lunedì 18 aprile 2011

“Rabbi, consenti una domanda?”



Stanotte ho sognato Gesù. Era seduto in mezzo a due o tre dozzine di fan e raccontava la parabola del profugo eritreo che sbarca a Lampedusa, compra una schedina precompilata in una tabaccheria, vince 150 milioni al Superenalotto, eccetera. Mi avvicino, aspetto che finisca e gli faccio: “Rabbi, ce la racconti un’altra volta quella del buon samaritano?”.
Devo aver toccato il tasto giusto perché è tutto un “sì, Rabbi!”, “dai, Rabbi!”. Lui si fa un po’ desiderare, da vero artista alla richiesta del bis, poi attacca: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…”.
Quando arriva in fondo, faccio: “Rabbi, consenti una domanda?”. Annuisce e allora chiedo: “Mettiamo che il samaritano si avvicini al tizio che intende soccorrere e questi gli sferri un pugno in faccia: è fesso il tizio o il samaritano?”.
“In verità, in verità ti dico – dice – così smette di essere parabola e diventa barzelletta”. E lì mi son svegliato.

Ecco, questa mi mancava



domenica 17 aprile 2011

Nustalgia de Milan




Non può negarsi


Fabio Brotto scrive: “Il pensiero della non esistenza di Dio è già un pensiero metafisico. Fondato su una proposizione dichiarativa-metafisica. In questo senso, tutto il gran darsi da fare di materialisti di ogni tipo per smontare la plausibilità della credenza è la conferma del fatto che il pensiero umano ha sempre bisogno della trascendenza, anche nella sua negazione. E il motivo è semplice: anche il pensiero più ateo è per sua natura una realtà trascendente. Mi impressiona, in questo senso, la faciloneria con cui si usa il termine «realtà» (oggi molto più usato del termine «verità»). Esso è maneggiato da tutti in modo superficiale ed acritico. Come se non fosse una bomba metafisico-epistemologica” (Brotture, 17.4.2011).

Sciocchezze sentite mille volte, e che possono anche sembrare profonde, ma siamo a quel livello di logica che consente a un prete, trionfante sull’ateo al quale sia scappato un “porcodio”, l’esclamazione “ma allora vedi che sei costretto ad ammetterne l’esistenza?”, montandosi la testa fino a sentirsi un sant’Anselmo. Logica che al primo “perbacco” è costretta a mettere sullo stesso piano (fenomenologico e perfino ontologico) Dio e Bacco.
È il solito sillogismo zoppo che ci perseguita da secoli: se penso Dio, Dio è nel mio pensiero; è l’ente propriamente metafisico, e quindi il mio pensiero non può che avere dimensione congrua a Dio; non posso negare l’esistenza di Dio senza negare la piena dimensione del mio pensiero, e quindi io esisto solo se esiste Dio. E Bacco no?
Prima che epistemologica, la bolla di scollamento è linguistica: il trucco del treccartaro qui sta nel fare scivolare, fino a separarli, il piano del significato su quello del significante, e più la mano è lesta, più il trascendente pare plausibile fino al necessario, come contenuto e contenente della bolla.

Ma prima di tutto: cos’è una proposizione “dichiarativa-metafisica”? I sudati tomi di filosofia e teologia non ne danno notizia, sarà un concetto introdotto dal Brotto. Non lo spiega, sicché siamo costretti a congetturare. Se la “proposizione dichiarativa” è la subordinata completiva di una frase che lega a Bacco il predicato di compresenza, allora nel dire “Bacco non c’è” faccio “proposizione dichiarativa-metafisica” dell’esistenza di Bacco? O è questo o Brotto l’ha butta lì solo per impressionarci un po’. Se lo escludiamo, perché il Brotto si atteggia a persona seria, dobbiamo ritenere che per lui è vero – o reale, a piacere – ciò che è partecipato (completivamente) di compresenza metafisica, per il solo avere un predicato (non importa quale): neghi l’esistenza di Bacco e, oplà, gli dai vita. Se poi neghi l’esistenza di un creatore onnipotente e onnisciente, eccolo, l’hai creato (e allora vuol dire che lui ha creato te).
Insomma, detto in posa solenne: “il pensiero umano ha sempre bisogno della trascendenza, anche nella sua negazione”. Messa così, la cosa sembra quasi reggere. Zoppica, è vero, ma, se proseguiamo zoppicando anche noi, ci raggiunge e ci convince: andiamo tutti a farci una bevuta da Bacco. Venga pure Brotto, non può negarsi.

