domenica 27 maggio 2012

Lunga vita a Benedetto XVI

Quello di Benedetto XVI si sta rivelando uno splendido pontificato, almeno per noi anticlericali. Mai tanta merda è venuta a galla dal fondo dell’acquasantiera come in questi anni, immergerci due dita per farsi il segno della croce impone ormai più stomaco che devozione. Lunga, lunga vita a Benedetto XVI.

venerdì 25 maggio 2012

Una teodicea laica

Gli elementi che abbiamo a disposizione non ci consentono di avere alcuna certezza riguardo al movente della strage di Brindisi, ma l’ipotesi dell’attentato mafioso è avanzata come la più verosimile da molti commentatori, alcuni dei quali arrivano a considerarla la sola degna di considerazione. Non riesco a farmene una ragione, perché a me pare che quella dell’attentato mafioso sia l’ipotesi che regga meno. Eviterò di passare in rassegna i dati che tenderebbero ad escluderla, che sono tanti, limitandomi a considerare l’argomento che invece li ritiene utili per avvalorarla. È l’argomento usato da Enrico Deaglio nel corso dell’ultima puntata de L’Infedele (La7, 21.5.2012): “Quando succedono cose di questo genere, la prima reazione da parte delle autorità e dello Stato è quella di dichiarare «anomala» la cosa, soprattutto quando si tratta di mafia. «La mafia non usa le bombole di gas». Una volta si diceva: «La mafia non usa esplosivi, la mafia non colpisce fuori dalla Sicilia, la mafia non sequestra le persone, la mafia non uccide le donne, non uccide i bambini, non uccide i preti». Tutte cose che sono state smentite… In tutti i casi in cui si è detto che non era la mafia, era la mafia”.
Ritengo che non sia il caso di soffermarmi troppo sul difetto logico che sostiene questo tipo di argomentazione – rimando a ciò che ha scritto Chaïm Perelman ne Il dominio retorico (Einaudi, 1981) sul sofisma della transitività del rapporto di inclusione o di implicazione (pag. 80 e seguenti) – ma penso invece sia opportuno segnalare il rischio che consegue da questa sbrigativa reductio: tutto ciò che non sembra mafioso può esserlo, anzi, tanto più può essere mafioso quanto meno lo sembra. Ce n’è abbastanza per ipotizzare un movente mafioso in ogni crimine dalle finalità ignote, fino all’insinuazione – fatta da Gad Lerner a sostegno della tesi di Enrico Deaglio – che la mafia è in grado di servirsi anche di uno squilibrato. Si arrivasse, dunque, ad appurare che il responsabile della strage di Brindisi è stato proprio uno squilibrato, non cadrebbe l’ipotesi di una regia mafiosa. Farla cadere significherebbe fare il gioco del diavolo, il cui più subdolo intento è convincere che non esista. 

Parlare di metodo mi pare improprio, direi si tratti piuttosto di atteggiamento. Quando non è l’abito mentale di quelli che Leonardo Sciascia definì «professionisti dell’antimafia», è espressione di una teodicea laica che eleva la mafia a radice di ogni male e che trova variante monomaniacale in chi al posto della mafia vede meglio i Savi di Sion, la Cia, gli Ufo o la Trilaterale. Tuttavia ogni teodicea necessita di sintomi, ancorché aleatori.
Qui, nel caso della strage di Brindisi, abbiamo l’intitolazione dell’istituto professionale davanti al quale è scoppiato l’ordigno e il 20° anniversario della strage di Capaci: elementi che sarebbero decisivi, insieme agli altri «anomali», che in quanto «anomali» non sarebbero da considerare contraddittori, ma coerenti ai primi. I 4 giorni d’anticipo rispetto a tale anniversario non sembrano aver peso e in realtà non si capisce perché la bomba non sia stata fatta esplodere il 23 maggio, se doveva essere un infame sfregio alla memoria di Giovanni Falcone e di sua moglie. Così il fatto che la scuola scelta per l’attentato sia intitolata a Francesca Laura Morvillo: perché proprio a Brindisi, perché proprio l’autobus che veniva da Mesagne e non quello arrivato poco prima, perché gpl e non tritolo – dettagli irrilevanti.
Ho orrore di questo atteggiamento, ancor di più ne ho nel constatare quanto sia altamente contaminante. 

lunedì 21 maggio 2012

Da buttare


La curiosità mi ha portato all’acquisto de I giorni della tempesta di Antonio Socci (Rizzoli, 2012), del quale avevo da tempo smesso di leggere articoli e saggi, per la noia mortale che mi infliggevano. Stavolta si trattava di un romanzo e il romanzo è un genere a parte: si può essere un pessimo giornalista ma un ottimo romanziere, e viceversa. Per giunta mi invogliava la trama, riassunta nel risvolto di copertina. Insomma, ho cominciato a leggere il volume con una disposizione d’animo assai benevola, anzi, più benevola del solito, perché confesso che mi auguravo di poter scandalizzare i lettori di questo blog con una recensione piena di elogi: non vedevo l’ora di appuntarmela in petto come prova di grande onestà intellettuale.
Beh, con tutta la buona volontà, mi è stato impossibile: Antonio Socci scrive male, non ha ritmo, riesce ad abortire ogni embrioncino di costrutto narrativo. Non mi aspettavo un capolavoro, ma dagli ingredienti – un assassinio, carte rubate dagli archivi vaticani, le rivelazioni di una veggente, un conclave, le spoglie di san Pietro – pensavo si potesse trarre almeno un buon thriller. E invece ne è uscito un pretenzioso fumettone scritto coi piedi, sciatto e banale, gonfio di una prosa faticosa e affaticante. Da buttare.

domenica 20 maggio 2012

[...]

