martedì 14 giugno 2011

Marco, Veronica e Rosa


Avvenire, 14.6.2011


“Anche”? Sarà mica che in Vaticano s’è tenuto un referendum sulla privatizzazione dell’acqua santa?

“Togliatti, che non era uno stupido…”



Umanamente capisco Giuliano Ferrara, anzi, adesso che gli viene meno la terra sotto i piedi, mi fa pure tanta tenerezza. Tenta di salvare il culo, cerca di riciclarsi in vista di tempacci che prevede bui, ma bisogna dire che lo fa con un certo stile, e pure con una ammirevole destrezza. Infatti non implora pietà all’orda belluina pronta a giustiziarlo per appenderlo a testa in giù in piazzale Loreto, perché sa bene che nulla come la paura della preda eccita il branco predatore, ma invece sfoggia una gran bella specie di dignità in similpelle, e invita al dialogo, a un giudizio sul berlusconismo non obnubilato dalle passioni. E non potendo aspettarsi troppo dai bruti, fida sui galantuomini, sugli animi gentili, sull’indole più mite e riflessiva che eventualmente sia rimasta a sinistra dopo 17 anni di esasperazione. Il richiamo a Togliatti, in tal senso, è una grandissima furbata. Vorrete mica essere degli stupidi? Vorrete mica farvi sorprendere a corto di cultura e di storia?
E dunque veniamo a Togliatti e al suo giudizio non inarticolato e molto realista sul fascismo che espresse nelle lezioni che tenne da Radio Mosca. Le avete lette? Se non le avete lette, fate finta di averle lette, sennò ci fate la figura degli incolti. Inter nos diciamo che le trovate alle pagine 531-671 nel II volume del III tomo (1929-1935) dell’Opera Omnia (Editori Riuniti, 1974), oggi introvabile. Non posso passarvi allo scanner tutte le 140 pagine, ma penso che basterà la definizione non inarticolata e molto realista che Togliatti dava del fascismo (pag. 533).


È che Ferrara di Togliatti conserva il ricordo solo delle ginocchia sulle quali faceva cavalluccio. O può darsi voglia prendervi per il culo. Vedete voi se valga la pena di farlo fare.

Invece di far festa

Non siete stufi di illusioni e di disillusioni? Invece di far festa, allora, proviamo a ragionare. Davvero è l’alba di un’altra Italia? Non dico ai ragazzini di venti anni o giù di lì, quelli continuino a far festa, poverini, è giusto che almeno per due giorni o per due mesi si sentano vincitori di qualcosa. Ma a chi ha votato per la responsabilità civile dei magistrati, per la depenalizzazione delle droghe leggere, contro il finanziamento pubblico dei partiti, a chi ha pensato che con la fine del craxismo fosse archiviata ogni tentazione autocratica, a chi si è esaltato per il crollo della Prima Repubblica, e ha visto com’era la Seconda: che avete da festeggiare? Come riuscite ancora a sperare che basti una rimescolata perché il pantano si trasformi in un paradisiaco laghetto? Ma davvero pensate che una sberla o due possano annichilire un tratto immarcescibile del carattere nazionale? Davvero riuscite a credere che Grillo, Vendola e Di Pietro siano padri fondatori di un paese nuovo? Davvero pensate che i conti con la storia si possano saldare in questo modo?


lunedì 13 giugno 2011

Sa cosa stavo pensando?


Confesso che mi sento enormemente frustrato

“La Santa Sede, approvando pienamente le finalità dell’Agenzia Internazionale
per l’Energia Atomica, ne è membro fin dalla sua fondazione e continua a
sostenerne l’attività. I cambiamenti epocali avvenuti negli ultimi 50 anni
evidenziano come, nel difficile crocevia in cui l’umanità si trova, sia sempre più attuale
e urgente l’impegno di favorire l’uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare”

