Non v’è alcun dubbio sul fatto che Michelangelo Buonarroti abbia studiato anatomia su cadaveri sezionati, interessandosi soprattutto dell’apparato locomotore. Tuttavia, com’è comprensibile per l’interesse che lo muoveva, il suo approccio a questo studio fu esclusivamente topografico, non molto diverso da quello che all’anatomia è oggi riservato nelle scuole d’arte, dove non si va oltre ciò che è utile sapere per riprodurre in modo corretto i volumi delle masse corporee, lasciando da parte ogni rilievo di natura sistematica. Ai suoi tempi, d’altronde, non poteva essere diversamente, perché le tecniche di studio anatomico cominciavano proprio in quella prima metà del XVI secolo, e assai timidamente, a costruire una tassonomia del corpo umano. Il primo a farlo fu il fiammingo Andrea Vesalio (Andreas van Wesel), contemporaneo di Michelangelo (morirono entrambi nel 1564), ma del quale l’artista italiano non ebbe mai modo di leggere il suo De humani corporis fabrica (1543), nel quale è dedicato assai poco spazio al sistema nervoso centrale (s’intrattiene solo sulle circonvoluzioni degli emisferi e sul corpo calloso). Bisognerà aspettare Malpighi (1628-1694), Morgagni (1682-1771) e Bichat (1771-1802) per sapere qualcosa dell’anatomia del cervello, un organo che si comincia a deteriorare irreparabilmente dopo poche ore dal decesso: fino a quando non fu trovato il modo di bloccare i processi degenerativi post mortem con opportuni allestimenti, lo studio della massa cerebrale fu un problema serio per ogni anatomista e, prima dell’impiego della formaldeide a tale scopo, non abbiamo studi che siano degni di attenzione. È possibile, dunque, che Michelangelo conoscesse l’anatomia del cervello e del tronco encefalico meglio di chiunque altro ai suoi tempi?
La domanda è in qualche modo inevitabile alla lettura di ciò che Ian Suk e Rafael Tamargo, due ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, nel Maryland, scrivono sul numero di maggio di Neurosurgery (66:851-861, 2010): a sentir loro, nel pannello della Cappella Sistina detto della Separazione della luce dalle tenebre, Michelangelo avrebbe dipinto l’anatomia della base cerebrale e del tronco encefalico umani sul collo di Dio, e con tale precisione di dettaglio da potervi rilevare sorprendenti correlazioni.
L’idea – i due non ne fanno mistero – nasce dalle suggestioni offerte una ventina d’anni fa da Frank Lynn Meshberger con un articolo pubblicato su The Journal of the American Medical Association dal titolo An interpretation of Michelangelo’s Creation of Adam based on neuroanatomy, del quale riportano una tavola che proverebbe una correlazione tra la sezione sagittale del cervello e del tronco encefalico e un pannello della Cappella Sistina. Superfluo dire che ai tempi di Michelangelo una tale sezione anatomica non era neanche ipotizzabile, ma ciò che appare evidente anche a chi non abbia alcun rudimento di anatomia cerebrale è l’arbitrarietà della correlazione dei punti di repere.
La tesi di questo post è la seguente: Ian Suk e Rafael Tamargo hanno stravisto, perché sul collo del Dio ritratto da Michelangelo altro non v’è che la comune anatomia della regione sottomentoniera e di quella sternoioidea, quando soggette al movimento di estensione e lateralizzazione del capo lì raffigurato.
Ciò che ai due sembra il peduncolo cerebrale (a) altro non è che l’area approssimativamente trapezoidale che è racchiusa tra i due ventri anteriori dei muscoli digastrici (lateralmente), la depressione relativa al corpo dello ioide (inferiormente) e ai margini inferiori della mandibola (superiormente), e cioè l’area corrispondente alla superficie del muscolo miloioideo (a'), come appare quando protude attraverso lo spessore del platisma nella estensione del capo; ciò che a loro sembra il ponte (b) altro non è lo sviluppo dei due muscoli tiroioidei (b'); il midollo allungato (c) altro non è che il complesso laringo-tracheale (c'); e l’area triangolare a vertice inferiore, che i due riferiscono all’emisfero cerebellare, bilateralmente situata ai margini del complesso a-b-c, altro non è quanto si sviluppa tra sternocleidomastoideo e il complesso a'-b'-c', dove a' è la sezione relativa alla regione miloioidea (vedi la figura che apre questo post) e b'-c' è quella relativa al complesso tiroioideo-laringotracheale (vedi figura qui sotto).
Michelangelo avrebbe ben potuto avere nozione dell’anatomia topografica della regione cervicale anteriore così come qui sommariamente descritta e peraltro compiutamente rappresentata come regione cervicale anteriore di un Dio a immagine e somiglianza di uomo; assai più difficile che potesse avere nozione dell’anatomia della base cerebrale e del midollo allungato così come osservabile dopo adeguata fissazione in formaldeide; e invero appare senza ragionevole spiegazione il perché un pittore del Rinascimento possa essersi sentito ispirato a rappresentare un bulbo encefalico al posto di una gola, meninge per laringe.
Ma ciò rende del tutto inverosimile l’ipotesi di Suk e Tamargo – un Michelangelo che cripta le sue nozioni di anatomia del sistema nervoso – è il vedere in una piega della veste addosso a Dio il solco mediano anteriore del midollo spinale, peraltro non allineato al bulbo,
e, ancora, a stravedere nel panneggio l’anatomia dei globi oculari e del chiasma ottico.
Vengo a conoscenza dell’articolo sul numero di maggio di Neurosurgery da una AdnKronos di oggi. D’estate tutto è buono per riempire lo spazio tra il culo di Belén e il muso di Capezzone.
[Un grazie a Brunella per lo scanning dal Testut-Latarjet.]