Mercoledì 23 maggio, ventennale della strage di Capaci, al «Francesca Laura Morvillo Falcone» di Brindisi si sarebbero tenute le lezioni come in un qualunque altro giorno feriale e molto probabilmente, visto a chi è intestato l’istituto, si sarebbe tenuto anche qualche rito commemorativo. Quale migliore occasione per la mafia, se l’intenzione fosse stata quella di ferire la memoria di una nazione? E allora perché farlo esplodere quattro giorni prima, quell’ordigno? E perché a Brindisi? Ma, poi, la mafia usa bombole di gpl per i suoi attentati?
Presto ancora per dirlo, tuttavia se qualcosa non possiamo escludere è che si stia commettendo lo stesso errore che commettemmo con la strage di Bologna: da subito ci sembrò neofascista e ci vollero trent’anni per cominciare a sospettare che forse non lo fosse. Stesso rischio, perché la storia delle stragi in questo paese è senza dubbio storia di depistaggi, ma anche di tesi delle quali ci si innamora a prima vista, per restar loro fedeli anche quando tradiscono, per continuare a usarle come armi improprie. In molti casi, chi depista non sa quale sia la vera pista. Può accadere perfino che depisti maldestramente alla verità, se non a quella storica, a quella processuale.
È che siamo sentimentalisti, d’altra parte è difficile non esserlo quando i nervi sono scossi da così una rabbia così giusta, da una sensazione di impotenza tanto odiosa: una cosa tanto mostruosa come quella accaduta ieri ci sembra possa essere frutto solo di un’intelligenza all’altezza di tanta mostruosità, facciamo enorme fatica a immaginare che si possa avere un così bestiale disprezzo per la vita degli innocenti senza una posta in gioco che sia adeguatamente alta. Non possiamo accontentarci di un movente, tanto meno se troppo miserabile per un delitto così atroce, e allora dobbiamo immaginarlo entro un disegno, una trama, una strategia, meglio se fitta di richiami e di rimandi. Ci ferisce l’idea che la bestia sappia essere feroce anche per poco e allora dobbiamo evocare grandezze criminali pari al nostro sgomento e al nostro dolore.
Io penso che l’ordigno esploso ieri a Brindisi non abbia altro legame col ventennale della strage di Capaci se non quello che ci è necessario darci per trovare un poco di sollievo. 

giovedì 17 maggio 2012

Meno di un caffè al giorno


Tenuto conto delle grandi vittorie referendarie degli anni Settanta e Ottanta, della violenta reazione clericofascista che ne seguì, delle successive puttanate tipo la candidatura di Ilona Staller e Toni Negri, la liquidazione del Partito Radicale, la fiducia accordata alla rivoluzione liberale di Silvio Berlusconi, il ruolo dato a Daniele Capezzone, e dello odierno stato in cui versano i radicali, con le casse vuote e le iscrizioni al loro minimo storico, credo che sarebbe opportuno capovolgere la citazione di Gandhi:  “Prima vinci, poi ti combattono, poi ti deridono. Poi ti ignorano”. 

“Offri centomila lire a chi ti salva”

Poco prima di morire, Pasquale Croce raccomandò a Benedetto, suo figlio, che gli era a pochi metri di distanza, sotto le macerie del terremoto di Casamicciola: “Offri centomila lire a chi ti salva”. Se ne ha notizia per la prima volta sul Corriere del Mattino del 31 luglio 1883, tre giorni dopo il terremoto: “Ieri fu trasportato a Napoli anche il figliuolo primogenito del commendator Croce; egli è gravemente ferito a una gamba e ad un braccio. Perirono il commendator Croce, la moglie e una figlioletta. Il giovinetto superstite di questa ricchissima famiglia foggiana, stabilita da lunghi anni a Napoli, conserva una memoria precisa dell’accaduto. La madre e la sorella sparirono nel vortice del crollamento, né si udì di loro alcuna voce. Egli, che era seduto ad un tavolino insieme col padre, precipitò. Il padre fu coperto tutto dalle macerie, ma parlò dalle nove e mezzo del sabato fino alle undici antimeridiane della domenica successiva. Benedetto era sepolto fino al collo nelle pietre, aveva però il capo fuori di esse. Il giovinetto fu estratto dalle rovine verso mezzogiorno, poco prima che il padre avesse cessato di parlare. Si racconta che con gran senso pratico dicesse al figlio: «Offri centomila lire a chi ti salva»”.
Poco più di un mese dopo, a Lucerna, veniva dato alle stampe Die Insel Ischia in Natur-, Sitten- und Geschichts-Bildern aus Vergangenheit und Gegenwart, di Woldemar Kadel, dove a pag. 59 si legge: “Er soll dem Ersten besten hunderttausend, zweihunderttausend Francs bieten, wenn er sie rettet, nur nicht sterben, den Erstickungstod sterben”. La frase attribuita al padre di Benedetto Croce è riportata anche in Casamicciola di Ernesto Dantone (Perino Editore, 1883) e in Cronaca del tremuoto di Casamicciola di Carlo Del Balzo (Tipografia Carluccio, De Blasio & C., 1883).