Benedetto XVI, 29.7.2007

Non leggevo più Federico Punzi da quella volta che mi fece incazzare a morte per un suo imperdonabile “non è giusto, ma è la vita”, ma oggi m’imbatto per caso in un suo commento su Il Tempo (“Cari laici, dove siete?”), perché ripreso da Massimo Bordin nella sua consueta rassegna stampa (radioradicale.it, 13.6.2011 - 39:00-41:17). Punzi riprende il tema già sviluppato sul suo blog in un post dal titolo più o meno simile (“Laici, dove siete?”), nel quale rimprovera ai “sedicenti laici” il silenzio sull’ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche nel corso dell’appena chiusa campagna referendaria. Il suo post è datato 10.6.2011 e questo mi dà occasione di constatare che anche Punzi non legge più me. Poco male, ma un “sedicente laico” che segnalava l’ennesima ingerenza vaticana avrebbe potuto trovarlo su questo blog, il giorno prima (“Il vento è vento”).
Non è tutto, anzi. Sul solito “intervento a gamba tesa della Chiesa” nella politica italiana io non mi limitavo ad abbozzare un commento come quello che Bordin riserva a Punzi (“tutto sommato, conta ciò che si dice, indipendentemente da chi lo dice”), ma – documenti alla mano – dimostravo che le posizioni del magistero cattolico sul nucleare e sulla privatizzazione dell’acqua non sono mai state quelle espresse in questa tornata referendaria: “intervento a gamba tesa”, insomma, ma anche in piena contraddizione col Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (470, per il nucleare; 485, per la privatizzazione dell’acqua) e perfino con le dichiarazioni ufficiali dei pontefici da Paolo VI in qui. Ho segnalato, per esempio, ciò che Benedetto XVI ha detto appena quattro anni fa, che qui ripropongo in esergo e che a nessun “sedicente laico” è capitato di rammentare. Confesso che mi sento enormemente frustrato dal fatto che neanche un cane l’abbia ripreso: tutti occupati a esprimere solidarietà ad Amina, la blogger lesbica rapita in Siria.


Il brutto della democrazia

Perché sia scongiurato il massimo effetto sottrattivo del voto degli italiani all’estero, che è calcolato intorno al 2-3%, il quorum dei votanti in patria dovrebbe raggiungere il 52-53% alle 15.00 di oggi: al 41% delle 22.00 di ieri mancherebbero ancora 5-6 milioni di votanti e dunque, al netto di ogni speranza, tutto è ancora in forse e, insomma, siamo ancora in tempo per chiederci se questi referendum abbiano o no un significato politico. Però dobbiamo fare in fretta, perché tra poche ore sarà tutto più confuso.
Qualche giorno fa, mettendo le mani avanti, Fabrizio Cicchitto ha dichiarato: “Il tentativo di strumentalizzare i referendum dando un significato politico è del tutto destituito di fondamento”. Questo è errato, perché i quesiti sui quali gli italiani erano chiamati a esprimersi erano relativi a leggi volute da questo governo ed è quindi legittimo, niente affatto strumentale, che le opposizioni vedano nel raggiungimento del quorum un ulteriore calo di consenso alla maggioranza. Ora c’è da chiedersi: se il quorum non fosse raggiunto, le opposizioni sarebbero disposte a considerarlo come un segno che il governo ha ancora un largo consenso? E il governo rinuncerebbe a strumentalizzare il mancato quorum dandogli un significato politico? Non c’è bisogno di essere maghi per prevedere che in tal caso vi sarebbe una reciproca inversione di lettura: Silvio Berlusconi e i suoi pretenderebbero che il fallimento dell’iniziativa referendaria fosse letto come un segnale di fiducia che il paese rinnova al governo, mentre alle opposizioni non resterebbe che denunciare i trucchi che hanno indotto all’astensione.
Reazioni ampiamente prevedibili stando a quanto hanno investito le parti in gioco: la maggioranza si è interamente spesa, prima, ad evitare i referendum e, poi, ad evitare il raggiungimento del quorum, mentre le opposizioni hanno voluto, da un lato, ideologizzare la portata dei quesiti e, dall’altro, farne un test supplementare sull’agonia del berlusconismo. A pagarne le spese è stata la sostanza dei problemi posti dai quesiti e personalmente sono pentito di essere andato a votare. Ma non potevo farne a meno, perché poi mi sarei sentito un verme. Il brutto della democrazia è che certe volte devi amarla anche se ti mette sotto il muso tutti i suoi peggiori difetti.

venerdì 10 giugno 2011

giovedì 9 giugno 2011

Non era colpa del cetriolo


Non era colpa del cetriolo. Non era colpa della soia. Adesso dicono sia colpa della barbabietola, ma vedrete che pure lei alla fine risulterà innocente. Dio non voglia che sia colpa del finocchio, sennò Carlo Giovanardi chi lo tiene?

