Il tempo mi ha dato ragione di ciò che ho sempre pensato e scritto di Vito Mancuso fin dal 2007, quando a me pareva già evidente la grave eresia contenuta ne L’anima e il suo destino, e ancor più evidente mi pareva la sua estrema conseguenza: radicalizzare quello spirito del Vaticano II che a detta dei cattolici di stretta ortodossia è sempre stato un letale fraintendimento della lettera di quel Concilio. Ho scritto che il rogo aspettava Mancuso e che se lo meritava. Intanto mi stupivo che fosse tanto coccolato finendo per risolvere: cercano di tenerselo buono, cercano di contenerlo.
“È come se dicesse alla teologia: vai al sodo. E alla cultura: accetta la sfida. Così Mancuso apre un dibattito franco e rigoroso grazie a un libro intelligente e documentato”, e mica lo diceva Corrado Augias a quei tempi: lo diceva monsignor Piero Coda, non proprio un “progressista”, docente di Teologia dogmatica alla Pontificia Università Lateranense, per darvi la misura del cerebro, e presidente dell’Associazione teologica italiana, per darvi quella del polso; lo diceva dalle pagine de Il Foglio, che a quei tempi portava Mancuso sul palmo della mano e oggi non smette di strofinarsi il palmo della mano sulla giacca, come se volesse pulire ogni traccia di Mancuso.
Sarà che il brillante teologo non va più tanto di moda o che ci va un po’ troppo? Di certo c’è solo che, prima, “il professor Mancuso è una voce accettata e ascoltata nel mondo della teologia cattolica” (Giuliano Ferrara - Il Foglio, 10.10.2007) e, ora, commissioniamo il commento della sua pericolosissima teologia anticattolica a due tosacani come Camillo Langone e Angiolo Bandinelli, non ci sprechiamo manco un Pietro De Marco.
Mi sono trattenuto dal commentare l’articolo di Vito Mancuso su la Repubblica di domenica 30 giugno per non ripetermi, mi sono trattenuto dal commentare ciò che ne ha scritto Il Foglio perché Luca Massaro ha buttato giù un post che spiaccica Langone e perché Bandinelli si spiaccica da solo.
Mi sono trattenuto dal commentare l’articolo di Vito Mancuso su la Repubblica di domenica 30 giugno per non ripetermi, mi sono trattenuto dal commentare ciò che ne ha scritto Il Foglio perché Luca Massaro ha buttato giù un post che spiaccica Langone e perché Bandinelli si spiaccica da solo.
Mi sembra interessante, invece, sottolineare ciò che ha scritto De Marco sul tanto contestato articolo di Mancuso: “Il nostro «teologo» scrive: «Essendo tutto dominato dalla logica evolutiva, non esiste alcun punto fermo, se con fermo si intende qualcosa di statico e di immobile [...]. Dio è un punto fermo [...] nel senso di immutabile quanto alla dinamica del suo movimento vitale che è l’amore [...]. E va da sé che, non essendo Dio, a maggior ragione non sono punto fermo né la Bibbia [...] né la Chiesa con il suo magistero dottrinale [...], il quale parla veramente nel nome del Dio vivo solo se consente e incrementa il creativo dinamismo della libertà» [La vita autentica, Raffaello Cortina Ed. 2009]. […] Questo monismo energetico, disperante nella sua dogmaticità, può certamente apparire frutto di un tardo, sfilacciato New Age. La Rivelazione, le Rivelazioni, sono accessorie. [...] Chi ha decostruito l’intelletto cattolico a questo punto?”. Dio, com’è bello sentir parlar chiaro: Mancuso è un eretico.
Modestamente, sapevámonlo. Ma quale autorevole fonte pigliamo per dargli fuoco? La Pascendi dominici gregis di Pio X (1907). Che De Marco non cita nei punti salienti, ma in cazzatelle accessorie. Però come dimenticare che la Pascendi è l’enciclica che condannò il modernismo? A questo stiamo: Mancuso ricicla. Bruciato.
Langone ha del pelo sullo stomaco: torna buono pure Severino per dare addosso a Mancuso.
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