Ho già citato questi scritti in due post del marzo dello scorso anno, mentre il Corriere del Mezzogiorno, con diversi articoli a firma di Marco Demarco, Giancristiano Desiderio e altri, avallava e sosteneva l’accusa di “mistificazione della storia e della memoria”, che dalle sue stesse pagine erano state mosse a Roberto Saviano da Marta Herling. Saviano non aveva fatto altro che riportare la frase che Pasquale Croce aveva rivolto al figlio nella notte tra il 29 e il 30 luglio 1883, prendendola da un’intervista di Ugo Pirro al filosofo apparsa su Oggi, il 13 aprile 1950.
Fin lì, Benedetto Croce non si era mai disturbato a smentire il cronista del Corriere del Mattino che lo aveva intervistato tre giorni dopo il terremoto, né a smentire Kadel, né Dantone, né Del Balzo, e non si disturbò neppure a smentire Pirro. Doveva accadere che a smentire Saviano fosse la Herling e che il Corriere del Mezzogiorno le desse man forte con una campagna di stampa dai toni odiosi, che oggi lo scrittore ritiene sia stata diffamatoria, querelando la casa editrice del giornale e chiedendo risarcimento per il danno subìto.
Io mi auguro che la sua richiesta venga accolta, perché ho prova certa che a muovere quella campagna sia stata una palese malafede: in data 11 marzo 2011, infatti, e cioè il giorno dopo che la lettera della Herling desse avvio alla querelle, inviai una e-mail al direttore del Corriere del Mezzogiorno, producendo le fonti di cui sopra, senza avere alcuna risposta, né pubblica, né privata. E aspetto di sapere dal giudice che si occuperà del caso se fossero documenti degni di attenzione, perché sono sicuro che costituiranno argomento.

martedì 15 maggio 2012

Tutto è maledettamente relativo

Dalla Sala Stampa Vaticana neanche due righe. Non uno dei battaglieri polemisti di Avvenire è sceso in campo. L’Osservatore Romano tace, e siamo già al quarto giorno. Neanche un cenno da Radio Vaticana. Idem da Sat2000. Nemmeno il più sfessato dei bloggucci dell’ampia e variegata area cattolica ha finora sfiorato l’argomento. Evidentemente la consegna è del silenzio. Autoconsegna, per meglio dire. D’altra parte, l’articolo di Horacio Verbitsky (Videla, il Vaticano sapeva – Il Fatto Quotidiano, 11.5.2012) è stato ripreso solo da altri due o tre quotidiani e, giacché produce prova inoppugnabile di una schifezza estremamente imbarazzante e tentare di metterci una toppa è praticamente impossibile, meglio far finta che non sia accaduto niente, meglio evitare che monti il caso. Nessuno si azzarda ad insinuare che il documento sia un falso, nessuno si azzarda a tentare una spiegazione che almeno in parte attenui l’atroce verità che inequivocabilmente prova: il Vaticano sapeva dei sequestri, delle torture e degli assassini che gli uomini di Jorge Videla andavano compiendo tra il 1976 e il 1983, e tacque. Di più: per mano dei massimi rappresentanti della Conferenza Episcopale Argentina offrì collaborazione alla giunta militare perché su tutto calasse il silenzio, a fronte del sospetto che in tanti maturava e che solo anni dopo avrebbe dovuto trovare l’agghiacciante conferma nelle confessioni degli aguzzini portati alla sbarra. 
Il verbale dell’incontro che si tenne tra Videla e l’allora presidente della Conferenza Episcopale Argentina, il cardinale Raul Francisco Primatesta, e i suoi due vicepresidenti, il cardinale Juan Aramburu e monsignor Vicente Zazpe, non lascia alcun dubbio in proposito: mentre migliaia di argentini (tra i 9.000 e i 30.000) scomparivano da case, scuole, fabbriche, uffici, per essere dapprima trattenuti in centri di detenzione clandestina e poi gettati nell’Oceano Atlantico o nel Rio de la Plata da aerei militari in volo, sennò sepolti in fosse comuni, talvolta ancora vivi, gli alti prelati concordavano con la giunta militare il miglior modo per tenere l’opinione pubblica argentina e quella internazionale all’oscuro di tutto. Era il 10 aprile 1978 e questo chiama in causa almeno due pontefici, che a norma del Diritto Canonico vigente a quei tempi non potevano non sapere (c’è da supporre che Giovanni Paolo I non abbia fatto in tempo a sapere, perché nel corso del suo brevissimo pontificato non si ebbero udienze ad limina apostolorum dell’Episcopato Argentino).
Mentre la Chiesa scagliava fulmini e saette contro l’aborto, i suoi porporati andavano a pranzo con i carnefici del popolo argentino. Erano i tempi in cui il Nunzio Vaticano in Argentina, il cardinale Pio Laghi, benediceva la dittatura militare, giacché “i valori cristiani sono minacciati dal comunismo e l’Argentina reagisce come un qualsiasi organismo che genera anticorpi verso i germi che tentano di distruggere la sua struttura e crea la sua difesa servendosi dei mezzi imposti dalla situazione… Si tratta di idee che mettono in pericolo valori essenziali, sicché va applicato il pensiero di San Tommaso d’Aquino, secondo cui in tali casi lamore per la Patria è equivalente all’amore per il Signore: difendendo la Patria, gli uomini d’armi, a tutti i livelli, compiono il dovere prioritario di amare Dio e la Patria in pericolo”.
Ragioni che oggi nessuno ha più il coraggio di impugnare per difendere la linea che il Vaticano adottò in Argentina. Proprio vero che i valori non negoziabili sono acqua fresca e che tutto è maledettamente relativo.