Il vento è vento


Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa esorta a “elevare i livelli di sicurezza dell’energia nucleare” (470), ma non ci sputa sopra, anzi raccomanda di non “divinizzare la natura o la terra, come si può facilmente riscontrare in alcuni movimenti ecologisti” (463). Per quanto attiene all’acqua, invece, prende atto che “la sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l'acqua è stata sempre considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato” (485), opzione che quindi non viene affatto condannata. Ma il vento spira in altra direzione, la gente sente tanto i referendum, il quorum sarà raggiunto quasi certamente, la Chiesa non può farsi trovare a culo scoperto e se lo copre con la sciarpa arcobaleno di padre Alex Zanotelli.
Fino a ieri non era così. Nel 2007, il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ci spiegava che “la Santa Sede è favorevole e sostiene l’uso pacifico dell’energia nucleare”, perché “escludere l’energia nucleare per una questione di principio, oppure per la paura dei disastri potrebbe essere un errore: si pensi all’Italia che nel 1987 ha abbandonato la produzione di energia nucleare, ma che oggi importa la stessa energia nucleare dalla Francia ed esporta centrali nucleari all’estero mediante società a capitale pubblico”. Posizione coerente col fatto che la Santa Sede è tra i membri fondatori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, in linea con quanto aveva sempre sostenuto fin dagli anni Settanta (“Si dovrà trovare il modo di rendere accessibili a tutti i popoli le incalcolabili risorse dell’energia nucleare per il loro uso pacifico” – Paolo VI, 24.5.1978) e fino all’altrieri (“La Santa Sede, approvando pienamente le finalità dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ne è membro fin dalla sua fondazione e continua a sostenerne l’attività. I cambiamenti epocali avvenuti negli ultimi 50 anni evidenziano come, nel difficile crocevia in cui l’umanità si trova, sia sempre più attuale e urgente l’impegno di favorire l’uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare” – Benedetto XVI, 29.7.2007).
Stavolta nessun invito all’astensione, il gregge segua il vento: con viatico di Sua Santità, che invita a un “cambio di mentalità”. Il vento è vento. 

Il fantasma di Occhetto


Le vittorie di Milano e Napoli sarebbero l’alba del domani? Se il buon giorno si vede dal mattino, all’orizzonte si levano bagliori preoccupanti.
Neanche ha il tempo di indossare la fascia tricolore e Pisapia si ritrova Vendola sulle spalle a dar sfogo, tutto brillo d’identità, proprio alla macchietta che Libero e il Giornale hanno agitato a scopo intimidatorio fino al ballottaggio. Neanche ha il tempo di scrollarsi di dosso il Pisapippa che gli ha appiccicato Grillo e si piglia i mugugni di chi non gradisce Tabacci in giunta.
Non meglio a Napoli: neanche ha il tempo di indossare la fascia tricolore e a De Magistris riviene il raptus da pm imprudente, entrando a gamba tesa in Calciopoli. Uomo nuovo, si è detto, e chi va a scegliere come primo interlocutore? Il cardinale Sepe.
Bah, va male, molto male. A destra, tutti marci dentro e fuori. A sinistra, i soliti squinternati. Sicché i referendum sono diventati altra cosa da quella che dovevano essere: quello sul legittimo impedimento ha inglobato gli altri tre. Piaccia o no, del nucleare avremo bisogno. Piaccia o no, i quesiti sull’acqua non sono sulla sua privatizzazione. Ma dirlo è peccato: più impopolare che essere filoisraeliani e dire che Vecchioni e Jovanotti fanno cagare.
Probabilmente ci libereremo di Berlusconi, probabilmente non si rifarà la Dc, ma Dio ci liberi dal fantasma di Occhetto. 

martedì 7 giugno 2011

Lo spirito del '94 (reloaded)


Giuliano Ferrara chiama a raccolta i liberi servi del berlusconismo” per una “volitiva e inconcludente discussione” sul se e sul come si possa recuperare lo “spirito del ’94”. Tolti i virgolettati, siamo ancora a quanto diceva il 26 novembre 1994, quando il Berlusconi I scricchiolava, come oggi scricchiola il Berlusconi IV.

