“Siamo assolutamente contrari a qualsiasi intervento armato in Libia”, scrive (Il Fatto Quotidiano, 19.3.2011); e aggiunge: “Per ragioni di principio”. Ora, non sarebbe ingiusto impiccare Massimo Fini a quanto scrisse nel suo cazzutissimo Elogio della guerra, che è del 1989, quando, con la fine della Guerra Fredda, molti pensavano che la Storia fosse giunta alla sua fine (Francis Fukuyama lo avrebbe teorizzato di lì a tre anni, nel 1992), e già qualcuno provava nostalgia – fra questi, appunto, Massimo Fini – per la nostra plurimillenaria abitudine a sgozzarci; io proverei a impiccarlo a ciò che scrisse nel 1999, nella prefazione alla riedizione di quel libro.
Direi che “per ragioni di principio” la guerra meritasse ancora il suo elogio. E tuttavia il principio scricchiolava, perché la prefazione concludeva in questo modo:
Non ci si raccapezza, vero? Chissà che cosa vorrà dire mai, oggi, “principio”.
Non lo scrive esplicitamente, ma in pratica per lui la guerra è evasione -- tipo andare al cinema per sfuggire al tran tran della vita quotidiana. Che grandissima testa di c*zzo.
RispondiEliminama invece di impiccarlo a ciò che scrisse, impiccarlo e basta?
RispondiEliminaciò darebbe sfogo alla aggressività repressa, etc etc
Almeno Papini era Papini.
RispondiEliminaperdona l'auto citazione, nell'aprile 2007 scrivevo, firmandomi, a M.F::
RispondiElimina"Lei è un giornalista che fa del suo argomento un oggetto, e fa dell’oggetto quello che vuole.
Gli editorialisti hanno funzioni di diversione: possono scrivere come e quello che vogliono, così s’ingenera l’impressione che nei giornali si possa scrivere come e quello che i giornalisti vogliono.
Lei è il miglior suddito del suo editore che le dà il denaro e il prestigio, lasciandole la libertà di comportarsi come se si potessero trattare tutti i temi del mondo sempre nella stessa lunghezza, puntualmente e comunque."
del resto non potevo rischiare la querela da un tipo così
Opinabili opinionisti: esistono e ci tengono a che si sappia. Non hanno specchi?
RispondiEliminaNel merito: guerra e militarismo informano di sé la società in maniera proporzionale alla propria rilevanza economica e pratica, tanto in pace quanto in guerra – e tanto più in pace: dato che operano contro essa e, comunque, per trasformarla in una qualche forma di guerra.
La guerra può arrivare ad essere una necessità pratica; ma, quando si fa necessità morale, quella morale sarebbe da investigare con occhio clinico, sperando che la prognosi non sia irrimediabilmente infausta.