In
Isole, secondo episodio di Caro diario (Nanni Moretti,
1993), c’è un indimenticabile Antonio Neiwiller nei panni del
sindaco di Stromboli, un sindaco animato da un entusiasmo prossimo
all’esaltazione, che senza sosta partorisce visionari progetti di
valorizzazione delle bellezze paesaggistiche del luogo, robe del tipo
«chiedere a Morricone una musica da diffondere per tutto il
giorno come colonna sonora del paese», «la luce dell’isola
a cura di un grande maestro della fotografia: Storaro che cura
l’illuminazione e i tramonti di Stromboli», in un più vaste
programme che mira a «un nuovo modo di vivere, una nuova
luce, nuovi abiti, nuovi suoni, un nuovo modo di parlare, nuovi
colori, nuovi sapori, tutto nuovo», insomma, «ricostruire da
zero Stromboli», peraltro con l’aspirazione a ben più ampi
orizzonti – «ricostruire da zero l’Italia»
– fino ad offrirsi da modello al mondo, come d’altronde ben
promette il fatto che «sta
per arrivare dal Giappone l’agronomo
responsabile dei 28.000 ettari che circordano Tokyo, vuole parlare
con me, dei miei progetti, vuole capire il segreto del nostro
equilibrio tra crescita e benessere».
È un sindaco, quello interpretato da Neiwiller, che però
vive il dramma di non riuscire a trasmettere il suo entusiasmo agli
isolani, che a tanto fuoco sacro sembrano opporre un’apatia
altamente ignifuga, insensibili a tante geniali idee, forse perfino
un po’ terrorizzati da tanto anelito palingenetico: «eppure il
materiale umano ci sarebbe», ma niente, «tante potenzialità
vanno sprecate», e il poveretto deve dolorosamente prendere
atto che «qua sono tutti così ostili», ma senza riuscire a
farsene una ragione – «perché sono tutti così ostili?» –
senza poter far altro che abbandonarsi ad uno sconsolato «che
peccato!».
Cambiando
quel c’è
da cambiare, l’apologo
morettiano calza come un guanto alla parabola di Mimmo Lucano. Da
cambiare c’è
che, pur non sapendo se il sindaco di Stromboli sia poi stato
rieletto, Nanni Moretti ce ne fa fortemente dubitare, mentre la
narrazione che i media hanno costruito attorno all’ormai
ex sindaco di Riace ci rende inspiegabile perché il 26 maggio sia
stato così crudelmente trombato: chi ci ha illustrato la sua grande
passione, le sue ottime intenzioni, le sue geniali idee, chi ha
esaltato l’esempio
di accoglienza da lui realizzato a modello da adottare in tutta
Italia e in ogni paese meta di migranti, chi è arrivato addirittura
a immaginarlo come leader di un centrosinistra che aveva da espiare
la tavolata di un Salvatore Buzzi e un Giuliano Poletti, l’«aiutiamoli
a casa loro»
di un Matteo Renzi, le derive securitarie di un Marco Minniti, non ha
saputo darci neanche come lontana ipotesi che alle Comunali di Riace,
lo scorso 26 maggio, Mimmo Lucano avrebbe preso solo 21 voti, né
oggi sa darcene spiegazione. Nemmeno tenta, in realtà, e preferisce
tacere. E più di tutti tace chi di Mimmo Lucano
ci ha offerto una narrazione prossima all’agiografia
di un santo che aveva compiuto il gran miracolo di cavare una
formidabile opportunità da due enormi problemoni come l’emergenza
posta dall’arrivo
dei migranti in Italia e la drammatica crisi economica, demografica,
culturale, eccetera, di tanti paesini del profondo Sud. È a quella
fonte che ci eravamo precitati ad abbeverarci, ma siamo rimasti a
bocca asciutta.
Parlo
di Propaganda
live,
che di Mimmo Lucano ci ha offerto il dittico in gloria e in martirio.
S’apre
la puntata del 27 maggio, quella dello speciale post-elettorale, e il
duetto iniziale tra Diego Bianchi e Marco Damilano nutre qualche
speranza che la spiegazione venga data.
D.B.:
«Si
è votato, e ne dobbiamo parlare. Non vedevamo l’ora,
no? Del resto, finché le cose vanno così, ce n’è
da dire, ce n’è
da fare. Allora cominciamo con il buon vecchio spiegone di Marco
Damilano...»
M.D.:
«Sì...»
D.B.:
«...
se ancora ne ha da spiegare...»
M.D.:
«No,
spiegare no... Qualcosa...»
D.B.:
«No,
devi spiegare, bisogna spiegare un sacco di cose. Please, on stage!»