Trecento metri a piedi


La sezione elettorale in territorio italiano più vicina non dista più di trecento metri dalla Città del Vaticano, ma agli elettori italiani residenti in Vaticano vengono inviate le schede elettorali come se abitassero in Argentina. Il costo per il nostro erario sarà irrisorio e probabilmente al Papa fa piacere, quando vuole, ribadire che è il capo di uno stato estero, anche con queste piccolezze. Sta di fatto che i cittadini italiani residenti in Vaticano sono meno di 20 e si risparmia loro quei trecento metri a piedi.

    

lunedì 6 giugno 2011

Il modello

Nel 1920, su un giornale bavarese, apparve il seguente annuncio a pagamento: “Impiegato statale di medio livello, cattolico, 43enne, cerca ragazza cattolica, vergine, che sia brava in cucina, nel cucito e nelle pulizie domestiche. Gradita la dote, ma non è indispensabile”. Rispose una certa Maria Peintner, 36enne, figlia illegittima di un mugnaio, cuoca, non particolarmente carina, e quattro mesi dopo i due si sposarono.
Dei tre figli che ebbero, uno oggi dice: Purtroppo dobbiamo constatare, specialmente in Europa, il diffondersi di una secolarizzazione che porta all’emarginazione di Dio dalla vita e ad una crescente disgregazione della famiglia. Si assolutizza una libertà senza impegno per la verità, e si coltiva come ideale il benessere individuale attraverso il consumo di beni materiali ed esperienze effimere, trascurando la qualità delle relazioni con le persone e i valori umani più profondi”.
Sì, avete indovinato, parliamo di Joseph Ratzinger, il figlio del gendarme e della cuoca. Quando parla dei “valori umani più profondi”, avrà come punto di riferimento quei due poveracci dei genitori? Lamenta che oggi “si riduce l’amore a emozione sentimentale e a soddisfazione di pulsioni istintive, senza impegnarsi a costruire legami duraturi di appartenenza reciproca e senza apertura alla vita”: avrà come modello il puro sentimento che unì i suoi genitori in virtù delle reciproche convenienze? Una nubile attempata in cerca di una sistemazione e un celibe intenzionato a risparmiare sulle spese per la domestica: penserà a questo quando parla del “valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio”?
“Care famiglie – esorta – siate coraggiose! Non cedete a quella mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio! Mostrate con la vostra testimonianza di vita che è possibile amare, come Cristo, senza riserve, che non bisogna aver timore di impegnarsi per un’altra persona!”. Naturalmente i tempi sono cambiati, neanche un cenno alla dote.

Commemorando e ricommemorando

Venti morti e più di trecento feriti: si commemorava la Naksa, la sconfitta che gli israeliani infersero nel 1967 a una coalizione di tre o quattro stati arabi che avevano accumulato truppe e armi pesanti ai confini dello Stato di Israele, dando l’impressione di non avere intenzioni pacifiche. Quella volta furono gli israeliani ad attaccare per primi, come avevano già fatto nel 1956 contro l’Egitto, ma è che subito dopo la sua fondazione, nel 1948, lo Stato di Israele era stato attaccato da cinque o sei paesi (Siria, Egitto, Libano, Iraq, ecc.), che subirono una disfatta percepita in tutto il mondo arabo come catastrofe (Nakba), commemorata tre o quattro settimane fa con un prezzo di poco inferiore: una dozzina di palestinesi morti e circa duecento feriti.
È che il modo in cui i palestinesi amano commemorare Naksa e Nakba non è immune da pericoli: violare i confini di uno stato sovrano, per giunta tirando sassi ai soldati israeliani che stanno lì per evitare che vengano violati, è per lo meno rischioso. Rischio che pare non impensierire i commemoranti, che infatti a questo genere di scampagnate oltre frontiera portano pure mogli e figli.
Non so se ansa.it possa essere citata come fonte attendibile. Se è così, pare che anche oggi le cose siano andate come il 15 maggio scorso: “I primi incidenti si sono verificati sulla Collina delle urla, nei pressi del centro druso di Majdal Shams, dove centinaia di dimostranti palestinesi e siriani provenienti da Damasco si sono lanciati contro le postazioni israeliane. Mediante megafoni, i militari hanno allora avvertito in arabo che chi avesse oltrepassato i reticolati di confine sarebbe stato colpito da proiettili. Poi hanno sparato in aria, a scopo dissuasivo. Infine hanno sparato alle gambe di chi maggiormente si esponeva. In questa fase il bilancio delle vittime è rimasto contenuto. Ma alcune ore dopo oltre un migliaio di persone si sono radunate a Quneitra, nella zona centrale del Golan, per cercare di forzare da là le linee israeliane”.
In casi come questi è difficilissimo stabilire di chi sia la colpa, tutto sta nell’essere sostenitore delle ragioni dei palestinesi o di quelle degli israeliani. Evitiamo di andare troppo a ritroso nel tentativo di verificare in radice le une e le altre (da un lato c’è chi ritiene che gli ebrei starebbero meglio in Australia o in Madagascar o sparsi un po’ di qua e di là, dall’altro c’è chi sostiene che vi sia traccia della loro presenza nelle terre che oggi occupano, datata tre o quattro millenni) e limitiamoci a dire che chi sostiene la causa palestinese considererebbe cosa ragionevole che i soldati israeliani accogliessero gli sconfinanti con ghirlande di fiori e caraffe di limonata. Anche stavolta sono stati delusi e dunque anche stavolta dobbiamo aspettarci una chiamata al lutto.


