tortora, uno sulla tagliola preparata a Santoro, uno sulla teoria del magistrato-come-si-deve, uno sul termine “circo mediatico-giudiziario”, uno sulla denuncia che adesso arriva da De Magistris, ecc.
Se avrò un po’ di tempo, ne scriverò uno. Intanto è da segnalare un dettaglio: il magistrato-come-si-deve, invece di andare ad Anno Zero, la sera deve stare a casa. Ad ascoltare una sinfonia. Di Mendelssohn. Poco mancava che Ferrara dicesse pure quale.
Naturalmente qui vi limiterete a una mezza smorfia e tirerete avanti. Tutt’al più sarete tentati dal chiedervi che tipo di Presidente del Consiglio e che tipo di Raiuno ci meriteremmo in un mondo-come-si-deve nel quale il magistrato-come-si-deve a sera ascolta Mendelssohn.
Sbagliato, perché il nostro è esoterico e non parla mai a sproposito: se diceva “una sinfonia di Mendelssohn”, non diceva per dire: pensava alla Sinfonia n. 5 in Re Maggiore, Op. 107: meglio conosciuta come “La Riforma”. Capìta, la sottigliezza?
Gas
Non ricordo il titolo del film, ma sono quasi sicuro che ci fosse Lino Banfi, forse pure Gloria Guida. Quasi sicuro, ma potrei sbagliare. Però di sicuro – questo l’ho chiarissimo – si raccontava della figlia del presidente della solita squadretta di serie C che scopicchiava segretamente col centravanti, un bomber belloccio che a un certo punto la molla…
Be’, non ha importanza, era solo per dire che, insieme ai travestimenti trash-fetish da infermiera e poliziotta che tanto piacciono al nostro amato premier, con la figlia che flirta con Pato, viviamo grazie a lui – si fa per dire – nel remake di una commediola vecchia di quarant’anni. Invece di Alvaro Vitali che tira una scoreggia con l’accendino al culo nell’esilarante effetto-lanciafiamme, abbiamo Ignazio La Russa, ma con poco gas.
Vabbe’, va’
“Gli uomini perdono rapidamente la capacità di concepire la diversità, se per qualche tempo si sono disabituati a vederla”, così ha detto Vladimir Luxuria nel corso della presentazione del suo libro Le favole non dette (Bompiani, 2009) agli studenti del liceo artistico «Filiberto Menna» di Salerno. Prego notare: 2009.
No, scherzavo, è che stamane mi sento d’uno stronzo che non potete immaginare… L’ha detto John Stuart Mill, chiudendo il III capitolo di On liberty.
lunedì 21 marzo 2011
Branchie
Su Il Sole-24Ore di ieri trovavi:
● Sua Eccellenza, monsignor Bruno Forte, che ti leggeva a cazzo di cane la sentenza della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, quella sul crocifisso,
● Sua Eminenza, il cardinal Gianfranco Ravasi, che cercava di convincerti di un fondo di fede nel disperato nichilismo di Emil Cioran,
● l’usignuol de’ la Cei, il poeta Davide Rondoni, che si intratteneva sul disagio di noi umani prendendo spunto da Alberto Bevilacqua,
● Daniele Bellasio, che sembrava in bigodini sotto il casco del coiffeur: “Non c’è che dire: il primo presidente afro-americano della storia degli States è di un fotogenico pazzesco”,
● Christian Rocca, che ci teneva a dirti di aver composto ben 3 brani in 3 giorni grazie a un software buono anche per chi non sa leggere la musica, né scriverla, né suonarla,
● Marco Ferrante, che si produceva in una marchetta a forma di epopea,
● Franco Debenedetti, un po’ meno lucido del solito,
● Alberto Mingardi, un po’ più opaco di sempre.
Insomma, il giornale sembrava Il Foglio con l’herpes.
