domenica 18 luglio 2010

Patro


Voce attiva di patior (soffro, sopporto, subisco), patro può essere tradotto con compiere, eseguire, realizzare – più o meno come perpetro (voce attiva di perpetior) – ed è usato per lo più in formule di carattere legale (patro promissum, patro iusiurandum e simili), a rammentarci di quel magistrato (pater patrator) che ufficializzava gli impegni sottoscritti in un atto pubblico. Non stupisce, dunque, trovare patro in due punti delle Normae de gravioribus delictis. Tuttavia, in entrambi i casi, il verbo è usato per esprimere il compimento di delicta.

- Art. 6, §2: “Clericus qui delicta de quibus in §1 patraverit…” (“Il chierico che compie [abbia compiuto] i delitti di cui al §1…”). Qui, il patratum è qualcosa di illegale e il patrator perde senza dubbio la dignità del magistrato.
- Lo stesso in art. 6, §1, 2°: [Delicta graviora contra mores (…) sunt] comparatio vel detentio vel divulgatio imaginum pornographicarum minorum infra aetatem quattuordecim annorum quovis modo et quolibet instrumento a clerico turpe patrata” ([I delitti più gravi contro i costumi (…) sono] l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori sotto i 14 anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento”).

È chiaro che questo patrare mal si adatti a quello del pater patrator: dobbiamo cercare il verbo in altri contesti, possibilmente turpi. Arriviamo così al “coitum patrare” di alcune scritte murali di franco contenuto osceno (Ostia, I-II sec. d.C.). Pare, insomma, che il latino usato dalla Curia vada ispirandosi a modelli linguistici di infimo livello.

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