domenica 5 giugno 2011

Catturata in Canada la farfalla che col suo battito d'ali ha provocato il tifone Songda nelle Filippine



“Un sistema marcio fino al midollo”

Tolto l’ultimo capoverso che pare appiccicato in coda un po’ a sproposito, condivido quasi interamente La politica del conte Ugolino (Il Fatto Quotidiano, 4.6.2011). Trattandosi di un articolo di Massimo Fini, al quale da queste pagine non sono mai state risparmiate critiche, mi affretto all’atto dovuto di segnalarlo come ottima analisi.   

sabato 4 giugno 2011

Dicevo e scrivevo, un cazzo

L’innata propensione ad accomodare i fatti alle proprie opinioni correnti spinge Giuliano Ferrara a pensare che sia un diritto di natura liberamente disponibile e disinvoltamente fruibile, così, spiazzando il biografo, scrive: Tra il 1989 e il 1992 […] facevo in un certo senso il rompicoglioni personale di Bettino Craxi. Scrivevo e gli dicevo […]: […] non chiudere alla democrazia maggioritaria e alla preferenza unica, […] riforma questo partito del cazzo” (Il Foglio, 4.6.2011).
Ora c’è da rammentare a chi ha memoria labile che nel suddetto arco di tempo Craxi e il craxismo erano nel punto più alto della loro parabola, che di lì a poco avrebbe invertito repentinamente il verso, prima col terremoto elettorale del 5-6 aprile 1992 e poi con l’arresto di Mario Chiesa; e non risulta affatto che Ferrara avesse previsto, tanto meno che consigliasse al segretario del Psi di aprire al maggioritario, ancor meno che lo esortasse a ripulire quel covo di filibustieri, né per presentimento, né per ragionamento. Anzi, nella puntata del 25 maggio 1989 di Radio Londra, scagliava fulmini sulla proposta di legge che mirava a una riforma elettorale in senso maggioritario, denunciandola come un tentativo di strozzare il Psi tra Dc e Pci. D’altro canto, dopo il crollo elettorale di Dc, Pds e Psi del 1992 esortava l’ex Pci a dar manforte al Caf dalle pagine del Corriere della Sera: “Non resta che lo spazio di un governo di grande coalizione”, che così, a naso, sembra roba molto impropriamente maggioritaria. E dunque? Sarà mica che si accomodino i fatti con troppa libertà? “Scrivevo e gli dicevo”: “gli dicevo” può darsi, “scrivevo” non risulta. A meno che non fosse scritto molto tra le righe, come consigliava Mosè Maimonide.
Per la riforma del partito che Ferrara dovrebbe aver consigliato a Craxi, idem con patate. Anzi, che con la scusa che la politica ha i suoi costi e che non siamo anime belle o mammolette, avendo dalla nostra, e insieme, il Machiavelli e il Guicciardini, potremmo riscrivere anche oggi quel discorso con quale Craxi chiamava in correità tutto il sistema partitico, pretendendo che gli si parasse il culo. Bene, è proprio sotto quel culo che tanti socialisti costruirono le loro ricchezza personali: tra un Martelli che lo raccomandava e un Manca che lo lisciava, ci pensò pure Ferrara, peraltro vantando di aver trovato la agognata sistemazione. Da lì sotto non emerse mai un suo mugugno a lamentare che lì si rubava e che occorreva fare pulizia. Tutt’al più gli sarà scappata una smorfia di fastidio nel constatare che il Psi era ormai diventata una organizzazione a delinquere, ma deve essere stata fuggevole e ce la siamo persa.