sabato 12 maggio 2012

mercoledì 9 maggio 2012

La valigia

I composti del verbo fare hanno forme di coniugazione talvolta poco corrette ma ormai d’uso comune. Disfare, per esempio. Disfo la valigia o la disfaccio? Sarà il caso che la disfi o la disfaccia? Che dite: la disfiamo o la disfacciamo? Tu la disferesti o la disfaresti? La disfi o la disfai? Alcuni la disferebbero, altri la disfarebbero. E dunque, ‘sta benedetta valigia, la disferemo o la disfaremo? È il caso di decidersi perché, quando sarà, dovremo capire se la stiamo disfando o disfacendo.

lunedì 23 aprile 2012

Sensologia

Quasi ogni giorno è Giornata Mondiale di qualcosa, della Donna, della Gioventù, della Poesia, della Tubercolosi, del Gatto, del Pupazzo di Neve, e ormai siamo all’inflazione, con qualche divertente sovrapposizione, come al 15 aprile, che è insieme Giornata Mondiale del Dialogo e Giornata Mondiale del Silenzio. Nate per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su temi di interesse generale che i promotori sentono trascurati, le Giornate Mondiali sono ormai diventate ricorrenze vuote di senso, come inevitabilmente accade con tutto ciò che si consegna all’abitudine. Buone tutt’al più a riempire una o due pagine di giornale, com’è accaduto ieri, Giornata Mondiale della Terra, e qui sorge il problema che è posto in quella che Mario Perniola ha definito sensologia, e cioè «la trasformazione dell’ideologia in una nuova forma di potere che dà per acquisito un consenso plebiscitario fondato su fattori affettivi e sensoriali» (Contro la comunicazione, Einaudi 2004). Un efficace esempio ci è offerto dalle due pagine del Corriere della Sera di ieri.
Accanto ad un articolo di Fulco Pratesi, che illustrava le «dieci azione concrete per aiutare l’ambiente» proposte dal WWF (acquista prodotti locali, mangia meno carne, bevi acqua del rubinetto, ecc.), c’era lo spazio per dar voce a tre esperti di clima, energia e nutrizione, ma si è preferito darla a Erri De Luca, Mauro Corona e Antonio Pascale: «i consigli di tre scrittori», e che consigli.

Erri De Luca proponeva di fare a meno del riscaldamento domestico suggerendo questa alternativa: «Si può sfruttare una fonte inesauribile di caloria [sic!], la più potente che esiste nel corpo umano. Si tratta dell’amore. Due che si amano sentono freddo solo quando si sciolgono dagli abbracci. L’amore è un’energia pulita e rinnovabile nel modo più impensato: spendendola tutta intera nell’arco del giorno, amando a più non posso fino all’esaurimento della scorta…». Suppongo sia superfluo ogni commento nel merito, d’altronde Erri De Luca è fatto così, basta aver letto qualche sua pagina: direi che sta alla letteratura come un maestro di sci sta a una danarosa in menopausa, lirico come il terzo Negroni, intenso come la vaselina.
Non da meno Mauro Corona, che consigliava di «tornare tutti agricoltori», perché «non possiamo più pretendere di andare a comprare il cibo ma imparare a farcelo». Anche qui penso non valga neanche la pena di sollevare obiezioni, d’altronde Mauro Corona è fatto così, basta avergli dato uno sguardo di sfuggita, la prosa si intuisce.
Dulcis in fundo, Antonio Pascale: «Staccate dalla presa il caricabatteria del cellulare: consuma o,o1 kWh al giorno, in un anno la stessa quantità di energia che occorre per un bagno caldo». Un buon consiglio, senza dubbio, ma era il caso di esagerare aggiungendo «contribuirete a salvare il mondo»?