Ora, sì, quando un quotidiano ha una caduta verticale di copie vendute, sarà colpa del direttore e i signori industriali hanno fatto bene a liberarsi di Gianni Riotta, ma siamo onesti: a togliere solo la testa al pesce, puzzano le branchie.
L’idea della Provvidenza
Commentando la tragedia abbattutasi sui siciliani col terremoto di Messina del 1908, monsignor Vincenzo Manzella scriveva: “Le catastrofi sono talora esigenza della giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi. Le grandi catastrofi sono una voce paterna della volontà di Dio, che ci richiama al fine ultimo della nostra vita. Se la terra non avesse catastrofi, eserciterebbe su di noi un fascino irresistibile, e non ricorderemmo che siamo cittadini del cielo. In secondo luogo, le catastrofi sono i giusti castighi di Dio. Alla colpa del peccato originale si aggiungono le nostre colpe personali e quelle collettive, e mentre Dio premia e castiga nell’eternità, è sulla terra che premia o castiga le nazioni”.
Ora questo non stupisce perché in ogni prete c’è uno stronzo, figuriamoci in un vescovo. Quello che stupisce è ciò che ha detto il vicepresidente del CNR, il notorio professor Roberto De Mattei, commentando ciò che scriveva il Mazzella per una sua meditazione sulla tragedia abbattutasi sui giapponesi col terremoto dello scorso 11 marzo. Alzate il volume delle casse e ascoltate con la massima attenzione:
Quale altro paese al mondo può vantare alla vicepresidenza di un Consiglio Nazionale delle Ricerche uno che si esprime in questi termini su terremoti e maremoti? Solo l’Italia, è evidente. In qualsiasi altro paese sarebbe spalmato di pece, cosparso di piume e dato alle fiamme, qui gli diamo lo stipendio di alto dirigente di ente pubblico.
Non biasimate quelli della Hostessweb.it
Una delle 500 hostess che sette mesi fa affollarono la lezione coranica di Gheddafi a Roma sostiene oggi: “Il popolo voleva bene al suo leader ed era orgoglioso di avere qualità della vita superiore agli altri vicini di casa africani. Magari Gheddafi avrà anche le sue colpe, i suoi metodi diversi dai nostri, ma è stato l’unico ad aver dato un’identità alla Libia” (La Stampa, 21.3.2011).
Posizione insostenibile, vero? Ma non è quella che abbiamo sostenuto noi italiani, prima che per Gheddafi mettesse male, quando stipulavamo un Trattato di amicizia che ci impegnava a non interferire negli affari interni libici e a non offrire aiuto (neanche logistico) ad eventuali aggressioni al regime libico? In Parlamento non ebbe pure i voti del Pd? E tutti, da Andreotti a Craxi, da Dini a Prodi, da D’Alema a Berlusconi, non hanno sempre detto tutti: “Magari Gheddafi avrà anche le sue colpe, ma...”? Facendo zoom indietro, non era la posizione di tutti quelli che avevano affari in Libia?
Cos’è cambiato che renda oggi insostenibile la posizione della figliola, che invece rendeva sostenibile quella in tutto sovrapponibile che è stata di tutti i governi della Prima e della Seconda Repubblica, col rinforzo delle relative opposizioni? Che per Gheddafi mette male e che ogni altro affare in Libia è possibile solo riposizionandosi contro Gheddafi. Ogni altro affare della figliola in Libia, invece, è possibile solo se Gheddafi rimane in piedi: come possiamo biasimarla?
La figliola – Rea Beko, 28 anni, immigrata albanese, perfettamente integrata sul piano culturale – non è sola, perché “al fianco del raìs si schiera anche tutta Hostessweb.it, il sito che ha pianificato incontri e viaggi di Gheddafi con le ragazze italiane e che sta organizzando a Roma, per sabato prossimo, una manifestazione in suo favore: «Siamo indignati dal comportamento degli Stati che stanno usando una scusa vergognosa per colonizzare nuovamente un Paese prima considerato ‘amico’», dice il fondatore Alessandro Londero” (Corriere della Sera, 21.3.2011). Come biasimarlo? Se Gheddafi è fatto fuori, Hostessweb.it ha perso un cliente difficilmente rimpiazzabile in Libia.
