venerdì 15 aprile 2011

“Restiamo umani”


Mi auguro di non ferire la sensibilità di alcuno con quanto sto per dire, e anzi, per evitare che possa accadere contro la mia volontà, farò largo uso di virgolettato da fonti senza dubbio filopalestinesi. In più voglio premettere che sono sinceramente dispiaciuto per la morte di Vittorio Arrigoni, non solo per il rispetto che si deve ad ogni morto, ma anche per l’istintiva simpatia che mi ha trasmesso nella video-intervista che circola in rete in queste ore. Nella quale, a mio parere, mostra d’essere fazioso, e però con tanta buonafede e con così ingenuo candore da riuscire a farmi grande tenerezza. Non vorrei aver commesso di già il primo guaio: ho detto “fazioso”, avrò con ciò fatto offeso alla memoria di Vittorio Arrigoni? Era un attivista dell’International Solidarity Movement (ISM), “a Palestinian-led movement […] aim[ing] to support and strengthen the Palestinian popular resistance by providing the Palestinian people with two resources, international solidarity and an international voice with which to nonviolently resist an overwhelming military occupation force”.
Tutte cose belle, ma dichiaratamente di parte. E su questo non c’è niente da obiettare, ci mancherebbe altro: di fronte a due fazioni in lotta ciascuno è libero di scegliere a chi portare aiuto. Se al posto di un attivista umanitario filopalestinese fosse morto un volontario di quelli che prestano soccorso alle vittime degli attentati palestinesi in terra d’Israele, sarebbe morto un “fazioso” dell’opposta fazione, ma sarei ugualmente dispiaciuto, né più, né meno.
Nel “restiamo umani” di Vittorio Arrigoni c’è da leggere l’umana ammissione dell’umana tendenza a schierarsi per questa o quella fazione, ed egli era schierato: superfluo dire che lo fosse legittimamente. D’altra parte, s’è mai sentito dire di un attivista umanitario che, dopo aver soccorso le vittime palestinesi dei bombardamenti israeliani su Gaza vada a soccorrere le vittime dei missili Qassam che piovono in Israele, o viceversa? Forse sarebbe ancora più “umano”, ma è praticamente impossibile: “restiamo umani” e con ciò accettiamo i nostri limiti, “umani” pure quelli.

Ciò detto, resterebbe la questione del chi (eventualmente del cosa) l’abbia ucciso. Salafiti, dicono. Pur sempre palestinesi. E qui saremmo al “chi”. Ecco, io qui mi chiedo se si sia mai sentito dire di un attivista filoisraeliano che sia stato fatto fuori da estremisti israeliani per il solo fatto di stare in Israele senza essere israeliano, di religione ebraica, ecc. – e piango Vittorio Arrigoni per tutte le belle cose che ho detto prima, ma ci metto pure la tristezza del constatare che aveva scelto la “fazione” più ingrata. Ma con questa ingratitudine (e qui saremmo al “cosa”) ha ormai da fare i conti l’ISM e chiunque sia – come Vittorio Arrigoni diceva di se stesso – “filopalestinese senza se e senza ma”.



Nota (h. 23.00) - Dai primi commenti a questo post verifico di aver ferito la sensibilità di chi reputa improprio l’uso del termine “fazione”. Neanche un cenno, al momento, al fatto che Vittorio Arrigoni sia stato ucciso da palestinesi. Eppure, “faziosa” o no che fosse la sua scelta (e ho scritto che in ogni caso sarebbe da considerare legittima), la cosa più importante in questa triste vicenda è il fatto che sia stato ucciso da palestinesi: è cosa che viene rimossa o almeno assai poco considerata, almeno da chiunque sia, come lui, “filopalestinese senza se e senza ma”. E nemmeno si può dire che sia morto per “fuoco amico”: i palestinesi che lo hanno ucciso non hanno tenuto in alcun conto del suo essere filopalestinese, anzi, pare che lo abbiano ucciso per l’esserlo. E questo, vedo, non si può dire. Il dolore che arreca la sua morte è guastato dal non poterla addebitare tutta ad Israele: è come ucciderlo una seconda volta, per troppo amore della causa che amava. Altra tristezza.


