Il pasticciaccio nasce come quello che causò qualche imbarazzo a Futuro e libertà, non più di nove mesi fa, quando ilfazioso.com scoprì che l’intestatario del sito web del neonato partitello di Gianfranco Fini era Luca Sofri. L’account di riferimento al dominio aveva per e-mail la stessa che Luca Sofri aveva usato per aprire una pagina su Facebook intestata a un altro Sofri, quello anziano, e ora i responsabili del social network hanno sospeso l’account, oscurando la pagina.
Adriano Sofri se ne lamentava pubblicamente alcuni giorni fa, chiarendo i dettagli della vicenda, tranne uno, quello essenziale a motivare un provvedimento altrimenti odiosamente arbitrario: «Ho da un paio d’anni una pagina Facebook a mio nome. Siccome non può avere più di 5 mila “amici”, ne aprii un’altra intitolata “Conversazione con A.S.”. Sono stato inopinatamente squalificato, con il seguente messaggio esplicativo, che dichiara che io non sono io […] Adesso, scomparsa la mia pagina con le migliaia di commenti e messaggi, leggo quello che gli altri scrivono nella seconda pagina, restata aperta a tutti tranne che a me, che ne sono il titolare» (Il Foglio, 15.9.2011).
Lamentela sostanzialmente legittima, formalmente un po’ meno. L’e-mail che gli annunciava il provvedimento di sospensione, infatti, chiariva: «Il tuo account è stato disabilitato poiché violava le “Condizioni di Facebook”. Abbiamo determinato che il tuo profilo non ti rappresenta in modo autentico, e ciò rappresenta una violazione delle nostre normative». Senza spiegare che la pagina era stata aperta dal figlio, contravvenendo alle condizioni poste nell’offerta del servizio, tutto rimaneva molto vago.
D’istinto veniva voglia di solidarizzare, ma nella vicenda rimaneva un buco, che ieri la sollecitudine filiale cercava di tappare, ma molto goffamente. Sarebbe bastato ammettere di aver commesso una leggerezza, ma figuriamoci se Luca Sofri ne è capace. Ecco, allora, il suo fragile castello di strabiche insinuazioni.
Si comincia fin dal titolo del suo fluviale post: «Schiavi di Facebook». Non è chiaro chi costringa un poveretto ad aprire una pagina su un qualsiasi social network, né è chiaro chi gli impedisca di chiuderla sottraendosi alla schiavitù. In realtà molte altre cose non sono chiare, sicché il post solleva diverse questioni, mentre la più importante rimane inevasa: perché Luca Sofri si ostina a combinare guai ad amici e parenti?
Scrive: «Non sono un estimatore di Facebook: anzi. Mi pare che sia una grande rete con straordinarie opportunità declinata invece alla circolazione di contenuti mediocri o futili e all’investimento di molto tempo in attività poco fertili, a differenza di altri luoghi della rete. Un grande posto dove “sono tutti” e quindi vanno tutti, e poi quando sono lì non sanno cosa fare tranne commenti da macchinetta del caffè e opinionismo autoesauriente».
Questo eccellente esempio di opinionismo autoesauriente si cestina da solo con la spiegazione del perché su Facebook ci sia una pagina intestata a Luca Sofri, e una a il Post: «Non è così per tutti, e il Post è il primo a cercare ancora malamente di sfruttare la grande estensione di quella rete per diffondere contenuti di qualità – a suo dire –, ma mi sembra che il mezzo di per sé inclini poco alla qualità e molto alla quantità: di utenti e tempo di assorbimento».
Perché quelle due pagine rimangono aperte? Probabilmente per le stesse ragioni che trattengono quanti diffondono – a loro dire – contenuti di qualità, che invece sono commenti da macchinetta del caffè.
Diciamo che la prima questione sollevata si affloscia nella presunzione di essere tra gli eletti che diffondono contenuti di qualità in luogo dove i comuni mortali diffondono contenuti mediocri o futili. Non si capisce cosa consenta a Luca Sofri di lamentarsi dell’ambientaccio che si ostina a frequentare pur con la puzza al naso, anzi, si capisce: siamo di fronte al caratteristico esemplare – in minima scala – di quella sinistra che si sente investita della missione di emancipare a vario titolo le masse, ma che ha l’inguaribile difetto di schifarle quando quelle si ostinano a preferire un bifolco come Gigi D’Alessio a un genio come Morgan. Donde la certezza che Morgan sia un genio? Piace a me ed è simpatico alla mia signora. Ma veniamo alla questione centrale.