Temendo che la vittoria degli insorti potesse farci perdere un cliente, non abbiamo fatto finta che a Bengasi e a Tripoli non stesse accadendo niente? Fino a quando è stato possibile, sì. Non volevamo disturbare. Quando abbiamo visto che stavamo perdendo il cliente, non abbiamo cercato di rimpiazzarlo in loco? Ci siamo lamentati dei mille morti in piazza, come non abbiamo mai fatto per i milleduecento ammazzati da Gheddafi nel carcere di Tripoli, nel 1996. Quando abbiamo visto che Gheddafi rimontava sugli insorti, non ci siamo un po’ cagati addosso? Quando l’Onu si è mosso per mettere fine al massacro, non abbiamo tirato un sospiro di sollievo, annullando unilateralmente il Trattato di amicizia, già unilateralmente sospeso?
Mettetevi nei panni della Beko e del Londero. Non vedete che ci state dentro come nei panni di Berlusconi? Provate, vedrete che vi sentirete pure nei panni di D’Alema, che approva la risoluzione Onu, ma adesso trova che si stia esagerando e insiste nel sottolineare che la risoluzione non indica l’obiettivo di far cadere Gheddafi, ma solo quello di stare a guardare dall’alto, tifando per i buoni con qualche missiletto, di tanto in tanto.
Non biasimate quelli della Hostessweb.it: siamo tutti noi.
Un’altra puttanata
“Guardate queste foto – aveva detto – sono state scattate da fotografi autorizzati e poi date ai grandi giornali popolari”. Volevate che ammettesse di aver detto una puttanata? Accontentatevi del fatto che non la ribadisca, già è tanto che Giuliano Ferrara corregga quanto ha sostenuto a Qui Radio Londra (Raiuno, 16.3.2011) facendo il nome di Zappadu (Il Foglio, 21.3.2011). Smentita troppo implicita? Non siate troppo esigenti, via, passate oltre.
Passate oltre e beccatevi quest’altra puttanata, quella “della giovanissima accompagnatrice del premier a un tavolo di industriali e banchieri (mammà al seguito)”. Si tratta della famosa cena che si tenne a Villa Madama il 19 novembre 2008, quando Noemi Letizia fu presentata agli illustri convitati come “figlia di carissimi amici di Napoli”. Mammà non c’era e alla fine della cena la “pupilla” fu vista allontanarsi su un’auto blu – da sola, a quanto ricordano tutti i presenti interpellati – al seguito dell’Audi A8 nera del premier.
domenica 20 marzo 2011
Chance, il falegname
Nel resto del mondo cade per lo più in giugno, ma qui da noi in Italia – come in altri paesi di tradizione cattolica, anche se non in tutti – la Festa del Papà cade il 19 marzo, con la Festa di San Giuseppe. Superfluo dire che l’accorpamento non è casuale: il padre putativo di Gesù è offerto dalla Chiesa, ovunque può, come ideale modello di paternità. Si può accettarlo o no, ma questo invita tutti, cattolici e no, a meditare su quanto è stato inoppugnabilmente dimostrato, non più di quattro o cinque anni fa, dal cattolicissimo Istituto Mendel: “Dalle nostre stime – affermava il direttore, professor Bruno Dallapiccola – emerge che in Italia fino al 10% dei bebè nati ogni anno ha un papà differente da quello presunto. Un dato frutto di osservazioni e ricerche nazionali, confermato anche a livello europeo, e che storicamente ha visto picchi pari al 20% nel nostro paese”.
Ecco, pensavo al fatto che neghiamo l’accesso alla fecondazione assistita eterologa, ma offriamo a tutti i cornuti una chance di potersi sentire santi.
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