Non faccio alcuna fatica ad ammettere che a caldo mi sono fatto prendere la mano dalla rabbia. Come accade ogni volta che vedo scippare un diritto, anche stavolta, con la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento approvata ieri alla Camera, d’istinto ho distolto l’attenzione dalle merde umane che l’hanno votata e l’ho rivolta a chi la subirà, naturalmente lamentandone quanto di assurdo e atroce ricadrà sulla sua pelle e su quella dei suoi cari, ma solo quando e se dovesse capitargli.
Chi ha voluto una legge che sul piano dei principi sancisce l’indisponibilità della propria vita e sul piano del diritto l’obbligo di subire un trattamento medico eventualmente indesiderato come l’alimentazione artificiale forzata – le merde umane che pensano di poter decidere sulla vita e sulla morte altrui, facendosi interpreti di un bene assoluto che sta sempre oltre e spesso contro il bene di ciascuno – hanno colpe solo relative: mosse da convinzioni o da interessi che a priori pongono al di sopra di ogni elementare rispetto dell’individuo e della sua sovranità, anche stavolta hanno agito in modo coerente, con l’ottusa determinazione di chi pensa di guadagnare merito dinanzi al proprio dio, lucrandone qualche personale vantaggio in cielo e nel frattempo in terra. Questi squallidi burattini dello Stato etico sono colpevoli di un crimine, ma chi lo subisce nell’indifferenza ne è complice: tanto più colpevole quanto più ignaro d’essere vittima potenziale.
E allora, schiumando bile, mi sono lasciato andare: ho scritto che, “potendo e volendo, si possono scippare diritti a chi non è capace di conquistarseli e difenderli, visto che non li merita”. Una bestialità, convengo, e ringrazio chi ha voluto essere indulgente nei confronti di uno sfogo, promettendogli di non vacillare più nell’ottimismo della ragione, nella speranza che la plebe possa emanciparsi e in tutte quelle altre sante illusioni che ci aiutano a credere possibile un mondo un poco più decente.
Porgo le mie scuse e a freddo, oggi, guardo questa legge, che “riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge”. Presume di poterlo fare, vietando “ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio, considerando l’attività medica e quella di assistenza alle persone esclusivamente finalizzate alla tutela della vita e della salute nonché all’alleviamento della sofferenza”. Con ciò è fatto primario richiamo alla “dignità della persona”, che in pratica è negata col dichiarare che la sua vita le è indisponibile. Si arriva, come è noto, a stabilire l’obbligo dell’alimentazione artificiale forzata per soggetti che non sono in condizioni di poterla rifiutare, ma alla quale nessuno potrebbe obbligarli se in condizioni di opporre un rifiuto. Con ciò si intenderebbe riconoscere la “dignità della persona” che non voglia farsi infilare un sondino nello stomaco, e che può rifiutarlo fino a quando può farlo, ma negandole questa dignità e imponendogli il sondino quando non ne ha più la possibilità.
Sono almeno quattro gli articoli della Costituzione che rendono questa legge inammissibile. Quando poi si affida al medico la decisione ultima di eseguire o meno le volontà espresse da un soggetto che non sia più grado di verificarne il rispetto, si arriva al paradosso che le sue disposizioni possono essere disattese, anche in senso opposto, prevalendo il diritto del medico a non ritenerle condivisibili. Qui la legge si presenta davanti alla Corte Costituzionale e fa eutanasia di se stessa.
La speranza che la plebe possa emanciparsi può ritenersi superflua: basterà lo tsunami di ricorsi che senza dubbio si abbatterà su questa legge, che a questo punto c’è da augurarsi passi al Senato senza che cambi neppure una virgola. Così come è scritta, è perfetta per essere ridotta a pezzetti. Nessuno si azzardi a raccogliere firme per abrogarla in toto o in parte: ha in se stessa la dichiarazione anticipata che vuol essere ammazzata. Sarà accontentata.