Ok
– uno si dice – da Diego Bianchi nessuna spiegazione, ma questo è
comprensibile, perché da cocchiero del carrozzone satirico
antigialloverde gli spetta di diritto limitarsi all’arguta
glossa di contorno, come da regola introdotta da Serena Dandini alla
guida dei carrozzoni antiberlusconiani, e ormai diventata canone del
bon
ton
che caramella ogni palla di letame antigovernativa. Poi Diego Bianchi è meglio non
s’azzardi
a fare l’analista,
scivolerebbe ineluttabilmente negli sdoppiamenti in cui si produceva
nei video dei suoi esordi: «ce
n’è
da dire, ce n’è
da fare»,
ma, beninteso, da topo nel formaggio. E allora porgiamo orecchio a
Marco Damilano, che non rimuove, anzi, dà conto che di Stromboli ce
n’era
più d’una, e che per tutte è stata una Riace: «Pioveva...
“acqua di spilli fitti / dal cielo e dai soffitti”... a Lampedusa
è arrivata prima la Lega di gran lunga, con il 45%... la Lega ha
conquistato il Comune di Ventimiglia... e poi ha preso il 35% a
Rosarno... e anche nella Riace di Mimmo Lucano ha preso il 30%...».
Ok, ma perché? Niente, è che «c’è
un vento che soffia in tutta Europa e poi arriva anche nei posti dove
meno te lo aspetteresti... e allora ti dici “ma da dove arriva
tutto questo?”... perché non l’hai
sentito arrivare?...».
Capisci che neanche da Marco Damilano potrà venirti una spiegazione
seria: dice che a Riace il vento è arrivato da fuori, risulta assai più
acuto Nanni Moretti, che non si nascondeva le ostilità degli
stromboliani alle progressistissime levate di genio del loro sindaco.
Ma gli sia dato modo di spiegarci il vento e la pioggia: dove
nascono, come nascono? Zero, nessuna spiegazione, passiamo a
consolarci con lo scoppolone preso dal M5S. Che di voti ne ha persi sei milioni. Che non sono certo defluiti tutti nel Pd. Che, anzi, a dispetto
del suo 22,7%, ha perso in assoluto un bel po’
di voti rispetto alle Politiche dell’anno
scorso. Sei milioni di voti in parte andati a Salvini e in parte rifugiati nell’astensione. Per i primi, non vale la pena di darsi troppo pensiero: sottoproletariato e piccola-borghesia, roba fascistoide di suo. Per gli altri, poco male, perché è dall’astensionismo – ci assicura Wu Ming – che arriverà la rivoluzione. Tutto bene, dunque, se non sarà sereno si rasserenerà, passiamo al varietà. Ohi, gente, avreste dovuto vedere la faccia di Giggino
agli exit poll e, a seguire, proiezione dopo proiezione... Prego,
Makkox, vai con una delle tue, e che sia bella puntuta, così la Constanze può regalarci il suo squillante coccodè!
Ora, sia chiaro, non è che uno si aspetti da Propaganda live una seria e approfondita analisi di cosa sia l’Italia dell’Anno Domini 2019, di come la sinistra abbia sbagliato tutto nel declamare dai Parioli la bellezza di un’integrazione da promuovere però a debita distanza dai suoi viali alberati dove la differenziata e la paletta per la pupù dei cani sono undicesimo e dodicesimo comandamento, sì da poterne trarre grato compiacimento dal reportage di Zoro in terra di Calabria, in cui è evidente quanto il bonghetto del ghanese piaccia alla vecchina di Riace. Il guaio è che pure il re cui Propaganda live fa da giullare non sa darsi spiegazioni diverse da quelle di Marco Damilano: “acqua di spilli fitti / dal cielo e dai soffitti”, prima o poi passerà, da fuori è venuto il vento e fuori andrà.
Nanni Moretti? Un gigante. E perciò da tempo tace.
Nota Mia moglie, che è la più severa critica delle mie riflessioni ad alta voce, poi riversate in pagina, dice che ultimamente sono in preda ad uno scrupolo cui andrebbe bene la definizione di «le ragioni del nemico», me lo ripete dopo aver letto questo post, ed è da qui che preferisco risponderle: se al posto di ragione ci va ratio, accetto la critica, il «nemico» va innanzitutto capito, non lo si può liquidare come incarnazione del Male o come parentesi regressiva in un ineluttabile cammino verso un radioso avvenire.
Nota Mia moglie, che è la più severa critica delle mie riflessioni ad alta voce, poi riversate in pagina, dice che ultimamente sono in preda ad uno scrupolo cui andrebbe bene la definizione di «le ragioni del nemico», me lo ripete dopo aver letto questo post, ed è da qui che preferisco risponderle: se al posto di ragione ci va ratio, accetto la critica, il «nemico» va innanzitutto capito, non lo si può liquidare come incarnazione del Male o come parentesi regressiva in un ineluttabile cammino verso un radioso avvenire.