Ditemi dei coglioni


Se la prescrizione breve vi fa girare i coglioni, pensate a quella lunga che sottrae l’ex vescovo di Bruges a ogni giudizio: a trent’anni di distanza dai fatti, non prima, monsignor Roger Vangheluwe rivela di aver abusato sessualmente di due suoi nipoti (in un caso la cosa è andata avanti per più di tredici anni). Sua Eccellenza si sente praticamente innocente (“pensavo che si trattasse di cose superficiali”) e non ha alcuna intenzione di tornare allo stato laicale, d’altra parte è difficile che vi tornerà per decreto della Santa Sede: prima di venire a sapere che la prescrizione lunga lo rende intoccabile, è proprio nell’Ambasciata della Santa Sede a Bruxelles che aveva cercato riparo, trovandolo, e in forza del principio che informa il concetto di prescrizione, qui ricoperto da una glassa misericordiosa. Pensate a questo e poi ditemi dei coglioni.


Segnalazione

Don Zauker, un vaticanista con le palle.

Povera logica nostra


Zuccheri nel sangue sempre più alti, Giuliano Ferrara cerca di conquistare il pubblico televisivo di Raiuno alla polemica che egli stesso ha sollevato su uno scritto di Alberto Asor Rosa nel quale ha letto un’istigazione al colpo di stato. Restando per un attimo ai margini della questione, c’è da chiedersi: a un telespettatore che abbia appena finito di seguire il suo tg preferito, che poi sarebbe quello di Augusto Minzolini, e voglia proseguire la serata su Raiuno per il telefilm del lunedì o per quello del martedì, per la partita di pallone del mercoledì o per Un medico in famiglia del giovedì, eventualmente per lo show di Dj Francesco & Belen di stasera, perché non ritiene che altrove ci sia di meglio – a un telespettatore con questo profilo – quanto potrà interessare questa roba?
Senza dubbio si tratta di questione interessantissima, perché parliamo di un’antica controversia, filosofica prim’ancora che politica: se il potere spetti interamente al popolo o se vi sia una superiore istanza che possa sottrargliene una parte in vista di un bene che non sia considerato tale dalla sua maggioranza. Su un’altra rete, a un altro orario, forse, ma è il caso di discuterne tra un servizio su un concorso di bellezza per gatti e una partita di Champions League? È ormai noto che alla sigla di testa di Qui Radio Londra ci sia un crollo dello share, che poi risale solo sulla sigla di coda: con quale glicemia ci si può azzardare a ritenere che tale voragine possa essere colmata con cinque minuti scarsi di meditazione su democrazia e diritto, su rappresentanza e costituzione, anche se trasposta nel gustoso siparietto di un ciccione coi denti gialli che molesta un vecchietto dai baffoni tristi? Più bestiale della mostra felina, meno avvincente delle mazzate tra opposte tifoserie. Forse davvero serve solo a favorire la concorrenza delle reti Mediaset.

Venendo al merito: la peggiore dittatura non era proprio quella della maggioranza? Ci era sembrato di capire che Giuliano Ferrara lo pensasse, e che a modo suo teorizzasse una istanza superiore al volere dei più, che lasciati liberi di decidere su tutto sarebbero capaci di promuovere ogni capriccio in diritto, solo in forza del loro numero: un Dio che non esiste, ma che sarebbe comunque necessario, non era fino all’altrieri al centro dei suoi argomenti contro il 67,4% degli italiani in favore dell’eutanasia? Abbiamo capito male, probabilmente.
Se abbiamo capito bene, invece, la maggioranza è sacra solo in alcune occasioni e una di queste è quando nelle urne sceglie Silvio Berlusconi. In realtà, non è stata neppure la maggioranza degli italiani a sceglierlo: Pdl e Lega trovano in Parlamento una maggioranza che non hanno nel paese grazie a una legge elettorale definita “porcata” proprio da chi l’ha scritta. È questa maggioranza che stavolta sarebbe sacra, per Giuliano Ferrara, e contro ogni superiore istanza costituzionale: basterebbe questa maggioranza a poter liberamente dare traduzione materiale ai principi formalmente espressi dalla Costituzione scritta, sicché “in nome del popolo italiano” andrebbe letto “Berlusconi fa un po’ il cazzo che gli pare perché ha vinto le elezioni nel 2008”. Istanza superiore? Stavolta, zero.

