Del
ponte sullo Stretto di Messina, ovviamente, non se ne farà nulla,
ma, ammesso e non concesso che domani, con un semplice schiocco di
dita, fossero superati gli ostacoli di natura burocratica che si
frappongono alla sua realizzazione (pare sfugga che nel 2011 il
Parlamento ha messo in liquidazione l’azienda autorizzata a
soggetto d’impresa, che nel 2013 il Governo ha decretato in favore
del pagamento delle penali alle parti che si erano assunti gli oneri
del progetto, che sul loro effettivo ammontare è in corso un
contenzioso non più superabile da un accordo bonario tra le parti) e
che dopodomani sbucassero, chissà da dove poi, gli otto miliardi e
mezzo necessari (al netto del resto che immancabilmente lo
diventerebbe dopo, in corso d’opera, come da costume consolidato), sicché
a tre giorni da oggi si desse veramente avvio ai lavori, e nulla li
rallentasse, il risultato sarebbe comunque diverso da quello che
suona in bocca a chi afferma che la cosa si può fare (tutto è già
ampiamente documentato: non darebbe lavoro a più di due-tremila
persone, non costituirebbe alcun vantaggio significativo per
l’economia del paese, il rapporto tra spese di gestione e utili di
ricavo porterebbe inevitabilmente al deficit, il rischio sismico
imporrebbe un’imponente copertura assicurativa, ecc.), ma,
soprattutto, non lo si vedrebbe prima di dieci anni, e a voler essere
ottimisti.
E allora com’è venuto in testa a Renzi di dirsi pronto
a farsi carico di quanto spetterebbe al suo Governo per rendere
possibile la costruzione del ponte? Non immaginava che così sarebbe
stato fatto oggetto degli strali di quanti, pur favorevoli alla cosa,
gli avrebbero fatto notare che sul piano procedurale non gli era affatto consentito farla così facile, pur di agghindarsi del solito annuncio
a effetto? Non aveva calcolato che gli sarebbe stato rinfacciato che
in passato si era sempre dichiarato contrario all’opera, e che
esserne a favore oggi, ed entusiasticamente a favore, gli avrebbe
procurato l’accusa di volersi guadagnare voti in vista del
referendum di dicembre? Non aveva previsto che avrebbe provocato imbarazzo allo stesso Pd? Più di tutto, non aveva messo in conto che
riaprire la questione del ponte sullo Stretto di Messina avrebbe dato
modo ai suoi detrattori di trovare la più emblematica delle conferme
che il renzismo altro non sia che la continuazione del berlusconismo
con analoga ma diversa faccia di culo? Insomma: Renzi è un cretino?
Non proprio, anzi, è molto probabile che la sua uscita mirasse
proprio a provocare tutto questo – chi a cercare negli archivi cosa
dicesse nel 2010 e nel 2012 per denunciare questa
sua ennesima spregiudicata piroetta, chi a condannare il suo
inguaribile vizietto dei regalini pre-elettorali, chi a pensare sia finalmente prova provata che siamo al Berlusconi 2.0 – per sollevare il
polverone necessario a coprire il fallimento della sua politica
economica. Diciamo che è bravissimo a fare il cretino quando è
necessario, ma cretini, e cretini veri, sono quanti ci cascano e
accettano che la discussione si esaurisca di continuo nella puttanata
quotidiana che impone come ordine del giorno. Siamo all’arte
del governo come branca della patafisica.