Si fa presto





sabato 16 aprile 2011

Senza titolo


Correvo il rischio di invecchiare incupendomi sempre più dinanzi a un mondo che era già pazzo quando nacqui (ma non privo di un metodo) e che lo è diventato sempre di più (perdendo via via anche il metodo). Non mi sarebbe stato duro rinchiudermi in me stesso, costruendomene un altro, tutto a sfizio mio, fatto di volontà e rappresentazione, tutto razionale e della ratio mia. Ma mi è sembrato vile e allora mi son detto: “Adesso faccio un altro figlio”. Che ogni volta è sempre il primo.
 

venerdì 15 aprile 2011

[...]


La tecnica ha reso così complicate le questioni relative al fine-vita che la pretesa immediatezza della verità del magistero cattolico è andata a perdersi in distinguo di sempre più difficile comprensione, che fanno attorcigliare su se stesse perfino le più acute intelligenze alle quali la Chiesa affida la catechesi. Non c’è più un solo termine capace di chiudere in sé un significato certo per troppo tempo, e quello che può andare bene in una lingua, seppure a stento, oggi, in un’altra fa fatica a trovare analogo che non ponga altri problemi, anche più seri, se non oggi domani. La tecnica ha cambiato le cose e le parole che prima le esprimevano ora a malapena ne rammentano il senso che avevano e non hanno più. Ad ogni nuovo farmaco che sposta di un solo millimetro l’indistinto confine tra vita e morte, il Catechismo della Chiesa Cattolica è costretto ad aprire una nota a pie’ di pagina.
Volentieri dedicherei del tempo agli imbarazzi che Youcat sta provocando in autori, traduttori e autorità preposte a dichiararne l’aderenza alla retta dottrina, ma stasera mi fanno una tal pena che li lascio in pace.

“Restiamo umani”


Mi auguro di non ferire la sensibilità di alcuno con quanto sto per dire, e anzi, per evitare che possa accadere contro la mia volontà, farò largo uso di virgolettato da fonti senza dubbio filopalestinesi. In più voglio premettere che sono sinceramente dispiaciuto per la morte di Vittorio Arrigoni, non solo per il rispetto che si deve ad ogni morto, ma anche per l’istintiva simpatia che mi ha trasmesso nella video-intervista che circola in rete in queste ore. Nella quale, a mio parere, mostra d’essere fazioso, e però con tanta buonafede e con così ingenuo candore da riuscire a farmi grande tenerezza. Non vorrei aver commesso di già il primo guaio: ho detto “fazioso”, avrò con ciò fatto offeso alla memoria di Vittorio Arrigoni? Era un attivista dell’International Solidarity Movement (ISM), “a Palestinian-led movement […] aim[ing] to support and strengthen the Palestinian popular resistance by providing the Palestinian people with two resources, international solidarity and an international voice with which to nonviolently resist an overwhelming military occupation force”.
Tutte cose belle, ma dichiaratamente di parte. E su questo non c’è niente da obiettare, ci mancherebbe altro: di fronte a due fazioni in lotta ciascuno è libero di scegliere a chi portare aiuto. Se al posto di un attivista umanitario filopalestinese fosse morto un volontario di quelli che prestano soccorso alle vittime degli attentati palestinesi in terra d’Israele, sarebbe morto un “fazioso” dell’opposta fazione, ma sarei ugualmente dispiaciuto, né più, né meno.
Nel “restiamo umani” di Vittorio Arrigoni c’è da leggere l’umana ammissione dell’umana tendenza a schierarsi per questa o quella fazione, ed egli era schierato: superfluo dire che lo fosse legittimamente. D’altra parte, s’è mai sentito dire di un attivista umanitario che, dopo aver soccorso le vittime palestinesi dei bombardamenti israeliani su Gaza vada a soccorrere le vittime dei missili Qassam che piovono in Israele, o viceversa? Forse sarebbe ancora più “umano”, ma è praticamente impossibile: “restiamo umani” e con ciò accettiamo i nostri limiti, “umani” pure quelli.