Tutto è troppo complicato per la nostra logica, conviene cambiare canale anche a noi. Non prima di esserci arresi dinanzi a un’altra contraddizione, che probabilmente però è solo apparente anche in questo caso: non più di due o tre anni fa, sulle pagine de Il Foglio, Filippo Facci bacchettava Giuliano Ferrara per il suo uso dell’indicativo al posto del congiuntivo («Penso che quella è stata ed è una guerra giusta [...] penso che la guerra americana non ha decretato il terrorismo»), subito riavendone una randellata; seconda randellata di Ferrara a Facci, stavolta ad Ottoemezzo, un anno dopo, sempre in difesa dell’indicativo contro il congiuntivo; oggi, con lo stesso randello, Ferrara mena Asor Rosa, colpevole di aver scritto “instaura” invece di “instauri”. Povera logica nostra, via, scappa da Raiuno.

giovedì 14 aprile 2011

“Diciamo che siamo stati furbi”


La Campania dovrà detrarre i 720.000 euro che furono dati ad Elton John per il concerto tenuto a Napoli l’11 settembre 2009, nell’ambito della Festa di Piedigrotta, dai 2.250.000 euro che l’Unione europea destina al fondo di sviluppo regionale. Il portavoce del commissario europeo agli Affari regionali ha chiarito che si trattava di un progetto che non rientrava nel programma operativo Ue, rivolto invece a investimenti a lungo termine, sicché la somma che fu spesa per offrire Elton John agli 80.000 che quella sera affollarono Piazza Plebiscito sarà rimborsata deducendola dagli ulteriori stanziamenti europei in favore della Regione.
È evidente che gli amministratori locali non avessero chiari gli obiettivi del programma operativo Ue. Il governatore Antonio Bassolino era fiero: “Napoli mostra sempre il meglio di sé quando si apre al mondo e questa sarà una grande Piedigrotta dal sapore internazionale, una festa che sarà una straordinaria occasione di promozione per Napoli”. Il presidente dell’Ente di promozione del turismo di Napoli, Dario Scalabrini, era addirittura euforico: “Non posso parlare di cifre per ragioni contrattuali e commerciali, ma di sicuro abbiamo pagato molto meno di quanto sarebbe costato normalmente un concerto di un nome come Elton John. Diciamo che siamo stati furbi”. Va da sé che dalle loro tasche non uscì e non uscirà un solo euro.


[...]




mercoledì 13 aprile 2011

Più lo conosci, più vieni a spiegarti certi dettagli



Mi ero sempre chiesto perché a quel conto fosse stato messo un nome come All Iberian, poi ieri - eureka! - ho capito che doveva trattarsi di un conto personale, aperto per altre ragioni, e solo successivamente usato per pagare tangenti.


Di là





Non si capisce


Solleva discussione il fatto che un eterosessuale sia stato eletto presidente di un’associazione gay. Alcuni iscritti lamentano: “Come può rappresentarci? Non ha mai sentito sulla pelle cosa voglia dire essere discriminato in quanto omosessuale”. E a me pare obiezione idiota, come se i tifosi della Lazio pretendessero che presidente, allenatore e giocatori fossero tutti originari di Latina, Rieti, Viterbo e Frosinone, non di altre città, tanto meno di Roma.
Ancor più idiota mi pare Ferrara, che prende spunto dalla vicenda per costruirci sopra il solito numero, quello del tipo “l’aborto è un assassinio, ma mica voglio dire che le donne che abortiscono sono assassine”, che qui suona pressappoco “mica voglio discriminare i gay, dico solo che sovvertono la legge di natura”.
Che cazzo c’entri l’elezione di Francesco Brollo alla presidenza dell’Arcigay di Bari (che se è potuta esserci vuol dire che era statutariamente legittima) con il solito sofistico distinguo che fa la differenza tra un eccentrico e uno stronzo (e che per Ferrara fa la sola differenza tra l’essere fatto bersaglio di uova invece che di palle di letame), francamente, non si capisce.

Non ci sono dubbi


“Prego il Padreterno che gli mandi un bell’ictus e rimanga lì secco” (Exit - La7, 6.4.2011), anzi: “Berlusconi? Datemi una pistola e un euro, e ci penso io” (La Zanzara - Radio 24, 12.4.2011). Ma questo è un prete? Si rimane sgomenti alle dichiarazioni di don Giorgio De Capitani, ma lo sgomento dura un niente: anche se si accontenta di un solo euro, ha chiesto soldi. Sì, non ci sono dubbi: è un prete.