Che senso ha chiedere un parere informato a tre scrittori di cassetta, invece che a tre esperti, su temi come quelli in discussione con la Giornata Mondiale della Terra? In forza di quale convinzione si dà peso, come abbiamo visto, al banale o all’assurdo? Siamo alla «trasformazione dell’ideologia in una nuova forma di potere»: dando «per acquisito un consenso plebiscitario fondato su fattori affettivi e sensoriali», quelli razionali e scientifici diventano irrilevanti. Superflui gli esperti, occorre che «le  acrobazie e le incongruenze della comunicazione mediatica siano recepite come manifestazioni della potenza e della fecondità creativa della vita», servono i poeti da brindisi, meglio se alticci. 

mercoledì 18 aprile 2012

È già accaduto, accadrà ancora

È già accaduto. Si ebbe un improvviso crollo della fiducia nei partiti, poi la magistratura fece il resto, e la Dc eslose in frammenti, il Psi si polverizzò, i partitini cosiddetti laici si nebulizzarono, il Pci e il Msi s’affrettarono a cambiar nome, faccia e anima, però perdendo pezzi, e non irrilevanti. Tra le macerie si fecero spazio quanti avevano capito per tempo che il sistema fosse inemendabile, poi va’ a capire se fin da subito sapessero che tutto dovesse cambiare, come dicevano, perché tutto restasse uguale, come s’è visto. Oggi siamo solo all’inizio di un’altra ondata di “antipolitica” ed è ancora presto per dire se i 12 milioni di italiani che non sanno chi votare daranno o no alla morte della Seconda Repubblica il tratto devastante che ebbe la morte della Prima. Sappiamo che a cogliere l’attimo, allora, furono Berlusconi, Bossi e Di Pietro, immaginiamo che stavolta tocchi a Grillo, forse a Passera, o sarà il vuoto di cui i politologi negano l’esistenza.
A più d’uno, allora, sembrò arrivato il momento giusto perché i radicali raccogliessero i frutti della loro lunga e faticosa semina antipartitocratica, ma Pannella fu preso da quella che Massimo Teodori ha acutamente definito “irresistibile pulsione alla dissoluzione” (Marsilio, 1996). Accadrà anche stavolta, non c’è alcun dubbio. Anche stavolta, i radicali non riusciranno ad impedire a Pannella di buttare al vento l’occasione di presentarsi agli italiani come matura classe dirigente o via, non esageriamo, il menopeggio sulla piazza: non tantissimo, sia chiaro, ma levando i vecchi tromboni e le trombette nate vecchie, nemmeno poco. Anche stavolta, non c’è alcun dubbio, chi si azzarderà a denunciare la delirante megalomania di Pannella, a segnalare nel suo velleitarismo la malata vocazione all’irrilevanza – sola condizione che gli consente di sentirsi martire, sola a dargli la sensazione di esser vivo – sarà scomunicato e costretto ad allontanarsi, per non subire l’intollerabile molestia della quale è regolarmente fatto oggetto il membro di una setta che osi mettere in discussione le decisioni del capo carismatico.

[Di recente ho letto l’inchiesta sul reverendo Jim Jones e la sua setta del Tempio del Popolo che Ron Javers e Marshall Kilduff firmarono per The San Francisco Chronicle a poche settimane dal suicidio di massa del 18 novembre 1978 (The Suicide Cult, Bantam Books 1978) e ho trovato non meno di due dozzine di punti di concordanza con la storia della “cosa radicale”.]

«Pensar male» e «pensar bene»