Ciò detto, resterebbe la questione del chi (eventualmente del cosa) l’abbia ucciso. Salafiti, dicono. Pur sempre palestinesi. E qui saremmo al “chi”. Ecco, io qui mi chiedo se si sia mai sentito dire di un attivista filoisraeliano che sia stato fatto fuori da estremisti israeliani per il solo fatto di stare in Israele senza essere israeliano, di religione ebraica, ecc. – e piango Vittorio Arrigoni per tutte le belle cose che ho detto prima, ma ci metto pure la tristezza del constatare che aveva scelto la “fazione” più ingrata. Ma con questa ingratitudine (e qui saremmo al “cosa”) ha ormai da fare i conti l’ISM e chiunque sia – come Vittorio Arrigoni diceva di se stesso – “filopalestinese senza se e senza ma”.



Nota (h. 23.00) - Dai primi commenti a questo post verifico di aver ferito la sensibilità di chi reputa improprio l’uso del termine “fazione”. Neanche un cenno, al momento, al fatto che Vittorio Arrigoni sia stato ucciso da palestinesi. Eppure, “faziosa” o no che fosse la sua scelta (e ho scritto che in ogni caso sarebbe da considerare legittima), la cosa più importante in questa triste vicenda è il fatto che sia stato ucciso da palestinesi: è cosa che viene rimossa o almeno assai poco considerata, almeno da chiunque sia, come lui, “filopalestinese senza se e senza ma”. E nemmeno si può dire che sia morto per “fuoco amico”: i palestinesi che lo hanno ucciso non hanno tenuto in alcun conto del suo essere filopalestinese, anzi, pare che lo abbiano ucciso per l’esserlo. E questo, vedo, non si può dire. Il dolore che arreca la sua morte è guastato dal non poterla addebitare tutta ad Israele: è come ucciderlo una seconda volta, per troppo amore della causa che amava. Altra tristezza.


Ditemi dei coglioni


Se la prescrizione breve vi fa girare i coglioni, pensate a quella lunga che sottrae l’ex vescovo di Bruges a ogni giudizio: a trent’anni di distanza dai fatti, non prima, monsignor Roger Vangheluwe rivela di aver abusato sessualmente di due suoi nipoti (in un caso la cosa è andata avanti per più di tredici anni). Sua Eccellenza si sente praticamente innocente (“pensavo che si trattasse di cose superficiali”) e non ha alcuna intenzione di tornare allo stato laicale, d’altra parte è difficile che vi tornerà per decreto della Santa Sede: prima di venire a sapere che la prescrizione lunga lo rende intoccabile, è proprio nell’Ambasciata della Santa Sede a Bruxelles che aveva cercato riparo, trovandolo, e in forza del principio che informa il concetto di prescrizione, qui ricoperto da una glassa misericordiosa. Pensate a questo e poi ditemi dei coglioni.


Segnalazione

Don Zauker, un vaticanista con le palle.

Povera logica nostra


Zuccheri nel sangue sempre più alti, Giuliano Ferrara cerca di conquistare il pubblico televisivo di Raiuno alla polemica che egli stesso ha sollevato su uno scritto di Alberto Asor Rosa nel quale ha letto un’istigazione al colpo di stato. Restando per un attimo ai margini della questione, c’è da chiedersi: a un telespettatore che abbia appena finito di seguire il suo tg preferito, che poi sarebbe quello di Augusto Minzolini, e voglia proseguire la serata su Raiuno per il telefilm del lunedì o per quello del martedì, per la partita di pallone del mercoledì o per Un medico in famiglia del giovedì, eventualmente per lo show di Dj Francesco & Belen di stasera, perché non ritiene che altrove ci sia di meglio – a un telespettatore con questo profilo – quanto potrà interessare questa roba?
Senza dubbio si tratta di questione interessantissima, perché parliamo di un’antica controversia, filosofica prim’ancora che politica: se il potere spetti interamente al popolo o se vi sia una superiore istanza che possa sottrargliene una parte in vista di un bene che non sia considerato tale dalla sua maggioranza. Su un’altra rete, a un altro orario, forse, ma è il caso di discuterne tra un servizio su un concorso di bellezza per gatti e una partita di Champions League? È ormai noto che alla sigla di testa di Qui Radio Londra ci sia un crollo dello share, che poi risale solo sulla sigla di coda: con quale glicemia ci si può azzardare a ritenere che tale voragine possa essere colmata con cinque minuti scarsi di meditazione su democrazia e diritto, su rappresentanza e costituzione, anche se trasposta nel gustoso siparietto di un ciccione coi denti gialli che molesta un vecchietto dai baffoni tristi? Più bestiale della mostra felina, meno avvincente delle mazzate tra opposte tifoserie. Forse davvero serve solo a favorire la concorrenza delle reti Mediaset.