martedì 12 aprile 2011

Empfängnisregelung


C’è differenza tra “anticoncezionale” e “contraccettivo”? Sostanzialmente no, perché in entrambi i casi parliamo di qualcosa che impedisce la fecondazione. In senso stretto, anche la continenza sessuale è un metodo “anticoncezionale” o “contraccettivo”, ed è proprio la “continenza periodica” che la Chiesa ammette come solo mezzo moralmente valido per la regolazione delle nascite (Catechismo, 2370), essendo “lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio [perifrasi per “atto sessuale”] nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere minimamente i principi morali che abbiamo ora ricordato. La chiesa è coerente con se stessa, sia quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi [grazie alla loro identificazione con metodi come quello del controllo della temperatura basale, nel muco cervicale uterino, ecc.], sia quando condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione (meccanici, farmacologici, ecc.), anche se ispirato da ragioni che possano apparire oneste e gravi. Infatti, i due casi differiscono completamente tra di loro: nel primo caso i coniugi usufruiscono legittimamente di una disposizione naturale; nell’altro caso essi impediscono lo svolgimento dei processi naturali” (Humanae vitae, 16).

Ciò detto, era necessario ritirare le copie della versione italiana di Youcat perché la traduzione dall’originale tedesco di “Empfängnisregelung” (letteralmente: “regolazione del concepimento”, con esplicito riferimento all’impiego dei metodi “naturali”) era reso col termine “metodi anticoncezionali”? Il metodo Billings, che è approvato dalla Chiesa, non è forse un metodo anticoncezionale? Non importa: le copie della versione italiana vengono ritirate, nonostante il testo dica chiaramente che la Chiesa “rifiuta tutti i metodi contraccettivi artificiali”. Se ne esistono di “artificiali”, ne esistono di “naturali”, che sono appunto quelli ammessi dalla Chiesa. Il fatto è che “anticoncezionale” e “contraccettivo” sono termini che evocano “artificio” anche quando sono riferiti a pratiche “naturali”. Da parte di chi ha disposto il ritiro della versione italiana di Youcat vi è una implicita presa d’atto che i metodi contraccettivi “naturali” non sono efficacemente “anticoncezionali” come quelli “artificiali”, come peraltro era già noto.


Sogno e bisogno




Ero in apprensione per la Cina


Qualche anno fa, quando i rapporti tra Cina e Santa Sede sembrarono prendere una buona piega dopo decenni di gelo diplomatico, fui mosso da grande apprensione per le sorti della Cina – a volte mi piace avere premure smisurate – e scrissi una lunga lettera aperta all’ambasciatore cinese in Italia: “Attenti! Come concedete un’unghia, vi spolpano il braccio!”. Naturalmente forzai un po’ la mano, toccando i punti che immaginavo fossero più sensibili in un cinese metacomunista e neoconfuciano: “Guardatevi il culo! Se cedete alla pretesa che il diritto ecclesiastico abbia esercizio attivo nella comunità cattolica cinese, slaminate in due la cittadinanza, date vita ad un bolla che finirà per farvi embolo. Sembrano vecchiacci mollicci, ma – occhio! – sono pericolosissimi!”. Ci misi un po’ di leggenda nera, un po’ di teologia a far spalancare gli occhi dall’orrore, e poi tutto il peggio del Catechismo e del Codice di Diritto Canonico.
Ovviamente la lettera non sortì effetto, e Roma e Pechino continuarono a scambiarsi cortesie. Rimaneva sempre aperta la questione delle nomine episcopali, che teneva divisi i cattolici nella chiesa cosiddetta patriottica e in quella cosiddetta sotterranea, ma anche quella sembrava avviarsi a soluzione, quando il 31 marzo, con nomina pontificia, Paul Liang Jiansen veniva ordinato vescovo di Jiangmen, e subito riconosciuto dal governo.
Era evidente che vi fosse stato accordo preventivo e che la Santa Sede avesse accettato, almeno in via transitoria, la soluzione di una consultazione riservata tra le parti sulla rosa degli episcopabili. Compromesso che di fatto era una mortificazione del diritto canonico (“Il giudizio definitivo sull’idoneità del candidato [all’episcopato] spetta alla Sede Apostolica” – Can. 378, §2), ma che bastava non dichiarare per salvare la faccia. Pur sempre un primo passo.
“Come sono stupidi, questi orientali!”, così rimuginavo con sommo dispetto. Ma non facevo i conti con la superiore saggezza dei cinesi, che evidentemente avevano scelto il gioco di sponda.
Il segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, monsignor Savio Hon Tai-Fai, lamentava dalle pagine di Avvenire, venerdì 1 aprile, che “non sono promossi i migliori”, perché “si sono preferite nomine di compromesso”, sicché “ho sentito lamentele di fedeli e sacerdoti per scelte episcopali di compromesso”. Sì, però “la Santa Sede ha avuto giustamente la preoccupazione di evitare ordinazioni illegittime”, ed ecco vescovi non graditi ai cattolici della chiesa cosiddetta sotterranea, ma buoni a dar l’impressione che sia il Papa a sceglierli, come si deve. E questo genera malumori, ponendo in altri termini la stessa domanda di sempre: meglio il martirio o meglio il concordato? Qui è l’umanità a spaccarsi, prim’ancora che i cattolici, prim’ancora che i cattolici cinesi, prim’ancora che i cattolici della cosiddetta chiesa sotterranea.
Mica fesso, il governo cinese. Alla pretesa che il diritto ecclesiastico abbia esercizio attivo nella comunità cattolica cinese, la risposta è: formalmente sì, sostanzialmente no. Pur di far bolla, la Santa Sede accetta. E la bolla finisce per far embolo nelle sue arterie. Furbissimi, questi orientali.