L’implicazione d’ordine morale è inevitabile – direi necessitata – nella definizione del «malpensante», cioè di chi è «incline a pensare male, a formulare giudizi negativi sugli altri» (Devoto-Oli), di chi «tende a vedere il male ovunque o ad avere una cattiva opinione degli altri» (De Mauro), di chi «per propria natura è incline a pensare male del prossimo e a interpretare nel senso peggiore le azioni e i comportamenti altrui» (Treccani): ogni definizione del «malpensante», infatti, non può fare a meno di usare un termine – il «male» – che non ha alcun senso fuori dall’ambito morale. In quest’ambito, com’è noto, il «male» (ma anche il «bene») pretende statuto di assoluto e nel farsi avverbio rimanda inesorabilmente al «pessimo» (e all’«ottimo») che impronta il pregiudizio «pessimistico» (o quello «ottimistico»), sicché «pensar male» (o «pensar bene») si fa strumento obbligato della costruzione di un sistema entro il quale tutto regge, ma solo se si assume che l’uomo sia «intrinsecamente cattivo» (o «intrinsecamente buono»). Il «malpensante», dunque, sarebbe chi inclina a un pregiudizio «pessimistico» sulla natura umana, facendole con ciò quel torto che difficilmente gli uomini perdonano, soprattutto se hanno bisogno di essere confortati dall’«ottimismo» del «benpensante». È del tutto ovvio, dunque, che sul «malpensante» pesi la tacita condanna di quanti hanno bisogno del conforto che è il tacito patto dei «benpensanti». È altrettanto ovvio, però, che fuori dalla tautologia sulla quale poggia ogni morale, e per la quale «il male è male» e «il bene è bene», «pensar male» non abbia alcun senso. In altri termini, solo a un «benpensante» è dato il poter rilevare un errore morale nel «malpensante»: solo chi ha bisogno di pensare che l’uomo sia «intrinsecamente buono» può permettersi di liquidare il «pensar male» come semina di ingiusto sospetto. (Qui conviene sorvolare sulla natura di questo bisogno, ma abbiamo già detto che ha per oggetto un conforto. Senza dilungarci troppo sul movente psicologico che mira a questo genere di conforto, possiamo però identificarlo come istanza difensiva e consolatoria, tra le procedure nevrotiche post-traumatiche: il «benpensante» ha bisogno di sentirsi «buono tra i buoni» per costruirsi un involucro protettivo che lo difenda dalle minacce esterne e dalle paure interne.)
Ciò premesso, devo dire che non mi riconosco nel «malpensante» sul quale G. scaglia i suoi strali di «benpensante» (non lo linko e non lo cito per esteso, adeguandomi al suo canone allusivo). Dichiaro la mia estraneità a quell’ambito morale entro il quale è d’obbligo decidere se l’uomo sia «intrinsecamente buono» o «intrinsecamente cattivo» e infatti ogni volta che «penso male» di qualcosa o di qualcuno faccio esercizio di un sospetto che è metodo scettico applicato alla logica interna a un sistema: formulo un giudizio negativo o esprimo una cattiva opinione non già sul piano morale ma su quello logico, sicché non dico mai «questa tal cosa (questa tal persona) è cattiva», ma «forma o sostanza di questa tal cosa (affermazioni o azioni di questa tal persona) non mi convincono della ratio che ostentano», e dunque il mio sospetto non si appunta mai su ciò che le rivelerebbe «cattive», ma su quanto, a mio parere, sempre argomentato, le rivela intrinsecamente contraddittorie, dunque soggette ad implosione logica se sgusciate dal mallo ipocrita. Offro le mie argomentazioni ad ogni confutazione, ma non posso ritenere valida quella che pretenda di eluderle dichiarandole viziate da un pregiudizio che a ben vedere è solo la negativa di un proiettato: rigetto, infatti, le definizioni del «malpensante» con le quali ho aperto questo post, perché implicano l’uso di categorie che non ritengo efficaci nella formazione del giudizio che si sussume al «pensare».

lunedì 16 aprile 2012

[...]

Non sono disposti a rinunciare neanche all’ultima tranche dei rimborsi elettorali: «Cancellare del tutto i finanziamenti pubblici ai partiti - dicono - sarebbe un errore drammatico: la politica finirebbe nelle mani di lobbies, centri di potere e di interesse particolare». Perché, ora che i partiti sono finanziati con denaro pubblico, la politica in quali mani è? 

mercoledì 4 aprile 2012

Il filo

Chissà se Günter Grass scriveva già poesie ai tempi in cui vestiva l’uniforme delle Waffen-SS, chissà se anche allora, come oggi, aveva tanto a cuore la pace mondiale. Se sì, avrebbe potuto scrivere già allora i versi che ci offre oggi: la pace mondiale è minacciata dagli ebrei, scrive, ed è quello che avrebbe potuto scrivere già allora, perché la tesi che gli ebrei fossero una minaccia alla pace mondiale era quella portante del Mein Kampf, che le Waffen-SS erano tenute ad avere in fondo allo zaino, tra due cambi di mutande e la maglia di lana pesante. La vita può trasformare un ragazzino della cazzuta gioventù hitleriana in un bonario cazzone socialdemocratico insaccato in amabile tweed e mite velluto a coste, può rivoltare un uomo come un guanto: di fatto non scompare il filo antisemita che ne cuce insieme le sagome. 

venerdì 30 marzo 2012

Un falso grossolano


Prima ancora di leggerne il contenuto, alcuni dettagli della lettera che stamane era resa pubblica da Irish Tribune devono indurci a pensare che si tratti di un falso: l’intestazione in latino (anche per la corrispondenza con l’estero è già da qualche anno in uso la dicitura in italiano «Congregazione per la Dottrina della Fede»); la mancanza della formula d’uso sotto il numero di protocollo («Si prega citare il numero nella risposta»); il timbro in calce (mai usato dal cardinal Levada, né da suoi predecessori). In quanto al contenuto, è follia pura.
Per accogliere la presunta proposta del Primate di Irlanda si dovrebbero modificare quasi due dozzine di canoni del Codice di Diritto Canonico. La Commissione Teologica Internazionale non è mai riuscita ad esprimere un parere in due mesi. Il papa che avrebbe approvato «favorably and kindly» l’ideona di «allow priests to have homosexual relations with each other as long as it serves to prevent any acts of pedophilia on children in their care» è lo stesso che nel 2005 ha dichiarato incompatibile al sacerdozio anche la sola tendenza omosessuale, aprendo la caccia al ricchione in tutti i seminari. Più di tutto e prima di tutto, la dottrina è avversa alla scelta del «male minore». Un falso così grossolano che neanche vale la pena di scendere nei dettagli.