Venendo al merito: la peggiore dittatura non era proprio quella della maggioranza? Ci era sembrato di capire che Giuliano Ferrara lo pensasse, e che a modo suo teorizzasse una istanza superiore al volere dei più, che lasciati liberi di decidere su tutto sarebbero capaci di promuovere ogni capriccio in diritto, solo in forza del loro numero: un Dio che non esiste, ma che sarebbe comunque necessario, non era fino all’altrieri al centro dei suoi argomenti contro il 67,4% degli italiani in favore dell’eutanasia? Abbiamo capito male, probabilmente.
Se abbiamo capito bene, invece, la maggioranza è sacra solo in alcune occasioni e una di queste è quando nelle urne sceglie Silvio Berlusconi. In realtà, non è stata neppure la maggioranza degli italiani a sceglierlo: Pdl e Lega trovano in Parlamento una maggioranza che non hanno nel paese grazie a una legge elettorale definita “porcata” proprio da chi l’ha scritta. È questa maggioranza che stavolta sarebbe sacra, per Giuliano Ferrara, e contro ogni superiore istanza costituzionale: basterebbe questa maggioranza a poter liberamente dare traduzione materiale ai principi formalmente espressi dalla Costituzione scritta, sicché “in nome del popolo italiano” andrebbe letto “Berlusconi fa un po’ il cazzo che gli pare perché ha vinto le elezioni nel 2008”. Istanza superiore? Stavolta, zero.

Tutto è troppo complicato per la nostra logica, conviene cambiare canale anche a noi. Non prima di esserci arresi dinanzi a un’altra contraddizione, che probabilmente però è solo apparente anche in questo caso: non più di due o tre anni fa, sulle pagine de Il Foglio, Filippo Facci bacchettava Giuliano Ferrara per il suo uso dell’indicativo al posto del congiuntivo («Penso che quella è stata ed è una guerra giusta [...] penso che la guerra americana non ha decretato il terrorismo»), subito riavendone una randellata; seconda randellata di Ferrara a Facci, stavolta ad Ottoemezzo, un anno dopo, sempre in difesa dell’indicativo contro il congiuntivo; oggi, con lo stesso randello, Ferrara mena Asor Rosa, colpevole di aver scritto “instaura” invece di “instauri”. Povera logica nostra, via, scappa da Raiuno.

giovedì 14 aprile 2011

“Diciamo che siamo stati furbi”


La Campania dovrà detrarre i 720.000 euro che furono dati ad Elton John per il concerto tenuto a Napoli l’11 settembre 2009, nell’ambito della Festa di Piedigrotta, dai 2.250.000 euro che l’Unione europea destina al fondo di sviluppo regionale. Il portavoce del commissario europeo agli Affari regionali ha chiarito che si trattava di un progetto che non rientrava nel programma operativo Ue, rivolto invece a investimenti a lungo termine, sicché la somma che fu spesa per offrire Elton John agli 80.000 che quella sera affollarono Piazza Plebiscito sarà rimborsata deducendola dagli ulteriori stanziamenti europei in favore della Regione.
È evidente che gli amministratori locali non avessero chiari gli obiettivi del programma operativo Ue. Il governatore Antonio Bassolino era fiero: “Napoli mostra sempre il meglio di sé quando si apre al mondo e questa sarà una grande Piedigrotta dal sapore internazionale, una festa che sarà una straordinaria occasione di promozione per Napoli”. Il presidente dell’Ente di promozione del turismo di Napoli, Dario Scalabrini, era addirittura euforico: “Non posso parlare di cifre per ragioni contrattuali e commerciali, ma di sicuro abbiamo pagato molto meno di quanto sarebbe costato normalmente un concerto di un nome come Elton John. Diciamo che siamo stati furbi”. Va da sé che dalle loro tasche non uscì e non uscirà un solo euro.


