venerdì 11 marzo 2011

Riforma della Giustizia / 1



“Ordinamento giudiziario: (1) Unità del Pm (a norma della Costituzione - articoli 107 e 112
ove il Pm è distinto dai giudici); (2) Responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento
sull’operato del Pm (modifica costituzionale); […] (4) Riforma del Consiglio superiore
della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento
(modifica costituzionale); (5) [...] Separare le carriere requirente e giudicante”
Licio Gelli, Piano di Rinascita Democratica, 1981 (?)

“Costruire nel paese le condizioni di un ricambio basato sulla ragion politica”
Giuliano Ferrara, Il Foglio, 11.3.2011
 
Vediamo di cosa si tratta.

L’art. 87 della Costituzione (Titolo II – Il Presidente della Repubblica) recita al comma decimo: “Il Presidente della Repubblica […] presiede il Consiglio superiore della magistratura…”. Qui l’art. 1 del testo di riforma presentato ieri dal Governo aggiunge: “… giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente”.
È fatta la cosiddetta “separazione delle carriere”.

Al comma secondo dell’art. 101 della Costituzione si legge: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Qui l’art. 2 del testo di riforma riscrive: “I giudici costituiscono un ordine autonomo e indipendente da ogni potere e sono soggetti soltanto alla legge”, incorporando il primo comma dell’art. 104: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, levando “altro”, ma senza sostanziale variazione del senso. Almeno così pare.

Così parrebbe anche per l’art. 4 che corregge il comma primo dell’art. 102 (“La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”) che riscrive “giurisdizione” al posto di “funzione giurisdizionale”. Dato quanto alla voluta “separazione delle carriere”, la correzione sembra possa avere un suo senso.

L’art. 5 del testo di riforma riscrive l’art. 104 della Costituzione in funzione di questa separazione tra “giudici e pubblici ministeri”, mentre l’art. 6 e l’art. 7 vi aggiungono quanto ne consegue per i due distinti Consigli superiori della magistratura, quello giudicante e quello requirente, che, come abbiamo visto all’art. 1, sono entrambi sono presieduti dal Presidente della Repubblica.

L’art. 6 apporta una significativa modifica nella composizione del Consiglio superiore della magistratura giudicante, i cui componenti verrebbero ad essere “eletti per metà da tutti i giudici ordinari tra gli appartenenti alla medesima categoria previo sorteggio degli eleggibili e per metà dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio”, mentre il Vicepresidente dovrebbe essere scelto “tra i componenti designati dal Parlamento”.
Anche qui, com’è nel testo della Costituzione, “i membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili”, ma c’è una piccola variazione perché l’art. 104, al comma sesto, recita che “non sono immediatamente rieleggibili”.

L’art. 7, invece, norma la composizione del Consiglio superiore della magistratura requirente, i cui membri dovrebbero “eletti per metà da tutti i pubblici ministeri tra gli appartenenti alla medesima categoria previo sorteggio degli eleggibili e per metà dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio”. Anche qui il Vicepresidente dovrebbe essere scelto “tra i componenti designati dal Parlamento”, anche qui salta l’“immediatamente” relativo alla loro non rieleggibilità.

L’art. 8 del testo di riforma adegua l’art. 105 della Costituzione alla “separazione delle carriere” per quanto attiene all’autogoverno. Dove la Carta attualmente recita che “spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”, è fatta adeguata distinzione tra Consiglio superiore della magistratura giudicante e al Consiglio superiore della magistratura requirente.

Così è pure per l’art. 9 che separa in due la Corte di disciplina della magistratura. Anche qui è assunto il criterio che vuole “i componenti di ciascuna sezione […] eletti per metà dal Parlamento in seduta comune e per metà rispettivamente da tutti i giudici e i pubblici ministeri”, con un Presidente e un Vicepresidente che devono essere entrambi eletti “tra i componenti designati dal Parlamento”.

Siamo giusto a metà del testo di riforma, che è composto di 18 articoli, e forse già possiamo fare qualche considerazione.
Il Governo non si limita a separare le carriere, ma mette i duplicati del Consiglio superiore della magistratura e della Corte di disciplina della magistratura in un nuovo rapporto col Parlamento, che è d’ordine quantitativo e qualitativo. È riaffermata l’autonomia e l’indipendenza della magistratura così separata in due, ma il rapporto di subordine della Giustizia alla Politica è fortemente accentuato, anche se indirettamente, attraverso una ridefinizione degli organi di autogoverno e di controllo disciplinare. Se qui facciamo un salto all’art. 15 che intende modificare l’art. 112 della Costituzione (“Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”), aggiungendovi “secondo i criteri stabiliti dalla legge”, pare chiara l’intenzione di mettere la Giustizia al guinzaglio della Politica. D’altra parte, come vedremo più avanti, in almeno altri due punti, le prerogative della magistratura vengono a trovarsi condizionate dai “criteri stabiliti dalla legge”, cioè dal legislatore, cioè dalla Politica. L’erosione dell’autonomia e dell’indipendenza della Giustizia non è dichiarata come fine ultimo della riforma, ma è evidente che sia nel suo intento.
C’è da aspettarsi forti resistenze a questo disegno.


[segue]

3 commenti:

  1. Il disegno è geniale, lo divulgo...

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  2. La separazione tra funzione inquirente e giudicante mi sembra più consona a un paese democratico, dato che l'attuale struttura è un retaggio di quella vigente sotto la monarchia e il fascismo. L'opposizione dei magistrati a questo aspetto della riforma è mera difesa d'interessi corporativi.
    Al contrario, il tentativo di sottoporre la magistratura al potere politico, rappresenta la reintroduzione d'un principio operante nello stato monarchico e in quello monarchico-fascista. Trattandosi d'una impostazione d'evidente natura antidemocratica, va di conseguenza assolutamente contrastato.

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  3. off topic: 2011, corriere.it, siamo ancora capaci di titoli, e articoli, come questo:

    "Torna la maledizione del numero undici. Dalle Torri Gemelle ad Atocha" di Marco Letizia.

    http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_11/maledizione-numero-11-giappone_2c03cc54-4bc8-11e0-b2c2-62530996aa7c.shtml

    ciao

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