Aggiornamento Un pop-up con un gran pesce si apre sulla pagina dell’Irish Tribune che ho linkato qui sopra: un falso grossolano che era un pesce d’aprile, confezionato il 30 marzo, non si capisce bene se dal giornale, cosa che a me pare gravissima sul piano deontologico, o da qualcuno che al giornale ha rifilato la falsa lettera del cardinal Levada, cosa altrettanto grave per la pubblicazione senza verifica.

martedì 20 marzo 2012

Bagattelle

«Via la Divina Commedia dalle scuole» è del 6 gennaio. L’appello «al Ministro della Pubblica Istruzione, ai Rabbini e ai Presidi delle scuole ebraiche, islamiche ed altre di espungere la Divina Commedia dai programmi scolastici ministeriali o almeno di inserire i necessari commenti e chiarimenti» non ottiene altro che «un certo numero di risposte critiche, alcune di queste volgari, piene di insulti e prive di contenuto, altre garbate e più articolate», alle quali arriva «Una risposta ai lettori della Divina Commedia», il 29 gennaio.
Prima di un articolo a firma di Anna Maria Brogi su Avvenire, che è del 12 marzo, non sono riuscito a trovare traccia di dibattito sulla questione sollevata da Gerush92: nulla tra il 6 e il 29 gennaio, nulla fino al 12 marzo. Il 13 marzo l’articolo è ripreso dal Corriere della Sera e solo allora, a due mesi dal lampo, s’ode il tuono: ad oggi, interrogando Google su “Gerush92+Dante”, si ottengono oltre 250 pagine, nessuna in data antecedente al 13 marzo. Mi domando se la questione sia stata sollevata da Gerush92 o da Avvenire o dal Corriere della Sera.
Mi pongo anche un’altra domanda. Non ho trovato neanche un commento favorevole all’iniziativa di Gerush92 e anch’io ritengo che si tratti di una proposta delirante. Proprio perciò chiedo: se a Dante Alighieri non possiamo rinfacciare il suo antisemitismo, perché continuiamo a rinfacciarlo a Louis-Ferdinand Céline? 

sabato 17 marzo 2012

La coppia gay è famiglia

In merito alla sentenza n. 4184/2012 della I Sez. Civ. della Cassazione – quella che prende atto di quanto sia «radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire “naturalistico”, della “esistenza” del matrimonio» e perciò afferma che «il diritto alla “vita familiare”» e ad «un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata» debba essere riconosciuto anche ai «componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto» – non ho molto da dire: da queste pagine ho più volte espresso la stessa opinione.
Certo, le unioni omosessuali continueranno a non produrre effetti giuridici nell’ordinamento italiano fino a quando il Parlamento non prenderà atto che esse hanno, al pari di quelle eterosessuali, il pieno diritto di formalizzarsi in «matrimonio», ma un muro è caduto e una realtà autoevidente, cocciutamente negata dagli ottusi e torvi guardiani della tradizione, trova il dovuto riconoscimento nella sede qualificata a produrre argomento giurisprudenziale: la coppia gay è famiglia.
Siamo in uno di quei momenti che ci consentono di avvertire più distintamente quel continuo fluire da società a giurisprudenza e da giurisprudenza a società che periodizza il progredire umano. Chi si sognerebbe, oggi, di definire «pubblico scandalo» il matrimonio celebrato con rito civile tra un uomo e una donna? Chi si sognerebbe, oggi, di non considerarlo valido al pari di quello celebrato con rito religioso? Nemmeno più la Chiesa cattolica, anche se nel Codice di Diritto Canonico si continua a leggere che «non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento» (Can. 1055 - §2), ma dove stanno più i vescovi come monsignor Pietro Fiordelli che diano del «pubblico peccatore» e della «pubblica peccatrice» a un uomo e a una donna che abbiano deciso di sposarsi in municipio invece che in chiesa? Non parlano, forse hanno addirittura disimparato a pensarlo. Le sentinelle della tradizione non custodiscono più il sacramento: si accontentano di fare la guardia ad un istituto sconsacrato. Difendono strenuamente ciò che possono difendere, ma indietreggiando.
Un esempio? Nel 2007 l’odierno presidente della Cei disse: «Nessuna condanna per le convivenze, ma è inaccettabile creare un nuovo soggetto di diritto pubblico». «Nessuna condanna per le convivenze»? E che cazzo di cattolico sei? Non glielo chiese nessuno. Era vistosamente indietreggiato sul piano della morale cattolica e tuttavia la posa era marziale, si faceva attenzione solo a quell’«è inaccettabile creare un nuovo soggetto di diritto pubblico»: sembrava la difesa di un sacramento, e invece era la difesa di un istituto, anche laddove fosse sconsacrato. Il continuo fluire da società a giurisprudenza e da giurisprudenza a società assicurava un «trattamento omogeneo» a ogni genere di convivenza, perfino da parte di Sua Eminenza: il «pubblico scandalo» da condannare non era più la convivenza fuori dal matrimonio celebrato con rito religioso, ma l’equiparazione legale della convivenza a un qualsiasi genere di matrimonio.

