martedì 27 luglio 2010

A sette settimane dall'omicidio di monsignor Luigi Padovese


Ho scritto della morte di monsignor Luigi Padovese in tre occasioni, segnalando i non pochi dettagli incongrui alla tesi dell’esecuzione di marca islamista. “Sicuro è che non si tratta di un assassinio politico o religioso, si tratta di una cosa personale”, l’ha detto Benedetto XVI. E io mi sono limitato a sottoscrivere e ad aggiungere: le pressanti avances di Sua Eccellenza hanno trovato una resistenza violenta.
Anche qui non ho fatto altro che sottoscrivere quanto peraltro concesso dal Vicariato in ordine all’inchiesta di Panorama sulle abitudini sessuali di un rappresentativo campione di preti a Roma: ci sono preti gay, sono invitati a dichiararsi tali e a lasciare la tonaca, ma non lo fanno. Qui mi limito a chiedere: se riesce a non farsi pizzicare, un prete gay può arrivare a diventare vescovo in Turchia? Direi che non si possa escludere, peraltro il Vicariato garantisce solo sul clero indigeno, margina il fenomeno a preti foresti e itineranti.

Ucciso in odio alla fede cristiana, diceva Il Foglio. Martirio, diceva Avvenire. Agnello sacrificale, diceva L’Osservatore Romano. Io dicevo: “Monsignor Luigi Padovese aveva rinunciato al suo viaggio a Cipro poche ore prima di essere ucciso, dopo che Murat Altun gli aveva comunicato che non lo avrebbe seguito. Quel viaggio era un appuntamento importantissimo (doveva essere accanto a Benedetto XVI che consegnava quell’Instrumentun laboris alla cui stesura il Padovese aveva dato un grande contributo), ma a tuttora nessuno sa spiegare perché il vescovo vi abbia rinunciato. […] Murat Altun era alle sue dipendenze come autista da quattro anni, e tuttavia il Padovese lo voleva accanto a sé anche quando non doveva spostarsi. Non sarebbero mancate occasioni per uccidere prima il vescovo, soprattutto nella settimana che ha preceduto quella nella quale si è consumato l’omicidio, nella quale il Padovese ha trattenuto presso di sé l’Altun senza mai consentirgli di tornare a casa”. Una zecca, almeno per una mente psicolabile come l’Altun.

Anche qui non faccio che sottoscrivere quanto dice un autorevole prelato, monsignor Ruggero Franceschini, che dopo la morte del Padovese ne ha preso il posto: “Mi fa soffrire questa attesa nel silenzio […] Mi dispiacerebbe che prevalesse il motivo passionale”. Lo esclude, ma allora perché temere di dover essere smentito? Perché “di concreto c’è che aspettiamo di conoscere la verità su questa morte”. Ma non era già nota? Evidentemente no, evidentemente non è ancora del tutto chiaro: Altun potrebbe aver ucciso un nemico dell’islam o uno spasimante troppo assillante, a sette settimane dall’omicidio ancora non si sa. Infatti monsignor Franceschini afferma che “Altun was not a religious man, leaving a question mark over why he had incorporated Muslim symbolism in the execution of Bishop Padovese”. Tenderebbe a cadere l’ipotesi dell’esecuzione in stile jihadista, e che altro rimarrebbe? “Una cosa personale”, proprio come aveva detto Benedetto XVI.

Nessun commento:

Posta un commento