«Mio padre ha un profilo su Facebook, come molte persone, e lo usa con alterne intensità: si trova tuttora agli arresti domiciliari e quindi è un’opportunità piuttosto attraente di avere relazioni con gli altri. Glielo aprii io un paio d’anni fa, pur con la mia scarsa dimestichezza, fornendo un indirizzo di mail creato da me, per occuparmi così io di eventuali complicazioni e per non far ricadere sul suo le cataste di comunicazioni inutili e ammorbanti con cui Facebook perseguita le mail degli utenti. Ne ha fatto abbastanza uso, in questi due anni (a occhio), raccogliendo migliaia di amici e quindi essendo costretto poi a far costruire una pagina per superare l’altra sciocchezza del tetto dei cinquemila. La settimana scorsa mi ha chiesto di dare un’occhiata perché non riusciva più ad accedere al suo profilo, e conseguentemente alla pagina. E in effetti Facebook rifiutava il login, e con successivi link alludeva a qualche tipo di violazione nell’identità dell’utente. Ho seguito tutte le richieste e sono giunto a una pagina che diceva che in caso di disattivazione dell’account avrei dovuto eseguire alcune pratiche esoteriche online e allegare a una mail la copia di un documento. Ho fatto come richiesto, e nessuno mi ha risposto. Ho fatto come richiesto una seconda volta, e ho ricevuto questo»; e qui segue l’e-mail già diffusa dal babbo.
«Ci sono alcune cose che fanno molto ridere – prosegue Luca Sofri, ma si capisce che non sta ridendo affatto – a cominciare dal concetto che il profilo di mio padre non lo rappresenti in modo autentico (a differenza dei nostri)». Sarà per i limiti di chi non arriva a cogliere il genio di Morgan, ma non si capisce com’è che i responsabili di Facebook avessero il dovere di sapere che il padre avesse delegato il figlio a compiere le operazioni necessarie per aprire una pagina. Anzi, anche questo si capisce, ma con la presunzione di sentirsi persona universalmente nota, sicché chi è che può ignorare che tra padre e figlio non vi sia solidità di intenti in tutto?
Lo si ignora? Luca Sofri non si scoraggia: risponde all’e-mail, «spiegando che se l’account di mail li avesse indotti in errore era solo perché è intestato al figlio del titolare, ma come dimostrava il documento, tutto quanto lo rappresentava in modo molto autentico e i rapporti familiari sono sereni». Vi verrà da chiedervi chi rilasci i certificati di sereni rapporti familiari. Presto detto: «Mio padre [ha] raccontato l’avvenuto in una rubrica a sua firma sul Foglio e […] Vittorio Zambardino lo [ha] ripreso sul sito di Repubblica».
La documentazione non deve aver soddisfatto i responsabili di Facebook. Bestie. Si capisce la reazione avuta da Sofri senior, soprattutto considerando il fatto che si servisse di un servizio senza aver letto né sottoscritto le condizioni di utilizzo: «Ma non li posso denunciare?». Reazione emotivamente legittima, che conferma l’anelito di giustizia che lo anima da sempre, anche se in passato qualche giudice vi ha intravvisto qualche eccesso di impulsività.
Più razionale, invece, il figlio: «Ho risposto di no». Con motivi ragionevoli, bisogna dire. Mancava solo un’ammissione: «Babbo, purtroppo sono io ad aver fatto una cazzata». Non sappiamo se Luca Sofri ci sia riuscito: non pervenuto, e in fondo si tratta di questioni private.
Quello che però vale la pena di segnalare è che l’anelito di giustizia non è passato di padre in figlio come carattere recessivo: «Continuerò a stressare Laura [una degli addetti alle comunicazioni con gli utenti di Facebook, quella cui è toccato il caso Sofri] perché riapra quel benedetto profilo, e non le righerò la macchina con una chiave solo perché ha in ostaggio la mia famiglia”. E qui Laura può dirsi fortunata, perché poteva andarle peggio: poteva essere additata su il Post come boia, qualche testa calda passava dalle parole ai fatti rigandole la macchina, e poi ci toccava passare altri vent’anni a firmare appelli in favore di Luca Sofri, troppo buon cazzone per essere il mandante.