[...]




mercoledì 13 aprile 2011

Più lo conosci, più vieni a spiegarti certi dettagli



Mi ero sempre chiesto perché a quel conto fosse stato messo un nome come All Iberian, poi ieri - eureka! - ho capito che doveva trattarsi di un conto personale, aperto per altre ragioni, e solo successivamente usato per pagare tangenti.


Di là





Non si capisce


Solleva discussione il fatto che un eterosessuale sia stato eletto presidente di un’associazione gay. Alcuni iscritti lamentano: “Come può rappresentarci? Non ha mai sentito sulla pelle cosa voglia dire essere discriminato in quanto omosessuale”. E a me pare obiezione idiota, come se i tifosi della Lazio pretendessero che presidente, allenatore e giocatori fossero tutti originari di Latina, Rieti, Viterbo e Frosinone, non di altre città, tanto meno di Roma.
Ancor più idiota mi pare Ferrara, che prende spunto dalla vicenda per costruirci sopra il solito numero, quello del tipo “l’aborto è un assassinio, ma mica voglio dire che le donne che abortiscono sono assassine”, che qui suona pressappoco “mica voglio discriminare i gay, dico solo che sovvertono la legge di natura”.
Che cazzo c’entri l’elezione di Francesco Brollo alla presidenza dell’Arcigay di Bari (che se è potuta esserci vuol dire che era statutariamente legittima) con il solito sofistico distinguo che fa la differenza tra un eccentrico e uno stronzo (e che per Ferrara fa la sola differenza tra l’essere fatto bersaglio di uova invece che di palle di letame), francamente, non si capisce.

Non ci sono dubbi


“Prego il Padreterno che gli mandi un bell’ictus e rimanga lì secco” (Exit - La7, 6.4.2011), anzi: “Berlusconi? Datemi una pistola e un euro, e ci penso io” (La Zanzara - Radio 24, 12.4.2011). Ma questo è un prete? Si rimane sgomenti alle dichiarazioni di don Giorgio De Capitani, ma lo sgomento dura un niente: anche se si accontenta di un solo euro, ha chiesto soldi. Sì, non ci sono dubbi: è un prete.


martedì 12 aprile 2011

Empfängnisregelung


C’è differenza tra “anticoncezionale” e “contraccettivo”? Sostanzialmente no, perché in entrambi i casi parliamo di qualcosa che impedisce la fecondazione. In senso stretto, anche la continenza sessuale è un metodo “anticoncezionale” o “contraccettivo”, ed è proprio la “continenza periodica” che la Chiesa ammette come solo mezzo moralmente valido per la regolazione delle nascite (Catechismo, 2370), essendo “lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio [perifrasi per “atto sessuale”] nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere minimamente i principi morali che abbiamo ora ricordato. La chiesa è coerente con se stessa, sia quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi [grazie alla loro identificazione con metodi come quello del controllo della temperatura basale, nel muco cervicale uterino, ecc.], sia quando condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione (meccanici, farmacologici, ecc.), anche se ispirato da ragioni che possano apparire oneste e gravi. Infatti, i due casi differiscono completamente tra di loro: nel primo caso i coniugi usufruiscono legittimamente di una disposizione naturale; nell’altro caso essi impediscono lo svolgimento dei processi naturali” (Humanae vitae, 16).