lunedì 11 aprile 2011

“Molto deve ancora essere fatto…”




Sulla base del personale intuito


Ci vorrà una mente sopraffina per confezionare una versione dei fatti che integri le odierne affermazioni di Silvio Berlusconi riguardo al «caso Ruby» con quelle precedenti: aveva dichiarato che il suo interessamento alle sorti di Karima el Mahroug fosse motivato dal ritenerla nipote di Hosni Mubarak, e oggi aggiunge che le sue premure pecuniarie avevano il fine di non costringerla alla prostituzione. Ma la nipote di Mubarak si prostituiva? Mai fatto, a sentir lei e, a ritenerla sincera, verrebbe meno ogni ragione per processare il Presidente del Consiglio, almeno per il reato di prostituzione minorile. A ritenerla sincera, però, sorge un problema: sulla base di quali elementi poggiava il timore che ella potesse prostituirsi? Qui la mente sopraffina non avrà che da appellarsi al fatto che Silvio Berlusconi riteneva serio quel rischio sulla base del personale intuito nel riconoscere la potenziale puttana fra quante venutesi a trovare a corto di denaro. Dote innata che si riconferma nello scegliere a colpo sicuro la mente sopraffina fra quanti restano per un attimo imbarazzati ad ogni sua nuova bugia.


De Mattei for President!


Dopo averci spiegato che l’uomo non è prodotto dell’evoluzione ma della creazione di Dio, che a far cadere l’Impero Romano sono stati i gay, che terremoto e tsunami in Giappone sono da intendere come castigo di Dio e, ora, che il Paradiso terrestre è davvero esistito, al professor Roberto De Mattei, che intanto rimane alla vicepresidenza del Centro Nazionale Ricerche, non resta che venirci a dire che masturbarsi procura cecità. E poi, tenuto conto della merda di paese che siamo, lo facciamo presidente.


domenica 10 aprile 2011

Joe Hill promosso a Padre della Chiesa


Bob Dylan? “Sì, lo coinvolgiamo nientemeno che in una recensione riguardante uno dei massimi Padri della Chiesa, quel sant’Agostino a cui Dylan nell’album «John Wesley Harding» dedicò nel 1968 una canzone” (Agostino amato da Bob DylanIl Sole-24Ore, 10.4.2011). Ora, si può chiudere un occhio sul fatto che quell’album sia in realtà del 1967, ma è tutto il resto che non va, com’è del resto per molte delle sciocchezze che il cardinal Gianfranco Ravasi scrive e, più in generale, per l’intero inserto culturale del giornale della Confindustria da quando a dirigerlo non c’è più Riccardo Chiaberge.
“Ma ritorniamo alla canzone che inizia così: «I dreamed I saw saint Augustine» e che ha il suo apice nella ripresa successiva: «I dreamed I saw saint Augustine alive with fiery breath!». Dunque, Bob aveva sognato di vedere sant’Agostino «in carne e ossa che correva nei nostri quartieri in estrema povertà... e cercava anime che già erano state vendute, gridando forte: ‘Alzatevi, alzatevi! Venite fuori e ascoltate...’». E alla fine, ecco Dylan confessare ancora: «Ho sognato di vedere sant’Agostino, vivo di un respiro di fuoco» per aggiungere in conclusione un apocrifo martirio del santo, in realtà solo un incubo onirico: «Ho sognato di essere tra coloro che lo misero a morte! Oh, mi sono svegliato adirato, solo e terrorizzato..., ho abbassato la testa e ho pianto»”.