Un muro è caduto ed è interessante passare in rassegna i bernoccoli. Avvenire ce ne offre un ampio assortimento.


Potranno anche baciarsi in pubblico senza che qualche stronzo abbia da ridire?

Nessuna novità? Prima della sentenza della Cassazione, una coppia gay era già famiglia?

Ecco, brava Eugenia, lei sì che soffre bene.

E i neri si sono emancipati perché abbiamo avuto una perdita di valore dell’essenza della razza bianca in quanto tale.

martedì 13 marzo 2012

[...]

“Suona insensata la proposta avanzata dal comitato per i diritti umani Gherush92 di censurare la Divina commedia in quanto antisemita, razzista e omofoba”, ha ragione Paolo Di Stefano (Corriere della Sera, 13.3.2012). Altrettanto insensato, però, suona quanto scrive riguardo a “Cicerone, Orazio, Seneca e Sant’Agostino, tutti più o meno terrorizzati dal proselitismo ebraico”: la pratica del proselitismo è estranea all’ebraismo.

«La vera minaccia non è l’Iran»

Dice che «la vera minaccia non è l’Iran», dice che «il timore di un “pericolo imminente” attribuito alla “comunità internazionale”» è in realtà una paranoia tutta israeliana: Cina, Russia, India, Turchia e quasi tutti i paesi arabi pensano che «la regione sarebbe più sicura se l’Iran fosse in possesso di armi atomiche», mentre l’Europa, dice, considera Israele «la principale minaccia alla pace mondiale». Dice che comunque «è ancora da provare» che l’Iran stia costruendo un arsenale nucleare e che, se davvero lo sta costruendo, avrebbe funzione esclusivamente «dissuasiva». Semmai è quello israeliano, dice, ad essere «estremamente pericoloso». Dice che non pochi negli Stati Uniti, più del fatto che gli ayatollah possano arrivare a costruire una bomba atomica, sono preoccupati di un attacco israeliano ai siti nucleari iraniani.
A parlare non è un leader di Hezbollah o di Hamas, ma Noam Chomsky (Internazionale, 939/XIX - pag. 32). Sembra sfuggirgli che gli israeliani sono in possesso di armi nucleari da quasi cinquant’anni e non le hanno mai usate, neppure quando lo Stato di Israele è stato fatto oggetto di aggressioni militari che avevano per fine dichiarato la sua distruzione. Sembra gli sfugga pure che la dittatura cinese e la democratura russa hanno attivamente sostenuto il programma nucleare della teocrazia iraniana, non si sono limitate ad appoggiarlo, e che l’hanno fatto solo in vista di un riassetto geopolitico del Medio Oriente a loro favorevole, poco importava, poco importa che il prezzo da pagare sia tutto israeliano. Sembra che a Chomsky sfugga che la distruzione di Israele è da sempre il sogno dato in pasto alle masse arabe dalle oligarchie che le opprimono addebitando all’esistenza di Israele ogni effetto di quell’oppressione. Senza dubbio, invece, gli sfugge che la posizione di India e Turchia verso Israele è mutata da poco, e solo per ragioni relative a problemi interni, causati dall’oltranzismo islamista. Non dovrebbe sfuggirgli, invece, che in Europa solo gli antisemiti più o meno dichiarati – avanzi di fascismo, comunistelli andati a male, ultras cattolici – ritengono che Israele sia una minaccia alla pace mondiale. Né dovrebbe sfuggirgli che negli Stati Uniti solo qualche isolazionista teme più un attacco preventivo israeliano che un missile armato di testata nucleare su Tel Aviv.
Troppe cose sembrano sfuggire a Chomsky. Sembra voglia farsele sfuggire per non prendere atto di ciò che è incontestabile: chi ha più volte dichiarato che Israele deve scomparire dalla carta geografica è ad un passo dall’avere la bomba atomica. Si può chiedere agli israeliani di non muovere un dito?

lunedì 12 marzo 2012

Premiata Rosticceria Bell’Italia

Da mesi si parlava solo di mercato e finanza, di lavoro e pensioni, di tasse e di crescita, di tagli e di ammortizzatori. Sentivate nostalgia della politica, vero? Sì, lo spread è politica, è politica pure il pil ed è politica l’irperf, l’ici, l’inps. Ma voi sentivate nostalgia della politica dei bei tempi andati, dico bene? Neanche molto andati, in verità, perché in fondo il governo Monti non ha neanche quattro mesi. È che vi eravate assuefatti all’aria fritta di cui la politica italiana è insuperabile friggitrice ed eravate in crisi d’astinenza, confessatelo, non vedevate l’ora di riassaporare quei croccanti battibecchi, fatti di niente, ma con tanto sale e tanto pepe, no? Niente paura, vogliate gradire un assaggino in attesa che la Premiata Rosticceria Bell’Italia riapra i battenti.

Angiolino: “La sinistra vuole i matrimoni gay”.
Rosi: “Giammai, il matrimonio è solo etero”.


Sapori di un tempo che qualcuno disperava fosse perso per sempre.