Ciò detto, era necessario ritirare le copie della versione italiana di Youcat perché la traduzione dall’originale tedesco di “Empfängnisregelung” (letteralmente: “regolazione del concepimento”, con esplicito riferimento all’impiego dei metodi “naturali”) era reso col termine “metodi anticoncezionali”? Il metodo Billings, che è approvato dalla Chiesa, non è forse un metodo anticoncezionale? Non importa: le copie della versione italiana vengono ritirate, nonostante il testo dica chiaramente che la Chiesa “rifiuta tutti i metodi contraccettivi artificiali”. Se ne esistono di “artificiali”, ne esistono di “naturali”, che sono appunto quelli ammessi dalla Chiesa. Il fatto è che “anticoncezionale” e “contraccettivo” sono termini che evocano “artificio” anche quando sono riferiti a pratiche “naturali”. Da parte di chi ha disposto il ritiro della versione italiana di Youcat vi è una implicita presa d’atto che i metodi contraccettivi “naturali” non sono efficacemente “anticoncezionali” come quelli “artificiali”, come peraltro era già noto.


Sogno e bisogno




Ero in apprensione per la Cina


Qualche anno fa, quando i rapporti tra Cina e Santa Sede sembrarono prendere una buona piega dopo decenni di gelo diplomatico, fui mosso da grande apprensione per le sorti della Cina – a volte mi piace avere premure smisurate – e scrissi una lunga lettera aperta all’ambasciatore cinese in Italia: “Attenti! Come concedete un’unghia, vi spolpano il braccio!”. Naturalmente forzai un po’ la mano, toccando i punti che immaginavo fossero più sensibili in un cinese metacomunista e neoconfuciano: “Guardatevi il culo! Se cedete alla pretesa che il diritto ecclesiastico abbia esercizio attivo nella comunità cattolica cinese, slaminate in due la cittadinanza, date vita ad un bolla che finirà per farvi embolo. Sembrano vecchiacci mollicci, ma – occhio! – sono pericolosissimi!”. Ci misi un po’ di leggenda nera, un po’ di teologia a far spalancare gli occhi dall’orrore, e poi tutto il peggio del Catechismo e del Codice di Diritto Canonico.
Ovviamente la lettera non sortì effetto, e Roma e Pechino continuarono a scambiarsi cortesie. Rimaneva sempre aperta la questione delle nomine episcopali, che teneva divisi i cattolici nella chiesa cosiddetta patriottica e in quella cosiddetta sotterranea, ma anche quella sembrava avviarsi a soluzione, quando il 31 marzo, con nomina pontificia, Paul Liang Jiansen veniva ordinato vescovo di Jiangmen, e subito riconosciuto dal governo.
Era evidente che vi fosse stato accordo preventivo e che la Santa Sede avesse accettato, almeno in via transitoria, la soluzione di una consultazione riservata tra le parti sulla rosa degli episcopabili. Compromesso che di fatto era una mortificazione del diritto canonico (“Il giudizio definitivo sull’idoneità del candidato [all’episcopato] spetta alla Sede Apostolica” – Can. 378, §2), ma che bastava non dichiarare per salvare la faccia. Pur sempre un primo passo.
“Come sono stupidi, questi orientali!”, così rimuginavo con sommo dispetto. Ma non facevo i conti con la superiore saggezza dei cinesi, che evidentemente avevano scelto il gioco di sponda.
Il segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, monsignor Savio Hon Tai-Fai, lamentava dalle pagine di Avvenire, venerdì 1 aprile, che “non sono promossi i migliori”, perché “si sono preferite nomine di compromesso”, sicché “ho sentito lamentele di fedeli e sacerdoti per scelte episcopali di compromesso”. Sì, però “la Santa Sede ha avuto giustamente la preoccupazione di evitare ordinazioni illegittime”, ed ecco vescovi non graditi ai cattolici della chiesa cosiddetta sotterranea, ma buoni a dar l’impressione che sia il Papa a sceglierli, come si deve. E questo genera malumori, ponendo in altri termini la stessa domanda di sempre: meglio il martirio o meglio il concordato? Qui è l’umanità a spaccarsi, prim’ancora che i cattolici, prim’ancora che i cattolici cinesi, prim’ancora che i cattolici della cosiddetta chiesa sotterranea.
Mica fesso, il governo cinese. Alla pretesa che il diritto ecclesiastico abbia esercizio attivo nella comunità cattolica cinese, la risposta è: formalmente sì, sostanzialmente no. Pur di far bolla, la Santa Sede accetta. E la bolla finisce per far embolo nelle sue arterie. Furbissimi, questi orientali.