Tutto sbagliato, Eminenza, quel «saint Augustine» non è l’Ipponate. «I dreamed I saw saint Augustine» altro non è che una citazione di «I dreamed I saw Joe Hill» (testo di Alfred Hayes e musica di Earl Robinson, 1936), una ballata in onore del sindacalista e folksinger di origine svedese naturalizzato americano che fu condannato a morte, quasi certamente innocente dell’omicidio del quale era accusato, e giustiziato nel 1915. La citazione riprende il testo e (almeno per le prime dodici battute) anche la musica di quella ballata, in linea con l’intero album di Bob Dylan, che era senza dubbio un tentativo di fondere country e Bibbia (Piero Scaruffi ha scritto che “l’apparato retorico del suo passato, parabole e visioni, profezie e sermoni, veniva messo al servizio della nuova causa”). Per quanto confusa e vaga, l’ispirazione era senza dubbio religiosa, ma il «saint Augustine» che nella canzone di Bob Dylan risulta martirizzato non è Agostino d’Ippona, ma Joe Hill trasfigurato.


:-D


Fossi ancora iscritto a Radicali italiani, starei a mangiarmi il fegato. E invece seguo a debita distanza questo Comitato nazionale chiamato a declinare alla milanese il dogma romano, e rido.
A Roma – più esattamente in via di Torre Argentina – è articolo di fede che si possa (e si debba) fare differenza tra chiesa e gerarchia ecclesiastica, tra cattolici e Santa Sede, tra spiritualismo e religiosità. Ci credono davvero, pensano che l’emancipazione antropologica di questo paese rovinato dal cattolicesimo passi per l’emersione dello “scisma sommerso”, e non si avvedono che il più schifoso clericalismo è tutto in nuce già nella apparente purezza del messaggio evangelico, in quell’obbligo di amare il prossimo invece del farsi bastare il rispettarlo. Precipitando dall’iperuranio romano, qui a Milano l’idea è di poter far differenza tra don Luigi Giussani e Roberto Formigoni, tra una Comunione e liberazione nata come puro afflato sociale e poi – solo poi – diventata lobby avidissima.
Se a Roma il dogma sbatte il muso da decenni (almeno dal 1985), i cattolici milanesi, schifati dallo strapotere formigoniano, potrebbero (e dovrebbero) votare questi monaci scalzi, più giussianiani di Formigoni. Come se non fosse tutto già in Giussani il mandato ad annunciare Cristo come evento, meeting e coffee break. Non hanno letto Giussani, questo è tutto.

Peggio di noi non possono essere


In Gramsci, in Prezzolini, in Salvemini e in Sturzo si ritrova la stessa distinzione degli italiani in conformisti e anarchici, e in tutti e quattro si arriva a concludere, pur con diversa argomentazione, che in ogni conformista c’è sempre un anarchico, e viceversa. Tutti della stessa pasta: sia il conformista, che non è tale per un innato rispetto della regola, intesa come autorità o tradizione, ma per istinto all’adattamento senza convinzione, per lo più per evitare rogne e in nome del “chi me lo fa fare?”, eventualmente (e manco tanto eventualmente) per lucrare agi; sia l’anarchico, che non è tale perché refrattario alla regola, intesa come sopra, ma perché disilluso dal poterne cavare vantaggio. Non v’è accordo sulle cause, ma in tutti e quattro – Gramsci, Prezzolini, Salvemini e Sturzo – il cosiddetto “carattere nazionale” ha due facce ma una sola anima, che è antisociale quanto più è socievole, familista quanto più universalista, ecc.
Sono partito da Sturzo, del quale sto leggendo in questi giorni l’ultimo volume di Politica di questi anni. A pag. 259 sento l’eco di Prezzolini, faccio uno sforzo di memoria e rivado al suo L’Italia finisce, ecco quel che resta. Qui, a tratti, il “carattere nazionale” trova un giudizio analogo a quello che è ben più che tra le righe delle Cronache torinesi, e in tutto coincidente alle riflessioni salveminiane alla vigilia della Grande Guerra. In meno di mezz’ora, l’Italia e gli italiani mi arrivano a condanna definitiva: indegni di sopravvivere in quanto tali.
Non si capisce quale follia possa mandarci in giro fieri di una identità che sarebbe tutta nostra, reliquia di qualche Rinascimento o Risorgimento. Io accoglierei a braccia aperte somali e tunisini: peggio di noi non possono essere, è praticamente impossibile.


sabato 9 aprile 2011