Tre «no» e un «sì»

Voterò «sì» all’abrogazione della legge che, anche dopo la parziale correzione che la Corte Costituzionale ha apportato al testo lo scorso 13 gennaio, continua a legittimare per premier e ministri l’impedimento al presentarsi in un’aula di tribunale per rispondere delle imputazioni loro ascritte (referendum n. 4, scheda verde): la ritengo ingiusta, odiosamente ingiusta. Dirò tre «no», invece, ai restanti quesiti.
Sui due che i sostenitori del «sì» sono stati bravi a far credere che pongano in questione la “privatizzazione dell’acqua” (referendum n. 1, scheda rossa, e n. 2, scheda gialla) faccio miei gli argomenti di Annalisa Chirico, partendo da una personale convinzione che ha molti punti di analogia con quella di GiovanniFontana e che alcuni mesi fa ho declinato anche sull’opzione nuclearista (qui), sulla quale il disastro di Fukushima non è riuscito a farmi cambiare idea. In breve, non trascuro di considerarne i costi e i rischi, ma la ritengo obbligata – se non oggi, quando forse sarà troppo tardi – con l’attuale trend demografico mondiale, l’esaurimento dei giacimenti petroliferi e la mancanza di fonti alternative di energia capaci di far fronte – almeno per ora, come onestamente ammettono gli antinuclearisti meno ideologizzati – al fabbisogno previsto già tra venti o trenta anni.
Questa è la ragione per la quale dirò «no» al quesito n. 3 (scheda grigia) e so bene che si tratta di una posizione impopolare, peraltro largamente destinata a perdere laddove fosse raggiunto il quorum. Ma la scelta dell’astensione per far fallire un referendum mi è sempre parsa intellettualmente disonesta, per principio. E allora andrò a votare: tre «no» e un «sì».

venerdì 3 giugno 2011

A un anno di distanza

Ho dedicato molta attenzione all’omicidio di monsignor Luigi Padovese (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7) e oggi, a un anno di distanza, trovo buona concordanza tra le mie impressioni di allora e quanto leggo su Avvenire, dove finalmente si ammette che la versione del movente religioso, strillata come sola possibile a cadavere ancora caldo, ha perso ormai ogni credibilità (Padovese «vive»). A tal riguardo devo rinnovare il richiamo al fatto che del Padovese si scrisse che era senza dubbio un «martire della fede» solo ai piani bassi della macchina propagandistica (Il Foglio, Tempi, lo stesso Avvenire), mentre Benedetto XVI subito tenne a precisare: “Sicuro è che non si tratta di un assassinio politico o religioso, si tratta di una cosa personale” (2), e nella omelia funebre il cardinale Dionigi Tettamanzi non fece mai cenno alla morte del Padovese come al prezzo del sangue pagato in testimonianza della fede (4).
Oggi si concede che “a distanza di 12 mesi rimangono gli interrogativi sul suo brutale omicidio”, “gli inquirenti devono ancora stabilire perché Altun abbia ucciso”, “le domande sulla morte di Padovese rimangono per il momento senza risposta”: non è affatto certo che sia stato un martirio, non più, e comunque Avvenire pare non voglia insistere nella versione del crimine di matrice islamista tanto cara a Ferrara e ad Amicone. In questo nuovo modo di leggere la vicenda, oggi finalmente aperta ad altre possibili interpretazioni, il giornale dei vescovi non può più escludere con lo sdegno di un anno fa lipotesi che il Padovese sia stato ucciso da Murat Altun per le sue pressanti avances sessuali, che a mio parere era ed è la più credibile, oltre ad essere quella che il reo confesso ha dichiarato come reale movente.